I lavoratori affondano, i ricchi girano lo sguardo

TOMASO MONTANARI

QUATTRO uomini seminudi tirano ciò che nel Veneto si chiama l’Alzana, sostituiscono cioè i cavalli nel tirare una barca. Sono quattro bruti individui che si raccomandano poco, ma che stringono il cuore. Nessuna espressione delle teste, nessuna rivelazione del pensiero in quelle quattro persone cadute ben basso dal lato materiale. Da lungi, per amor dei contrasti, un servitore in livrea conduce un bambino di gran signori a spasso mentre il cane aristocratico abbaia ai tiratori di barca». Così un critico, nel 1874, intese stroncare (non senza alcuni travisamenti di lettura) questo altissimo capolavoro dipinto da Telemaco Signorini, «fra i più arrabbiati macchiaiuoli che Firenze conosca», dieci anni prima. Un quadro poi scomparso senza lasciare dietro di sé neanche una riproduzione, per riapparire poi non troppi anni fa, quando fu aggiudicato a un prezzo che fece sensazione.

Alla data del 1864 un quadro come questo non aveva termini di paragone non solo in Italia, ma nemmeno in Francia – cioè in Europa. Non basta, a spiegarlo, la conoscenza di prima mano del colore di Corot o del realismo di Courbet, che Signorini incontra a Parigi, e nemmeno la riscoperta della pittura di luce di Piero della Francesca: il geniale punto di vista sprofondato in abisso, l’affondare dei corpi, l’orizzonte bassissimo rivelano che furono invece le stampe giapponesi a suggerire a Signorini un rapporto con lo spazio e dunque un modo di comporre remotissimi da tutta la tradizione occidentale. Era, letteralmente, un altro modo di guardare il mondo, e dunque un altro modo di leggerlo, interpretarlo e rifarlo. Il secolo del più feroce colonialismo era anche quello che conosceva una contaminazione che iniziava felicemente a scardinare i caposaldi di una cultura millenaria.

Oggi fa una certa impressione riconoscerei luoghi così esattamente ritratti da Signorini: se il Ponte sospeso, che si intravede sullo sfondo, ha ceduto il posto al Ponte alla Vittoria nelle sue due riedizioni, il Parco delle Cascine conserva ancora il carattere naturale di quell’argine dell’Amo. E quel che più colpisce è che la Firenze di oggi è ancora, socialmente, identica a quella di allora: con i più umili tra i lavoratori affondati nelle periferie, in modo che non possano turbare la luminosa immagine della città vetrina, mentre i ricchi, e i loro satelliti, volgono ostentatamente lo sguardo dalla parte opposta. La fatica bestiale degli uni, la vita di rendita degli altri: due mondi vicinissimi, remotissimi.

in “il Venerdì” del 2 febbraio 2024

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