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Depressione e tristezza tra i giovani americani

MICHELLE LA BELLA

Cosa sta succedendo ai giovani negli Stati Uniti? Guardando ai dati emerge un prospetto drammatico. Uno studio del 2021 su un campione di 17.000 studenti condotto negli Stati Uniti dal “Centers for Disease Control and Prevention” dipinge un quadro preoccupante: almeno il 60 per cento delle giovani ha manifestato sentimenti di «tristezza o disperazione» e il 30 per cento di loro ha addirittura «considerato seriamente il suicidio», «il doppio rispetto ai ragazzi e un aumento di quasi il 60 per cento rispetto a un decennio fa».

In un articolo pubblicato dal The Atlantic e molto discusso negli Usa nelle scorse settimane, si legge che il tasso di depressione e ansia negli Stati Uniti è aumentato «di oltre il 50 per cento in molti studi dal 2010 al 2019». Sempre lo stesso articolo evidenzia che il tasso di suicidio è aumentato del 48 per cento per gli adolescenti tra i 10 e i 19 anni e in particolare per le ragazze tra i 10 e i 14 anni è aumentato del 131 per cento. Un ulteriore ricerca di “ChildStats”, un forum statistico federale, indica che nel 2021 almeno il 20 per cento della popolazione con età tra i 12 e i 17 anni ha avuto un episodio depressivo maggiore e che tali episodi riguardano per il 12 per cento i ragazzi e per il 29 per cento (più del doppio) le ragazze.

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Educazione. “Coltivare la conoscenza per raggiungere la saggezza”

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Saluto il Presidente e tutti voi: sono contento di incontrarvi.

Il Merrimack College da quasi ottant’anni lavora per la formazione giovanile, ispirandosi al principio agostiniano di “coltivare la conoscenza per giungere alla saggezza”, come dice anche il motto che vi siete scelti: “per scientiam ad sapientiam” (cfr S. Agostino, De Trinitate, 13,19.24). Alla luce della vostra storia vorrei dunque riflettere brevemente con voi su questa missione, e in particolare su due aspetti tra loro connessi: educare i giovani ad affrontare le sfide per crescere nella solidarietà.

Primo: educare ad affrontare le sfide. Ci farà bene, in proposito, ricordare le circostanze in cui avete iniziato la vostra opera educativa, fondata dai Padri Agostiniani nel 1947 a favore dei militari che tornavano dalla Seconda Guerra Mondiale. Chiaramente a questi giovani, reduci da esperienze traumatiche, testimoni degli orrori della guerra, non bastava offrire percorsi accademici: era necessario ridare loro senso, speranza e fiducia per il futuro, arricchendo le loro menti, sì, ma anche riaccendendo i loro cuori e ridando luce alla loro vita; bisognava cioè offrire loro, attraverso lo studio e la comunità scolastica, un cammino di rinascita integrale. A me piace dire: dalla mente al cuore e dal cuore alle mani. Sono i tre linguaggi: il linguaggio della mente, il linguaggio del cuore e il linguaggio della mano. Che si pensi quello che si sente e si fa; che si senta quello che si pensa e si fa; che si faccia quello che si sente e si pensa.

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Buonisti? No, i pacifisti hanno avuto ragione

DONATELLA DI CESARE

Uno dei capisaldi intorno a cui, sin dall’inizio di quest’epoca di guerra, ruota la propaganda bellicista è la riduzione sistematica di ogni discorso sulla pace alla favoletta dei soliti buonisti. Ecco le “anime belle”, coloro che si pretendono candidi e puri, disarmati e incontaminati, ma che al dunque si rivelano incapaci di guardare in faccia la realtà, di operare sul corso degli eventi e mutarlo.

La favoletta dei buonisti si va riaffermando in questi giorni di concitata campagna elettorale, dato che le vecchie accuse sembrano ormai tutte cadute. Susciterebbe almeno ilarità dare del putinista o putiniano a chi, già due anni fa, aveva sollevato dubbi sul crollo imminente della Federazione Russa, sulla caduta ingloriosa di Putin, sulla magica e sfavillante vittoria dell’esercito ucraino, forte di armi e sostegno occidentali. I pacifisti avevano ragione su tutti i fronti. A parlare sono i fatti. E non è certo gradevole il ruolo delle cassandre inascoltate. Ma il paradosso è che quegli stessi che allora promuovevano la campagna di Russia con articoli boriosi e interventi altisonanti, ora si sono rimangiati tutto; fischiettano e fanno finta di nulla o, peggio, si impossessano delle parole dei propri oppositori. Dato che in questo Paese non ci sono tradizionalmente limiti a piroette ciniche, capriole impudenti, voltafaccia e ribaltoni di ogni risma, si può perfino condire qui e là il proprio eloquio in patria con le due sillabe “pa-ce”, per poi infilarsi l’elmetto in Europa, pronti all’invio continuo e moltiplicato di armi.

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Diritti umani. Dura e diffusa violazione in Medio Oriente e Africa del nord

AMNESTY INTERNATIONAL, Report 2023-2024

PANORAMICA REGIONALE SU MEDIO ORIENTE E AFRICA DEL NORD

La devastante escalation di violenza nel conflitto tra Israele e Palestina ha avuto ramificazioni profonde in tutta la regione e nel mondo. Da ottobre, le forze israeliane hanno lanciato un’offensiva su Gaza uccidendo più di 21.000 persone, in maggioranza civili, molte illegalmente, mentre Hamas ha ucciso deliberatamente civili in Israele e trattenuto ostaggi e prigionieri. Le radici profonde del conflitto risiedono nello sfollamento forzato e spossessamento dei palestinesi messo in atto da Israele nel 1948, nell’occupazione militare di Gaza e della Cisgiordania nel 1967, nell’attuale sistema di apartheid praticato da Israele contro i palestinesi e nei 16 anni del blocco illegale sulla Striscia di Gaza occupata.

Gli effetti degli altri perduranti conflitti in corso in Iraq, Libia, Siria e Yemen hanno continuato ad affliggere la vita di milioni di persone, in particolare quelle appartenenti a comunità marginalizzate, come le persone sfollate internamente, rifugiate e migranti e le minoranze etniche; molte di queste sono state private dei diritti più elementari, come quelli al cibo, all’acqua, a un alloggio adeguato, all’assistenza medica e alla sicurezza. Gli attacchi indiscriminati, la distruzione delle infrastrutture, lo sfollamento forzato e la gestione violenta del territorio da parte delle forze di sicurezza, delle milizie e dei gruppi armati sono rimasti impuniti.

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Record di armamenti nel mondo

«La guerra sempre è una sconfitta in cui chi guadagna di più sono i fabbricatori di armi» non si stanca di dire Papa Francesco. E l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace (Sipri) di Stoccolma, il più autorevole e indipendente, per il 2023 constata sconfortato: «Non c’è regione del mondo dove la situazione sia migliorata». Quanto si spende in Europa non è una sorpresa: con due guerre nell’area mediterranea-europea che coinvolgono indirettamente i Grandi con forniture miliardarie a Israele e all’Ucraina da parte degli Stati Uniti e all’Ucraina dai Paesi europei, il 2023 è l’anno dell’aumento record della spesa militare.

L’incremento più alto degli ultimi 15 anni

Nel 2023 si sono spesi in armamenti 2.443 miliardi di dollari (2.293 miliardi di euro), il 2,3% del Prodotto interno globale, con un incremento del 6,8% in tutto il Pianeta: «Non c’è zona in cui le cose siano migliorate». Di conflitti – in quella che il Papa Bergoglio definisce «la Terza guerra mondiale a pezzi» – se ne contano parecchi ma dal 2022 sono scesi sul campo di battaglia gli Stati che hanno l’arma nucleare come Russia e Israele. La Russia di Putin è supportata dalla Corea del Nord, anch’essa dotata di armi nucleari, e dall’Iran che lavora all’atomica. Per sostenere l’Ucraina la Nato chiede di destinare alla difesa almeno il 2% del pil. Il Congresso americano ha appena varato un pacchetto di aiuti: 29 miliardi di dollari vanno all’industria bellica statunitense per la produzione di armi.

Spendono di più Stati Uniti, Cina, Russia, India e Arabia Saudita

Gli Stati Uniti con 860 miliardi di euro (+2,3%), coprono il 37% della spesa. La Cina spende un terzo degli Usa: 278 miliardi di euro (+6%), il 12% della spesa. Segue la Russa con 102 miliardi di euro (+24%) e il 4,5% della spesa. L’Arabia Saudita (+9 per cento); poi Israele (+24%); l’Ucraina è l’ottavo investitore con il 33% del pil, 60 miliardi di euro (+51%). Ha ricevuto aiuti militari per 32 miliardi; il Giappone, ex neutrale e pacifista, è il sesto importatore di armi; aumenta la spesa di Taiwan; il Canada è al sedicesimo posto. La spesa complessiva dei 31membri della Nato è di 1.260 miliardi di euro (55% della spesa mondiale): tra questi spicca la Polonia con un incremento del 75%; in forte aumento anche la Spagna. In America Latina primeggia il Brasile, diciottesimo con 21,5 miliardi di euro.

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Il tema della pace e della violenza nella Bibbia

BRUNETTO SALVARANI

Cristo e la pace, tema persino desueto, in questo nostro tempo incerto.[1] C’è «un tempo per la guerra e un tempo per la pace», dice Qoèlet (Qo 3,8b): e questo sembra proprio un tempo di guerra, purtroppo. Un tempo in cui il senso di Dio – inteso come percezione diffusa di una rilevanza vitale della sua presenza o assenza – si presenta, con rare eccezioni, del tutto esterno all’attuale paesaggio culturale occidentale, certamente a quello europeo.[2] Un tempo in cui, peraltro, di Dio si straparla, intervenendo a suo nome nei contesti più improbabili (e non di rado blasfemi). Ma di quale Dio si tratta? Il Dio bendisposto a giustificare guerre sante e l’uccisione dei nemici, che compare a più riprese in libri biblici quali Giosuè e Giudici, o il Dio che si esprime per bocca del profeta Isaia, assicurando che – in un futuro imprecisato – gli uomini «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4b)?

La domanda è cruciale, nell’odierna congiuntura storica: quale Dio si starebbe prendendo la rivincita (secondo la fortunata metafora ideata da Gilles Kepel[3]) oggi? Quello utilizzato come tappabuchi per la conclamata crisi della politica mondiale nel post-1989, ambiguamente invocato dal cristiano reborn Bush jr. per giustificare al mondo benestante la sua guerra preventiva infinita, o dal musulmano risvegliato Bin Laden per chiamare le plebi della terra a uno jihad assassino? Quello svenduto a basso prezzo dai trafficanti del supermarket del sacro che sfruttano l’ansia postmoderna come occasione insperata per incamerare facili guadagni e intercettare depressioni, angosce e bisogni diffusi? Quello radiografato dalla sociologia, che scorge nuovi e sorprendenti protagonisti del religioso quali nomadi dello spiritopellegrini e convertiti, cogliendovi nel contempo la decadenza di chiese e comunità tradizionali? Quello nel cui nome Giovanni Paolo II e i leader religiosi mondiali hanno pregato il 27 ottobre 1986, ospiti del Povero d’Assisi, invocando pace su un pianeta diviso e dilaniato, parallelo a quello richiamato a quattro mani nel Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune da papa Francesco e dal grande imam del Cairo al-Tayyeb, che uniscono le loro voci «in nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera»?[4] 

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Onu: «L’ordine di evacuazione da Rafah è disumano». Telefonata tra Biden e Netanyahu

L’esercito israeliano sta iniziando a lanciare volantini nella parte orientale di Rafah, inviare messaggi e fare telefonate ai palestinesi contenenti istruzioni sulle zone che devono essere evacuate a Rafah e su quali percorsi prendere per raggiungere una zona umanitaria designata. Lo riporta il Times of Israel, citando l’ordine di evacuazione lanciato dall’esercito israeliano in vista della pianificata offensiva sulla parte meridionale della Striscia di Gaza.

Biden ribadisce a Netanyahu: «Chiara mia posizione su Rafah»“. Il presidente ha reiterato la sua chiara posizione su Rafah”. E’ quanto scrive la Casa Bianca nel comunicato in cui riferisce della telefonata di oggi tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu, nel giorno in cui il governo israeliano ha approvato l’inizio l’offensiva a Rafah ed ordinato l’evacuazione di 100mila palestinesi. In più occasioni, Biden ed esponenti della sua amministrazione hanno espresso la loro contrarietà e preoccupazione per un’offensiva nella città dove si sono rifugiati oltre un milione di palestinesi. “Il presidente Biden ha aggiornato il premier sugli sforzi per assicurare che un accordo con per gli ostaggi, compresi i colloqui in corso a Doha”, si legge nel comunicato.

#le mani

GIANFRANCO RAVASI

Dammi le tue mani per la mia inquietudine, mani che ho sognato nella mia solitudine. / Dammi le tue mani perché io venga salvato… / Taccia il mondo per un attimo almeno. / Dammi le tue mani perché la mia anima vi si addormenti per l’eternità.

La mano può schiaffeggiare e accarezzare, si chiude e si apre simile alle ali di un uccello per volare, il suo tocco può sanare ferite interiori, così come è lo strumento più agile nella medicina e nello sport. Certo, si manipola, si manomette, si manovra ma c’è anche il manovale che edifica e il manoscritto che cristallizza pensieri ed emozioni personali. Le ultime parole di Cristo crocifisso secondo il Vangelo di Luca sono: «Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito» (23,46). Il tepore delle mani di una persona che ti ama è il rifugio sereno dell’anima. È proprio ciò che esprime lo scrittore francese Louis Aragon, morto nel 1982, con le righe che abbiamo desunto da una sua opera dal titolo emblematico, Le mani di Elsa, così come aveva composto un testo dedicato agli occhi di Elsa, altro segno fisico capitale.

Elsa Triolet, una scrittrice russa, era la moglie amatissima di questo autore surrealista che non ha esitato, però, a imboccare la via della resistenza partigiana e della politica contro i nazisti. Ora, però, egli fa appello a una virtù che sta impallidendo nei nostri giorni informatici e sbrigativi, la tenerezza. I veri innamorati si guardano negli occhi in silenzio e si tengono strette le mani con fremiti pieni di intimità e dolcezza. Aragon, poi, evoca in modo intenso la frontiera ultima della vita. È ben diverso vivere quell’atto estremo e solitario nell’isolamento totale, forse d’un ospedale, e avere invece una mano amata che prende la tua anima perché «vi si addormenti per l’eternità».

in “Il Sole 24 Ore” del 5 maggio 2024

La protesta dei giovani americani ed europei a favore della Palestina

TAHAR BEN JELLOUN, intervistato da DANILO CECCARELLI

«È assolutamente normale che i giovani di oggi si mobilitino per dare il loro sostegno ai palestinesi». Lo scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun, 79 anni, quando parla del movimento pro-Gaza emerso negli Stati Uniti evoca una nuova tendenza nata come conseguenza della crisi in corso. Un movimento arrivato anche in Europa: davanti alla prestigiosa università parigina di Sciences Po, già occupata la scorsa settimana, ieri si è tenuto un sit-in con un giovane che ha cominciato lo sciopero della fame, mentre alla Sorbona sono stati evacuati ancora degli studenti. Ma a far discutere sono stati soprattutto gli sgomberi negli atenei americani, con il presidente Biden che ha condannato «il vandalismo e le proteste violente», garantendo che «l’antisemitismo» non ha posto nelle università.

Signor Ben Jelloun, la protesta scoppiata in diverse università statunitensi sembra decisa a continuare nonostante il pugno duro delle autorità. Come si spiega la nascita di un movimento così forte in America?

«È la prima volta che si verifica una mobilitazione simile a favore della Palestina come quella che stiamo vedendo in questi giorni. È un fenomeno di protesta contro Israele esploso un po’ ovunque, non solo negli Stati Uniti ma anche in altri Paesi come Inghilterra, in Italia o qui in Francia e questo fa riflettere. Anche perché la protesta in atto non riguarda solo gli studenti, ma anche alcuni professori che si sono uniti alla contestazione».

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Percorsi di inclusione in diversi ambienti educativi

È online il volume “Pathways to inclusion in different educational environments. Migrant Children and LLL Skills within and Outside Europe”, a cura di Sotiriris PetropoulosRoberta Ricucci e Alessia Rosa. Il testo illustra le fasi principali del Progetto Horizon2020 KIDS4ALLL.

Il Progetto KIDS4ALLL è stato realizzato nell’ambito del Programma di lavoro Horizon2020 SC6 intitolato “Europe in a Changing world – inclusive, innovative and reflective societies” e con particolare riferimento al tema n. 5 incentrato sulle sfide di integrazione dei bambini migranti nei contesti educativi. Il programma mira a sostenere l’inclusione scolastica e a rafforzare e valorizzare le competenze transculturali e interdisciplinari di una popolazione studentesca altamente diversificata, che sempre più conferma l’effettiva necessità di un apprendimento permanente.

Per perseguire questi importanti obiettivi, il Progetto KIDS4ALLL ha sviluppato e testato un metodo di apprendimento basato sul metodo Buddy e sui processi co-creativi in risposta ai bisogni educativi dei bambini e ragazzi, migranti e non, come apripista per un apprendimento continuo e permanente (LLL).

Grazie a diverse attività (ricerca comparativa, formazione con insegnanti, operatori, educatori, volontari, produzione di unità di apprendimento e analisi dei dati, sia qualitativa che quantitativa), il Progetto ha testato il suo metodo di apprendimento e ne ha discusso i risultati tra i partner del Progetto, nonché con i diversi studiosi e stakeholder provenienti dai 17 Paesi dell’UE e non europei che si estendono su tre continenti.

Il libro presenta le esperienze internazionali realizzate e i suoi principali impatti nei vari contesti educativi (formali, informali e non formali), sottolineando come l’approccio all’apprendimento permanente possa favorire l’inclusione sociale.

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