CHIARA SARACENO
Il processo verso l’autonomia differenziata è iniziato, con conseguenze sull’unità e coesione del paese, e lo stesso ruolo dello stato, imprevedibili. In teoria, infatti, il menù di possibili richieste da parte delle regioni includono pressoché tutte le politiche pubbliche, dalla sanità alla scuola, dall’ambiente ai trasporti, dal lavoro alla ricerca.
Nessuno ha nostalgia di un centralismo che spesso si è dimostrato incapace di garantire omogenei diritti e condizioni di cittadinanza su tutto il territorio, lasciando il passo a quello che diversi anni fa avevo definito regionalismo e municipalismo selvaggio, ove le differenziazioni locali non dipendono dalle differenziazioni dei bisogni e dalle specificità dei contesti, ma dalla casualità delle scelte politiche e/o dalla diseguaglianza di risorse. Si pensi solo alla sanità, ma anche alla disponibilità di servizi per l’infanzia, di scuole attrezzate adeguatamente, di servizi sociali, di trasporti adeguati.
Nei decenni trascorsi dalla riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia regionale non si è ancora riusciti a definire i Lep, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni a garanzia di una cittadinanza comune, mentre la litigiosità sui rispettivi poteri di stato e regioni è cresciuta senza alcun vantaggio per i cittadini. Il disegno di legge Calderoli moltiplicherà ulteriormente questa differenziazione senza principi, istituzionalizzandola, senza neppure passare dal Parlamento. Tra le vittime ci sarà la scuola e il suo compito costituzionale di formazione dei cittadini e di rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della personalità, come ha denunciato ieri la sovra-rete EducAzioni in un incontro dedicato ad alcune parole d’ordine con cui l’attuale governo identifica il proprio progetto politico, tra cui, appunto, l’autonomia differenziata (le altre erano merito, natalità, povertà minorile, cittadinanza per i minori stranieri).
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