#CantiereGiovani – Solitudine e socializzazione in un mondo iperconnesso. Cosa è la “Fomo” (Fear of Missing Out)

ALESSANDRO CHIABRERA

I rapidi cambiamenti sociali e la diffusione capillare delle moderne tecnologie hanno reso l’adolescenza un periodo ancora più complesso di quanto già non fosse, moltiplicandone le sfide e mettendo in luce possibilità inedite, così come nuove forme di malessere con cui potenzialmente fare i conti.

Gli adolescenti di oggi sono disposti a parlare più che volentieri di come si sentono, ma spesso sembra che manchino di parole nuove con cui descrivere le proprie difficoltà agli altri. Le parole sono già troppo poche, un vocabolario di emozioni passe-partout che spesso non riesce ad esprimere le vere motivazioni e le articolazioni profonde di un disagio: “sono ansiosa”, “sono depresso”, “ho zero autostima” e via così. Sono parole che descrivono bene una realtà interiore e personale, entrate nell’uso comune e pronunciate con meno reticenza che in passato, ma che forse, in modo distratto, tralasciano l’aspetto più centrale per un adolescente, oggi come in qualsiasi tempo, ovvero la relazione.

Nel mondo iperconnesso in cui crescono i nativi digitali, la relazione è punto di inizio e di fine; è così importante che satura tutto l’orizzonte dell’esperienza. Siamo così profondamente immersi nelle relazioni sociali che perdiamo la possibilità di guardarle da una prospettiva più ampia rispetto a quella in cui le viviamo direttamente. Relazioni che per noi sono come l’ossigeno che respiriamo, tanto necessarie quanto invisibili ai nostri occhi.

Tra i più recenti studi di psicologia si riscontra che per un numero di adolescenti sempre maggiore, l’idea di restare fuori da contesti e reti sociali risulta intollerabile, provoca alti livelli di ansia, forte svalutazione di sé e possibili sensi di colpa che pervadono tutto proprio essere. Per descrivere questo tipo di disagio è stata introdotta una nuova espressione inglese: la Fear of Missing Out (acronimo, Fomo), che letteralmente si traduce come “paura di essere tagliati fuori”, di “essere disconnessi”. È l’angoscia per la possibilità che altri possano avere delle esperienze piacevoli e gratificanti mentre noi restiamo assenti, esclusi. Allo stesso tempo, è un’esigenza pressante di essere sempre connessi, perennemente aggiornati sulle vite altrui e occupati ad aggiornare le nostre. In questo scenario, i social network giocano spesso un ruolo drammatico, si potrebbe dire.

Molti adolescenti fanno dei social network il palcoscenico su cui allestire la rappresentazione non di una pièce, di un pezzo soltanto della propria realtà, ma dell’intera loro esistenza, che in tal modo inizia ad assomigliare sempre più a un bene materiale ad uso e consumo d’altri. D’altro canto, calare il sipario significherebbe totale separazione, insopportabile isolamento. Catturati in questa illusione, si ha il presentimento, più al limite della certezza, che l’unica alternativa alla connessione perenne sia l’angoscia atavica di scomparire. E così, la sola preoccupazione è quella di restare sempre dentro la scena, al di fuori della quale non c’è che un vergognoso oblio, peggiore perfino della morte. Senza che ce ne rendiamo conto, rischiamo di alimentare un circolo vizioso. In modo compulsivo, quasi automatico, rispondiamo ansiosamente alle notifiche dello smartphone, predisponiamo la nostra vita online e offline come se partecipare fosse un imperativo e non la manifestazione di un desiderio autentico di incontrarsi, finendo per sentirci spettatori più che attori del grande palcoscenico della nostra vita, quando invece siamo chiamati ad esserne i protagonisti.

Un adolescente ha bisogno di sperimentare se stesso nei rapporti con gli altri. Soprattutto, oggi più di ieri, ha bisogno di fare esperienza della separazione. Soltanto tramite l’esperienza di essere separati dagli altri può nascere il sentimento di essere liberi e responsabili. Essere separati, che non significa essere soli, ma in grado di scegliere a cosa prendere parte e a cosa no. Di diventare, in fin dei conti, degli adulti.

in L’Osservatore Romano, 14 aprile 2023

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