Demografia. Le culle della diseguaglianza

CHIARA SARACENO

“Lotteria della nascita”, con questa efficace e drammatica immagine nel suo annuale Atlante dell’infanzia a rischio Save the Children mette a fuoco le diseguaglianze nella salute, in rapporto con altre diseguaglianze, appunto di contesto, ambientali, educative (con quelle che gli epidemiologi chiamano le determinanti sociali della salute) e nelle loro conseguenze sul benessere psicofisico delle bambine/i e adolescenti. L’ Atlante descrive le profonde diseguaglianze a tutti i livelli — salute, sviluppo, opportunità di crescita — che caratterizzano le bambine/i e adolescenti oggi in Italia per il fatto di nascere in famiglie di diversa condizione sociale e di abitare in una zona del Paese.

L’origine di nascita continua a essere un destino sociale difficilmente modificabile nonostante l’Italia sia un Paese democratico e a economia avanzata, la cui carta fondativa, la Costituzione, sancisce solennemente (all’articolo 3) l’obbligo della Repubblica a eliminare gli ostacoli che si sovrappongono allo sviluppo della personalità. Ostacoli che per un bambino possono voler dire anche morire precocemente, se la sua mamma non ha avuto accesso a cure e alimentazione adeguate in gravidanza e se alla nascita e nel primo anno di vita non trova le necessarie risorse alimentari, le cure parentali, abitative, mediche.

La “lotteria della nascita” nel nostro Paese si intreccia con la “lotteria territoriale”. Non conta solo da chi si nasce, ma anche dove, a partire dalle stesse chance di sopravvivenza. Lo diamo fatalisticamente per scontato quando consideriamo le diverse possibilità di vita che incontra chi nasce in un Paese povero e in via di sviluppo rispetto al ricco Occidente. Ma vale anche per l’Italia, uno degli otto Paesi più sviluppati e ricchi al mondo. Non più tardi di un anno fa una ricerca di due studiosi pediatri (De Curtis e Simeoni) ha documentato che ancora oggi, nonostante il tasso di mortalità neonatale e infantile (entro il primo anno di età) sia in Italia comparativamente basso, oltre il 45% di tutte le morti nel primo anno di vita avviene nel Mezzogiorno. E un bambino che nasce da genitori residenti nel Mezzogiorno ha un rischio del 50% maggiore di morire prima di compiere unanno rispetto a uno che nasce nel Centro-Nord. La situazione è ancora peggiore per i neonati stranieri.

All’origine di questo drammatico divario nelle chance di sopravvivenza, che si accompagna a peggiori condizioni di salute nel corso della vita per chi sopravvive, sta la maggiore incidenza della povertà nelle regioni meridionali, ma anche la carente distribuzione dei servizi sanitari, a partire dai pediatri (a livello nazionale mancano all’appello nel sistema sanitario nazionale almeno 1.400 pediatri), che a sua volta si somma a minori risorse educative pubbliche, dagli asili nido al tempo pieno scolastico — più in generale a una dotazione più bassa di infrastrutture sociali, dai consultori, per altro progressivamente smantellati e “asciugati” nel personale e prestazioni sul territorio nazionale, alle assistenti sociali.

Un bambino che vive nel Mezzogiorno, se si ammala, ha un rischio di dover migrare in altre regioni per curarsi più elevato del 70% rispetto a un bambino che vive nel Centro o Nord Italia. Tra i bambini più poveri, su tutto il territorio nazionale, molti non vedono mai un pediatra nel corso dell’anno, perché non c’è il pediatra di base o è sovraccarico.

La scuola a tempo pieno, mensa inclusa, è pressoché assente in gran parte del Mezzogiorno, talvolta a partire dalla scuola per l’infanzia, anche se la povertà alimentare è in crescita soprattutto, anche se non solo, in quelle regioni. Si aggiunga anche la diseguale dotazione a livello sia regionale sia infraterritoriale di cinema, teatri, piscine, centri sportivi, ovvero di risorse non solo sanitarie e scolastiche ma fondamentali per una crescita adeguata e in salute. Sono dati su cui si dovrebbe riflettere quando si parla di autonomia differenziata e di distribuzione delle risorse comuni tra regioni sulla base della spesa storica.

Si parla tanto di inverno demografico e della necessità di favorire le scelte positive di fecondità. Ma un Paese che lascia sistematicamente, anche tramite le proprie scelte politiche e amministrative, così tanti bambini e adolescenti privi delle risorse necessarie per crescere adeguatamente se lo merita per intero. Anzi, se lo è preparato sistematicamente da sé.

in “la Repubblica” del 29 novembre 2022

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