Gorbaciov. L’uomo della perestrojka

ELENA LOEWENTHAL

È stato l’ultimo segretario del Partito Comunista ma anche colui che ha azzerato il comunismo là dove esso era stato più reale che mai. Se, come ha detto il grande scrittore israeliano Amos Oz, per cambiare il mondo bisogna diventare – o essere – dei traditori, allora Michail Gorbaciov lo è stato più di tutti, nel corso almeno degli ultimi ottant’anni. Con lui se ne va infatti uno di quegli uomini che hanno dato alla storia, a quella con la s maiuscola anche se a volte non se la merita, una faccia diversa, e per sempre. Fa effetto, infatti, leggere nella sua biografia , che alla voce “suo successore” la casella viene riempita da un “carica abolita”, perché Eltsin, che viene dopo di lui nel 1991, si chiama ormai “presidente della Federazione Russa” e la parola “comunista” è derubricata.

Forse è ancora presto per fare un bilancio di quel che la storia porterà con sé in quel mondo in seguito alla rivoluzione proclamata e portata avanti da quest’uomo: certo le parole “Perestrojka” e “Glasnost”, cioè “riforme” e “trasparenza” allora avevano lasciato il mondo con gli occhi sgranati e la bocca aperta, perché queste parole significavano che il più grande Paese al mondo stava attraversando una rivoluzione non meno drastica e traumatica di quella vissuta neanche un secolo prima, con la caduta dell’impero zarista. E questa nuova rivoluzione russa portava la sigla di un solo uomo, un solo front-man che era lui, che la propugnò e la portò avanti con una risolutezza che pareva da un altro mondo.

Chissà che cosa direbbe oggi, Gorbaciov, di fronte alle rinnovate manie di grandezza imperialista di cui il suo Paese dà prova, di fronte a una guerra così insensata e strascicata. Di fronte a un regime che non ha più nulla della Glasnost e della Perestrojka, che non assomiglia neanche al comunismo reale in cui la Russia è rimasta attanagliata per più di settant’anni, che sogna fors’anche nostalgie dell’Impero ma senza fasti e con uno squallore decadente. La Russia di Putin non è certo il coronamento di quel sogno di riconciliazione che Gorbaciov ha covato per gran parte della sua carriera politica, e che nel 1990 gli procurò il Premio Nobel per la Pace. Persino la sobrietà e trasparenza della sua vita privata, con accanto la sorridente Raissa, sono così lontane dall’alone di machismo e mistero di cui la leadership odierna del paese deve ammantarsi, con schiere di amanti e pose eroiche a torso nudo. Certo, Gorbaciov è sempre stato più amato all’estero che nel suo Paese, dove la diffidenza nei suoi confronti è stata tenace.

Ma quanto la sua lunga carriera politica, i viaggi per il mondo in cerca di un dialogo che fosse costruttivo e innovativo, le riflessioni sul passato e il futuro del regime che guidava, appaiono oggi diverse dalle strategie balzane, tanto machiavelliche quanto goffe, di cui la Russia dà prova in questi tempi. Chissà che cosa direbbe oggi, Gorbaciov, di tutto questo e tanto altro. Lui che una volta dimessosi da Presidente dell’Urss (chissà quanti millenial sono in grado di decifrare questa sigla…) non uscì dalla scena politica e diplomatica internazionale ma ancora si dedicò alla Fondazione non governativa di studi politici ed economici che portava il suo nome, ad attività legate al Women’s World Award di cui era presidente, alla difesa dell’ambiente. Tutti contesti che negli Anni 90 non sembravano così urgenti e oggi invece lo sono eccome.

Se per cambiare il mondo bisogna diventare dei traditori, allora Michail Gorbaciov lo è stato fino in fondo, con una coerenza mirabile, una tenacia mai sopita, un senso della missione politica capace di guardare sempre un po’ più in là, persino oltre gli sconfinati orizzonti della grande Russia.

in “La Stampa” del 31 agosto 2022

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