Economia circolare. Il futuro delle città

MARCO CREMASCHI

L’economia del cowboy o della navicella? Già nel 1966, K. E. Boulding contrapponeva il cowboy che esaurisce le risorse e sposta altrove la frontiera, alla navicella spaziale che ricicla ogni stilla d’acqua e di ossigeno. Questa è la metafora fondante l’economia circolare: il pianeta è una navicella nello spazio, si consuma ciò che è a bordo e non si butta niente.

La sfida era difficile: Barry Commoner pubblica un bestseller dal significativo titolo Chiudere il cerchio nel 1971, ma la sua candidatura alle presidenziali fu un fallimento. I baby-boomers, drogati dal benessere, non vollero appassionarsi all’ecologia. Anche oggi, le politiche di crescita ignorano i dilemmi ambientali e drogano l’economia, rottamando auto e televisioni, creando rifiuti e nuovi problemi.

Dopo il Covid, i valori sono cambiati. Nelle elezioni locali in Francia le grandi città sono in mano ai verdi, che sono determinanti nella formazione del governo in Germania. Il Pnrr dell’Unione Europea premia la transizione. In Italia, il ministro Cingolani ribattezza il ministero in questo senso. Non a caso, salute, povertà, lavoro e clima (più che immigrazione e giustizia) sono largamente le prime preoccupazioni degli italiani nei sondaggi d’Eurobarometro. Ma, siamone certi, la transizione non avverrà per caso o per buona volontà, ma grazie a una nuova pianificazione. Se ne parlerà oggi ai Dialoghi Italo-Francesi per l’Europa organizzati da Luiss, Sciences Po e Ambrosetti. Occorre consumare meno, ma soprattutto ridisegnare il ciclo di vita dei prodotti e, ancora di più, progettare oggetti e processi in funzione del reimpiego. Per combinare politica e design ci vogliono flessibilità, dialogo e apprendimento.

Questo è il ruolo delle città, che navicelle non sono ma possono essere il booster del pianetaastronave. Le città importano energia e cibo, emettono inquinanti; sono però il centro cognitivo della società, dove si procede più rapidamente al risparmio e all’innovazione. La sfida resta difficile. La rigenerazione urbana è purtroppo un esempio negativo. La città di Genova ha abbattuto quest’anno la “diga”, un palazzone Iacp (Istituto autonomo case popolari) degli anni Settanta divenuto simbolo di degrado; l’atto simbolico ha prevalso sulla valutazione ambientale. In Francia, ma non solo, un’agenzia statale rade al suolo gli alloggi popolari per sostituirli con ecoquartieri: peccato che espella i ceti meno abbienti. Facile concludere che l’amministrazione pubblica dell’urbanistica non è attrezzata a dovere.

Soprattutto, il diavolo sta nell’attuazione. La società che gestisce il nuovo metro di Parigi aveva l’obiettivo di riciclare la terra di scavo. Un programma ambizioso, che sfruttava chiatte e promuoveva il riuso ma che non è stato sufficiente: la metà degli scavi finisce comunque in discarica, occupando terre agricole perché meno costose. Il problema non è tecnico o organizzativo, come constata una ricerca dottorale in corso a SciencesPo: in un ambiente urbano saturo, dove mancano i siti per la cernita delle terre e il coordinamento con gli attori del riciclo, la natura politica e culturale dell’operazione è stata sottovalutata. La grande società ha un deficit di capacità politica.

Una nuova pianificazione nel pubblico come nelle imprese? Esempi e sperimentazioni di successo sono dappertutto. L’ultimo Pritzker, il Nobel degli architetti, è andato ai francesi Lacaton e Vassal, poetici campioni del riciclo e del low-tech. Milano sta piantando migliaia di alberi per ridurre il surriscaldamento urbano. La sharing economy afferma con rapidità sorprendente modelli circolari di mobilità e lavoro. L’arresto del consumo di suolo guadagna consensi per potenziare l’agricoltura urbana e ridurre i trasporti.

Molto resta da fare: chi se non l’università e la ricerca può stimolare l’intelligenza ambientale di stato e società? Il Mur (Ministero dell’Università e della Ricerca) sollecita gli atenei ad associarsi in programmi finalizzati. Bruxelles ha dato un esempio migliore unificando l’aprile scorso i centri di ricerca su clima, infrastrutture, ambiente e giustizia spaziale: competenze trasversali e regia unitaria sono indispensabili per riconvertire le piattaforme produttive urbane già provate dal Covid.

Marco Cremaschi in “la Repubblica” del 12 ottobre 2021