Ecologia. Una minacciosa pandemia della plastica colpisce l’Europa

Il 2020 sarebbe dovuto essere un anno importante per le questioni ambientali in Europa. Infatti, i paesi membri avrebbero dovuto raggiungere due fondamentali traguardi dell’agenda Europa 2020.

Tuttavia, la pandemia ha segnato un passo indietro per quanto riguarda le misure europee ambientali dal momento che l’attenzione politica si è spostata sull’emergenza sanitaria. Inoltre, con il coronavirus è aumentato esponenzialmente l’utilizzo di dispositivi sanitari, quali le mascherine, i guanti, i disinfettanti e gli imballaggi anti-contagio. La maggior parte di questi sono composti di plastica, il che ha determinato un aumento evidente della produzione di questo materiale.

Il 2021 avrebbe dovuto essere il punto di svolta per l’Europa ecologica. A luglio, la direttiva comunitaria che limita la plastica monouso entrerà in vigore come parte di un’ambiziosa strategia di transizione verso un’economia circolare. Invece, è stato l’anno in cui  ci si è resi conto di quanto ancora siamo dipendenti dalla plastica, soprattutto quella monouso.

Il problema dei rifiuti di imballaggi di plastica

Non vi è una cifra esatta di quanti dispositivi di protezione individuale siano stati utilizzati dall’arrivo del Covid-19. Tuttavia, un’analisi della Conferenza delle nazioni sul commercio e lo sviluppo evidenzia come il commercio legato alle mascherine sia moltiplicato di circa 200 volte. Infatti, si stima sia passato da 800 milioni a 166 miliardi di dollari in un anno.

Alcuni studi recenti ritengono che siano 7 miliardi i dispositivi sanitari utilizzati al giorno a livello globale, 210 miliardi ogni mese. I paesi dell’Ue ne consumano all’incirca un miliardo al giorno che, in termini di peso (una mascherina pesa circa 3 grammi), equivale a circa 1.600 tonnellate che finiscono quotidianamente nei rifiuti.

Questo scenario aggrava ulteriormente quello preesistente alla pandemia, in cui si notava già un forte aumento degli imballaggi di plastica tra i rifiuti degli europei.

A questa crescita si aggiunge l’ondata di plastica che si sta diffondendo in tutto il mondo attraverso i dispositivi sanitari utilizzati dall’inizio della pandemia.

Secondo il recente rapporto Transparent 2020 del Wwf, pubblicato durante la prima ondata, si evince come se anche solo l’1% delle mascherine venisse disperso accidentalmente nell’ambiente questo avrebbe un importante impatto su prati, boschi, torrenti e mari. Considerando solo l’Unione europea si tratta dunque di 16-32 tonnellate al giorno di maschere per il viso.

Paradossalmente, le mascherine sono fatte in gran parte di polipropilene, un materiale riciclabile, ma per evitare il rischio di contagio non possono essere differenziati dagli altri rifiuti. Da questo si delinea un elemento di criticità. Infatti, c’è il rischio che molta della plastica non riciclata finisca in mare, frammentandosi in microplastiche. Così facendo si andrebbe ad alimentare l’inquinamento e la distruzione dell’ecosistema marino.

Recuperare la plastica come alternativa

Nonostante i numeri sbalorditivi, è ancora presto per dire se in termini assoluti la plastica legata alla pandemia avrà davvero un impatto sulle tendenze della plastica nel lungo termine. Considerando che l’Unione europea negli ultimi anni si è impegnata nell’adottare una strategia di transizione verso un’economia circolare.

Gli imballaggi di plastica infatti, se correttamente riciclati, possono essere utilizzati come fonte di energia, riducendo quindi i rifiuti che finiscono nelle discariche.

Dai dati di Our world in data emerge come sia solo dal 1981 che in Europa si inizino a recuperare i rifiuti composti da imballaggi di plastica per poterli convertire in fonte energetica.

Nel corso degli anni quest’operazione ha assunto un peso sempre più crescente. Infatti nel 2015 sono stati recuperati più di 170 milioni di tonnellate di imballaggi di plastica. Tuttavia, rimane un dato nettamente più basso rispetto a quello del non recuperato che, nel 2015, era pari a più di 209 mln t.

Da questa situazione si può comunque scorgere un segnale positivo. Infatti, seppur la percentuale di recuperato rimane inferiore a quella del non recuperato, la differenza tra questi si è assottigliata. Nel 1981 il recuperato era pari solo all’1,7% del prodotto. Nel 2018 la quota sale fino al 45%.

Per saperne di più leggi l’articolo dell’Osservatorio Transeuropa, Covid-19: the plastic pandemic, nella versione italiana o inglese ita eng

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