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Intelligenza artificiale e sicurezza: come cambia la geopolitica con le nuove tecnologie

SIMONE UNGARO, intervistato da ANTONIO SANTAMATO

Supercomputer, digitalizzazione, geopolitica, multidominio. Cosa sta cambiando e cosa è già cambiato con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel campo civile e militare? In che modo la collaborazione internazionale viene influenzata dalle nuove dinamiche introdotte dalla tecnologia nel campo della sicurezza informatica? Ne abbiamo parlato con Simone Ungaro, Chief Innovation Officer di Leonardo.

Viviamo conflitti globali sempre più imponenti. Conflitti che però si fanno sempre più con la tecnologia. Ci puoi spiegare cosa sta succedendo e quanto cambia lo scenario geopolitico con questa geografia della minaccia informatica?

Innanzitutto, la minaccia informatica diventa tale se viene utilizzata per fare del male, altrimenti l’informatica è neutra. Poi, come al solito, con un coltello ci posso tagliare una mela, ma ci posso uccidere anche una persona. Dipende dall’utilizzo. Lo scenario geopolitico e dei conflitti globali sta cambiando perché si stanno diffondendo sempre di più nuove tecnologie data centriche, che quindi utilizzano il dato grazie a digitalizzazione ed elaborazione di informazioni. Quello che viene definito ‘multidominio’ – ovvero lo scenario terra, mare, aria e Spazio – è sempre più integrato attraverso tecnologie che riescono a passare l’informazione da una parte all’altra. Le tecnologie stanno andando sempre più nella direzione di elaborare le minacce, grazie all’intelligenza artificiale, e di trasformare questa informazione in un dato che entra in un sistema integrato, un ecosistema comunicante tra i vari domini. Vuol dire che quelle informazioni, quei byte, passano da un dominio all’altro e così lo scenario di battaglia diventa più digitalizzato: abbiamo i bullet, ma anche i byte. E questo cambia chiaramente il paradigma.

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Russia. Un Paese immenso e ricchissimo di risorse

NICOLA ARMAROLI

Quindici anni fa mostravo nelle conferenze la pubblicità di una grande azienda petrolifera che recitava: «Nel mondo ci sono 193 nazioni, nessuna è energeticamente indipendente». In effetti neanche l’Arabia Saudita lo è: non riesce a raffinare tutto il petrolio che le serve. Oggi, per sottolineare questo concetto più che mai importante, mostro un planisfero che evidenzia un fatto cui occorre rassegnarsi: le risorse della Terra sono localizzate. Per esempio, petrolio e gas si trovano principalmente tra la Siberia e il Golfo Persico, in Nord America e in Venezuela; il litio e il rame in Sud America e in Australia; le terre rare in Cina; i metalli preziosi in Russia e Sud Africa.
Su un pianeta fatto così, vi è una sola strategia per avere successo nella transizione energeticacooperare. Nessuna nazione al mondo può infatti pensare di farcela da sola: per non affondare tutti insieme, dobbiamo condividere risorse, conoscenza, regole, apparati industriali. Purtroppo, in questi mesi, il mondo si è mosso in direzione opposta. L’invasione russa dell’Ucraina ha innescato una spirale di tensione che restringe, anziché allargare, gli spazi di cooperazione.

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Un Piano nazionale di ripresa e resilienza con una grande vision di futuro

VITTORIO COGLIATI DEZZA

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è il cuore dello scontro che ha provocato l’attuale crisi politica ed è il cuore delle sfide che il nuovo governo deve affrontare. Può farlo in due modi: o provando a mediare nello scontro tra i vari centri di potere che vorrebbero mettere le mani sul tesoro del NextGenerationEU, oppure prioritariamente disegnando la strada per la ripresa del Paese.

L’Europa prova a spingere nella seconda direzione e detta scenari, soglie e paletti che disegnano un percorso di speranza e vitalità per la next generation europea: rivoluzione verde e innovazione digitale, insieme a inclusione e coesione sociale e territoriale. O, per dirla nel linguaggio del Forum Disuguaglianze e Diversità, un percorso in cui non c’è giustizia ambientale senza giustizia sociale. Il Pnrr approvato dal governo Conte, oggi in discussione in parlamento, rispecchia le indicazioni europee nelle premesse, ma le sconfessa nelle proposte di intervento, secondo la più vieta tradizione del “gattopardismo” nostrano. 

Quello che emerge è una visione superficiale della transizione ecologica, vista solo come adeguamento tecnologico, senza connessioni con le trasformazioni sociali e culturali necessarie ad affrontare le emergenze e le sfide del nostro tempo. Gli interventi green previsti si configurano, infatti, come una sequenza di interventi tecnici nel sistema energetico e produttivo, con qualche incursione nella mobilità, per rispondere agli obiettivi della decarbonizzazione.

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