I ragazzi e le proteste che cambiano il mondo

MASSIMO AMMANITI

Lo scenario sociale di questi giorni è inquietante: ragazzini e ragazzine che protestano nelle strade e di fronte ai luoghi del potere contro le violenze della polizia subìte dai loro coetanei a Pisa, mentre il governo rimane trincerato nel proprio silenzio limitandosi a promettere indagini. È più che comprensibile che nella vita quotidiana quando ci si senta in imbarazzo e in difficoltà si preferisca negare o addirittura rimuovere il problema evitando di prenderlo in considerazione, ma se questo riguarda un governo è doveroso che quest’ultimo risponda alle critiche dei familiari dei ragazzi e dei partiti di opposizione per far luce su quello che è successo ed eventualmente prendere dei provvedimenti. E soprattutto rammaricarsi e scusarsi con i ragazzi che manifestavano pacificamente la propria solidarietà al popolo palestinese e sono stati aggrediti con lunghi manganelli senza nessuna giustificazione di ordine pubblico.

Ma forse la risposta è un’altra, gli adolescenti sono percepiti da questo governo come una minaccia, perché possono protestare e manifestare il proprio dissenso, possono criticare le istituzioni scolastiche e addirittura occupare le scuole per far sentire la propria voce. Purtroppo di fronte a queste manifestazioni e a questi comportamenti non ci si chiede quale sia il motivo del loro malessere, in un momento storico nel quale si susseguono guerre e violenze, cambiamenti climatici ed inquinamenti atmosferici che stanno ipotecando il loro futuro, dal momento che saranno loro a dover prendere il testimone dalle generazioni dei genitori e dei nonni. Per non parlare dell’isolamento e delle rinunce che hanno vissuto durante la pandemia con un futuro che si prospetta nebuloso per quanto riguarda il lavoro e la loro stessa vita.

Dovrebbe essere un impegno di noi adulti cercare di capire le loro inquietudini e le loro ansie, anche perché stiamo consegnando loro un mondo poco ospitale, condizionato da trasformazioni tecnologiche inarrestabili che rendono spesso precaria l’identità umana. Aggiungerei che il loro sguardo e le loro osservazioni più immediate e spontanee potrebbero fornirci una visione del mondo non offuscata dai pregiudizi e dal disincanto degli adulti, che potrebbero ritrovare la curiosità e la capacità di meravigliarsi e di indignarsi tipiche di questa fase della vita. Per avvicinarsi al mondo degli adolescenti occorre essere in grado di decentrarsi, ossia di non rimanere ancorati alle proprie convinzioni ritenendo che la propria visione della vita sia l’unica legittima, senza mai porsi un interrogativo su sé stessi e non avendo mai un dubbio.

Purtroppo questo atteggiamento è tipico delle antropologie autoritarie che si sono manifestate in forme estremizzate nelle dittature del passato e del presente, ma che continuano a sopravvivere in quelle persone che pretendono che i giovani debbano personificare le proprie convinzioni e le proprie aspettative, senza tener presente che in questa fase della vita si ha bisogno di sperimentare la propria autonomia e fare le necessarie esplorazioni. Ed è tipico di queste personalità autoritarie l’intolleranza verso le minoranze, verso i migranti e verso quanti mostrino comportamenti non convenzionali percepiti come un pericolo per la propria identità. Ne abbiamo avuto esperienza durante la pandemia con i no-vax che criticavano quanti si allarmavano e cercavano di porre rimedio alla pandemia perché mettevano in discussione le loro certezze.

Gli adolescenti non possono non generare incomprensioni ed insofferenze in queste persone: sono diversi, contestano spesso gli adulti, manifestano comportamenti contrastanti e sbalzi di umore, criticano gli insegnanti se non si sentono riconosciuti e poi a volte rifiutano le categorie del gender dichiarandosi gay. Eppure grazie ai giovani il mondo è cambiato profondamente negli ultimi decenni, hanno trasformato la vita familiare mettendone in discussione la rigidità dei ruoli e delle regole, come anche dell’organizzazione scolastica che ha dovuto aprirsi a ragazze e ragazzi di classi sociali diverse, in altri termini hanno contribuito a sviluppare la propria «cultura giovanile autonoma» come è stata definita dallo storico inglese Eric Hobsbawn.

Gli adolescenti non sono né di destra né di sinistra, quantunque a volte ne utilizzino parole d’ordine e simbologie, sono soprattutto adolescenti che stanno attraversando la difficile transizione verso l’età adulta, nella quale il loro corpo cambia, come il cervello che va incontro a maturazione e poi sono impegnati a costruire ogni giorno la propria identità con la quale entreranno nel mondo adulto.

Come scrive lo psicoanalista e pediatra inglese Donald Winnicott, dobbiamo consentire ai giovani di vivere la loro adolescenza senza pretendere né di accelerarla né di indirizzarla, sono loro a dover trovare la propria strada superando momenti di scoramento e fasi di stagnazione fino a che non vedano una luce che si apre di fronte a loro.

in “La Stampa” del 29 febbraio 2024

Contrassegnato da tag