Un allarme in Germania per le sirene post-fasciste

DONATELLA DI CESARE

In Germania la crisi morde. Basta farsi un giro per le periferie delle grandi città – Amburgo, Berlino, Monaco – ma anche nelle cittadine e nei borghi di provincia. E questa volta l’impressione è che si tratti di una crisi strutturale e grave, che non riguarda solo la produzione. D’altronde c’era da aspettarselo. La Germania degli ultimi decenni si era proiettata a Est, verso la Russia e verso la Cina, con investimenti a largo raggio, dall’industria alla cultura.

Il terremoto della terza guerra mondiale l’ha investita in pieno destabilizzandola profondamente – forse più di quanto avvenga in altri Paesi europei (a parte l’Italia). D’un tratto emergono tutte le contraddizioni della politica tedesca, affiorano i problemi che gli ultimi governi (Merkel compresa) avevano lasciato sotto il tappeto. La differenza, però, rispetto a prima sta nelle difficoltà evidenti dei partiti tradizionali, soprattutto del Spd, che appaiono sempre più sopraffatti dalle sfide che hanno di fronte. L’emblema di ciò è Olaf Scholz, uno sbiadito burocrate che avrà certo competenze settoriali, ma che finora si è distinto per la sua assenza (lamentata da molti concittadini) e la sua mancanza di feeling e senso politico.

La vera novità nella Germania di oggi è costituita però da una frattura, che non si era mai vista nelle forme attuali, tra una destra estrema, che si fa partito preparandosi a prendere il potere, e quella che chiamerei una “sinistra diffusa”, democratica e antifascista, che si è letteralmente riversata nelle piazze. Si tratta di una sinistra che, pur non sentendosi in buona parte rappresentata e unita da un partito, non è disposta a indietreggiare.

Qual è il messaggio di quelle piazze? Credo sia un messaggio che vale anche per noi in Italia. Si condensa nella parola “allarme”. Occorre vigilanza in questi mesi preelettorali perché il fascismo non è un fenomeno chiuso nei libri di storia – e neppure il nazional-socialismo. C’è un post-fascismo, c’è una nuova destra che, in continuità con quella degli anni Trenta, è capace di intervenire sugli scottanti temi attuali, di prendere posizione e fornire soprattutto soluzioni semplificatorie, rozze, brutali, in grado però di far presa su molti.

Questa è la sfida della “alternativa” per la Germania, un’alternativa sovranista, nazionalistica, razzista, quella di Afd, che si diffonde sempre di più facendo leva sul malcontento. Ad esempio nel movimento dei trattori, cioè tra i proprietari di piccole fattorie (a Ovest – non a Est, dove sono invece grandi fattorie) che rischiano di chiudere. Ma i casi del genere sembrano destinati a moltiplicarsi. La parola d’ordine Remigration, il neologismo introdotto da Afd, pur essendo stata votata dallo Spiegel come la parola più brutta dell’anno, compendia la promessa della nuova destra: la Germania ai tedeschi. Fuori immigrati, profughi di ogni dove, ucraini compresi. Chi decide chi è “tedesco”? Quali criteri? Nato dove, da chi? Riaffiorano vecchi spettri. Ecco l’allarme delle piazze tedesche che mai, assolutamente mai, accetterebbero nello spazio pubblico il saluto romano.

La situazione è incandescente e lo scontro è destinato ad acuirsi perché la nuova destra, per quanto estrema possa essere, sembra molto più radicata di quanto si immagini. E forse proprio qui sta la sorpresa. Evidentemente alcuni temi erano stati solo accantonati. Né si può sottovalutare il sogno sempre nutrito di una Grande Germania alla guida dell’Occidente autentico, quello non-americano. Un sogno che riaffiora nel naufragio europeo. Segnali vengono infatti anche dalla destra tradizionale. Dalla Cdu si è definitivamente staccata la Werteunion (Unione dei valori), un gruppo conservatore che, scontento della politica europeista della Merkel, oggi strizza l’occhio ad Afd. È persino possibile che nel Land orientale della Turingia venga suggellata l’alleanza: così i conservatori permetterebbero alla destra estrema (già primo partito) di andare al governo. Un richiamo oscuro, se si pensa che proprio lì cominciò la scalata del nazional-socialismo.

Resta l’argine delle piazze, la mobilitazione senza precedenti della sinistra diffusa, meno rossobruna di quella nostrana, meno sovranista e patriottica (nonostante il partitino di Wagenknecht), capace proprio per questo di opporre resistenza, sia politica sia culturale. Ha contribuito a ciò anche il modo, aperto e approfondito, in cui si discutono in Germania i temi attuali: il post-fascismo, la migrazione, il dissenso, ecc. Non con le categorie degli anni Ottanta o Novanta, ma attraverso i mezzi elaborati dalla riflessione contemporanea. Oltre a captare il messaggio di allarme la sinistra italiana dovrebbe seguire questo suggerimento e, anziché lanciare richiami per lupi, consentire e favorire un dibattito pubblico articolato. Solo da qui passa la resistenza alla sfida della destra.

in “il Fatto Quotidiano” del 26 gennaio 2024

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