Guerra. Da Gaza a Iraq, Siria, Pakistan. L’escalation é già in atto

ISPI, focus

L’Iran entra in azione e con una serie di attacchi coordinati colpisce, in meno di 48 ore, obiettivi in Pakistan, Iraq e Siria. Il ministero degli Esteri pakistano ha accusato la Repubblica islamica di aver ucciso dei civili, colpendo alcune abitazioni nella regione frontaliera del Belucistan, “in violazione dello spazio aereo e della sovranità pakistana”. Teheran – i cui rapporti con Islamabad sono tesi da tempo a causa delle attività dei gruppi separatisti che operano sul confine – risponde che i suoi missili hanno raggiunto le basi di un gruppo militante sunnita, Jaish al-Adl (Esercito della giustizia). 

L’attacco avviene all’indomani di due raid missilistici in Siria e Iraq, parte di una serie di rappresaglie, sulla scia del doppio attentato suicida nella città di Kerman il 3 gennaio che ha ucciso più di 80 iraniani ed è stato rivendicato dallo Stato Islamico (IS). Non è chiaro se Teheran creda in un coinvolgimento di Jaish al-Adl nell’attentato o se si stia scagliando contro nemici regionali per soddisfare le richieste di vendetta interne. In uno scontro incrociato – per il momento ancora indiretto – l’esercito americano intanto è tornato a colpire i ribelli filoiraniani in Yemen, mentre Israele ha lanciato il più massiccio attacco contro i miliziani di Hezbollah nel sud del Libano. Tutti segnali inequivocabili del fatto che la temuta escalation appare sempre più una realtà nell’intera regione e oltre.

L’instabilità è contagiosa?

Se le rappresaglie iraniane per l’attacco di Kerman non hanno, in teoria, alcun collegamento diretto con la guerra di Gaza, arrivano in un momento in cui il conflitto sta già diffondendo instabilità lungo le coste del Mar Rosso. Gli attacchi alle imbarcazioni da parte dei ribelli Houthi – che dichiarano di agire contro gli interessi israeliani e in solidarietà con i palestinesi a Gaza – hanno portato gli Stati Uniti e i loro alleati a effettuare per la prima volta dei bombardamenti in Yemen, mirati alle posizioni Houthi. I raid, tuttavia, non sembrano aver placato le aggressioni: nell’ultimo attacco, ieri, una nave mercantile greca è stata colpita da un missile mentre si dirigeva verso il canale di Suez. Funzionari greci hanno detto che la Zografia, rimasta in navigazione, era partita dal Vietnam con destinazione Israele. Non sono stati segnalati feriti. Nella serata di oggi  l’amministrazione Biden ha annunciato l’intenzione di reinserire gli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche globali. Designato come gruppo terrorista durante la presidenza di Donald Trump, il movimento sostenuto dall’Iran era stato rimosso dalla stessa lista dal presidente Joe Biden nel 2021, per consentire l’ingresso di aiuti umanitari in Yemen. 

Gaza: cosa verrà dopo?

Intanto prosegue il conflitto nella Striscia di Gaza. Nelle ultime ore le forze israeliane si sarebbero ritirate dall’area intorno al più grande ospedale della città di Khan Younis, nel sud della Striscia, dopo che il loro avvicinamento aveva scatenato il panico tra le migliaia di persone che vi si rifugiavano. Inoltre, eri militanti palestinesi hanno lanciato 25 razzi contro la città israeliana di Netivot e, sebbene non ci siano state vittime, l’attacco è stato utilizzato dal consiglio di guerra del primo ministro Benjamin Netanyahu per smentire le previsioni secondo cui Israele si starebbe orientando verso una campagna più mirata a Gaza. Mentre la guerra entra nel quarto mese, Israele ha detto poco o nulla sui suoi piani per Gaza nel dopoguerra, creando un vuoto nel quale l’estrema destra – sottolinea la CNN – ha avuto buon gioco nell’infiltrarsi promuovendo l’idea di ripristinare un controllo israeliano sul territorio, deportando la popolazione palestinese. La settimana scorsa Israele è stato accusato di genocidio dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia, secondo cui la campagna militare israeliana era intesa a “portare alla distruzione” della popolazione palestinese, e che i commenti dei leader israeliani segnalano il loro “intento genocida”. Israele  ha negato l’accusa definendola una distorsione del significato stesso del termine “genocidio”.

Si rischia uno scontro diretto?

Gli ultimi due giorni sono stati la dimostrazione di forza più diretta dell’Iran dal gennaio 2020, quando Teheran rispose all’uccisione del Generale Qassem Suleimani da parte di Washington con attacchi missilistici sulle truppe statunitensi in Iraq. Intervenendo al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian è stato chiaro: “Se il genocidio a Gaza si ferma, ciò porterà alla fine di altre crisi e attacchi nella regione”. Amir-Abdollahian ha affermato di aver avuto in proposito due colloqui con il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah negli ultimi due mesi e ha aggiunto che la sicurezza marittima nel Mar Rosso, nel Golfo di Oman e nel Golfo Persico “sono importanti per l’Iran”, esportatore di petrolio, sostenendo anche che Teheran ha informazioni secondo cui yemeniti e sauditi si starebbero avvicinando a “un accordo di pace sostanziale”. Preoccupazione condivisa anche dall’Arabia Saudita il cui ministro degli Esteri, principe Faisal bin Farhan ha chiarito sempre da Davos che “la priorità deve essere la de-escalation nel Mar Rosso e nell’intera regione attraverso il cessate il fuoco a Gaza”. Esattamente l’opposto di quanto sta avvenendo. Dei dieci missili che hanno colpito Erbil, alcuni sono atterrati a pochi metri dal consolato americano, riflettendo il rischio che presto o tardi, uno di questi attacchi possa portare a uno scontro diretto tra Stati Uniti e Iran, che al momento tutti dicono di non volere.

Da Gaza al Pakistan. L’escalation é già in atto

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