In guerra a pagare e morire sono i poveri. La lezione di pace di Mazzolari e Milani

LAURA CAFFAGNINI

A Bozzolo (Mantova) in quattrocento si sono riuniti per una giornata di riflessione. A confronto don Luigi Pisani, don Bruno Bignami, Matteo Truffelli, Rosy Bindi e Paolo Gualandris.

«Essere organizzatori di pace» è l’invito emerso il 13 gennaio a Bozzolo nella Giornata mazzolariana sulla pace dal titolo “Guerra alla guerra. Mazzolari e Milani profeti di pace”. Significa, ha spiegato don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, «appassionarci, orientarci non solo verso il “no” alla guerra e alle armi, giustissimo, ma anche aprire fronti di pacificazione e relazioni, strutturare reti là dove viviamo. In un’espressione mazzolariana: mondializzare la pace». L’evento – organizzato dalla Fondazione don Primo Mazzolari con il Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani presieduto da Rosy Bindi, la Fondazione I Care e la collaborazione della parrocchia e del Comune di Bozzolo – ha fatto incontrare quattrocento persone di diverse regioni appassionate nell’ascolto e nel confronto. In apertura il parroco don Luigi Pisani ha letto un caloroso messaggio di papa Francesco inviato attraverso il cardinale Parolin «con la speranza che l’evento susciti il rinnovato impegno nella promozione dell’autentica pace».

Nella chiesa di San Pietro – presenti il sindaco, membri della diocesi di Cremona, Acli, Azione Cattolica, Pax Christi, Focolari – la giornata è stata introdotta da Matteo Truffelli, presidente della Fondazione don Primo Mazzolari, seguito dagli interventi di Bignami e Bindi moderati da Paolo Gualandris, direttore del quotidiano La Provincia. Dopo un buffet in oratorio, in cinque gruppi di lavoro si è dialogato su esperienze e scelte di pace nella Chiesa e nella società. Al termine una preghiera alla tomba di don Primo dove aveva sostato il Papa il 20 giugno 2017.

In questo tempo di “guerra mondiale a pezzi”, Mazzolari e Milani, uniti dalla passione per Dio e l’umanità, che «fecero della pace la propria ostinazione, rifiutarono di assuefarsi al diritto del più forte e si opposero alla logica amico-nemico», ci ricordano, ha detto Truffelli, che «tocca a noi – comunità civile, scuola e università, mondo della cultura, associazionismo e volontariato, Chiesa e istituzioni politiche – lottare per muovere “guerra alla guerra”. Tocca a noi la responsabilità di coltivare e far crescere una cultura della pace in tutti i campi: quello dell’informazione, degli investimenti economici, della diplomazia, dello sviluppo tecnologico».

Ripercorrendo l’evoluzione di don Mazzolari che, sperimentando la cruda realtà della guerra passò dall’interventista convinto che era all’araldo della pace e dell’obiezione di coscienza, don Bignami ha sottolineato che la guerra è un’offesa ai poveri, la sconfitta dell’umanità, e nella forma odierna porta alla distruzione totale. Oggi, ha detto, occorre educare a pensare la guerra a partire dai drammi delle vittime; superare l’idea che sia lo strumento per risolvere i conflitti; costruire una cultura della pace attraverso la formazione delle coscienze. «Sul tema della pace abbiamo fatto passi indietro» ha osservato Rosy Bindi citando la crisi degli organismi sovranazionali e della politica, la corsa agli armamenti, l’economia di guerra, le contraddizioni interne alle democrazie. Il primo investimento da fare è sulle nuove generazioni. «Le parole di questi due giganti sono oggi più che mai attuali e ritornano in papa Francesco che sta dalla parte dei poveri e della pace perché questo è Vangelo».

L’opposizione di don Milani alla guerra nelle lettere ai cappellani militari e ai giudici – ha proseguito l’ex ministra –, è strettamente legata alla questione dei poveri e degli oppressi. «Le guerre sono tutte ingiuste anche perché sono decise da una ristretta classe dirigente che non rappresenta il popolo nella sua pienezza, ma lo manda al macello. La guerra per don Milani è la massima espressione delle contraddizioni del sistema capitalistico di cui lui intravedeva le conseguenze negative sul piano delle diseguaglianze». La frase “l’obbedienza non è più una virtù” «è riconducibile al fatto che chi paga per disobbedire a una legge che ritiene ingiusta ha nei confronti dell’obbedienza alla legge una considerazione molto più alta di chi obbedisce acriticamente». Per il priore di Barbiana, «come c’è uno stretto legame tra pace e democrazia, tirannia e guerra, c’è uno strettissimo legame tra pace ed esercizio della sovranità dei cittadini. La figura del cittadino sovrano è “mi sta a cuore” contrapposto al “me ne frego” fascista», da cui deriva «quella responsabilità in solido che ciascuno di noi ha nei confronti delle atrocità della guerra».

in Avvenire, 16 gennaio 2024

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