Il drammatico destino dell’Africa

GIULIO ALBANESE

Paradossalmente la grande ricchezza del sottosuolo continua a essere la fonte delle «maledizioni» perché scatena gli appetiti internazionali. Il nodo del debito pubblico che nel 2023 ha raggiunto quota 1.140 miliardi di dollari. Una gigantesca crisi, con centinaia di migliaia di sfollati, è in corso in Sudan da 9 mesi: una guerra innescata da potenze esterne.

All’inizio dell’anno è forse lecito domandarsi: il 2024 cosa riserverà per l’Africa? Nessuno dispone di una sfera di cristallo per fare previsioni, poiché potrebbero esserci eventi o sviluppi imprevisti che cambieranno il futuro in modo inaspettato. La guerra russo-ucraina che insanguina l’Europa orientale ha drammaticamente rimesso in discussione i già precari equilibri internazionali, con conseguenze e riflessi anche sui Paesi africani. A questa si è aggiunta la crisi israelo-palestinese che, per l’entità delle violenze, sta generando notevoli turbolenze nel mondo arabo.

Un’alta posta in gioco

La posta in gioco per l’Africa è alta se si considera il posizionamento che si sta determinando nel nuovo contesto geopolitico e geoeconomico internazionale: l’affermazione del cosiddetto Global South (Sud Globale). Versione riveduta e corretta dei non allineati, ha il merito di dar conto del fatto che molti Paesi in Africa, ma anche in Asia e in America Latina, si trovano a dover scegliere tra le economie avanzate occidentali e i suoi antagonisti, sperando così di guadagnare spazi di manovra e influenza regionale. L’ingresso dell’Egitto e dell’Etiopia nel cartello dei Brics (Brasile, Russia India, Cina e Sudafrica), il primo gennaio, è segno comunque di un cambiamento nei futuri assetti che non può essere affatto sottovalutato. Se nel 2023, una delle grandi preoccupazioni che assillavano i principali decisori politici africani era quella di evitare, nei limiti del possibile, di finire invischiati nelle contese tra le principali potenze industrializzate, è evidente che da ora in poi qualcosa cambierà necessariamente per causa di forza maggiore.

Addio all’Occidente

Sulla base delle tendenze attuali lo scenario più probabile per il futuro dell’Africa nel 2024 è quello di un suo graduale allontanamento dall’area d’influenza occidentale. Negli ultimi due decenni, il focus delle esportazioni africane, particolarmente dalla macroregione subsahariana, si è spostato verso Cina e India, con quote in significativo calo per Stati Uniti e Unione Europea. D’altronde, la transizione energetica verde e la trasformazione digitale a cui tutti i grandi player internazionali ambiscono pongono l’Africa, particolarmente la macroregione subsahariana come punto focale per ogni genere di partenariato. Infatti le immense ricchezze del sottosuolo – dal cobalto al rutilio; dal rame agli idrocarburi (petrolio e gas); dai giacimenti di oro, diamanti, uranio, cassiterite (da cui si ottiene lo stagno), manganese, piombo, zinco… – hanno scatenato una competizione senza precedenti.

Da questa fenomenologia dipende in gran parte l’instabilità cronica dell’Africa che si manifesta nel progressivo diffondersi e perdurare di numerosi conflitti armati a livello continentale, anche legati alle debolezze nei processi di state-building e nation-building. Vi sono infatti numerose aree dell’Africa subsahariana in cui si delineano settori più o meno consistenti controllati da truppe filogovernative, formazioni ribelli (molte di matrice jihadista) e taskforce straniere. Basti pensare nel suo complesso alla fascia saheliana (Burkina Faso, Niger, Mali, Ciad e Nigeria settentrionale…) per non parlare della Repubblica Centrafricana, del settore nord orientale della Repubblica democratica del Congo, del Sudan, del Sud Sudan, della Somalia o del Mozambico settentrionale. E cosa dire della raffica di colpi di stato che ha investito l’Africa nel corrente decennio. Quello in Gabon dell’agosto scorso è l’ottavo in Africa centrale e Occidentale dal 2020. Al contempo sono innegabili le interferenze straniere a partire dallo sfruttamento delle commodity da parte di aziende straniere. L’obiettivo dei player internazionali è certamente proteso a salvaguardare l’accesso alle risorse economiche strategiche (petrolio, gas, uranio, minerali preziosi, terre rare e quant’altro) e la sicurezza. D’altra parte, nel momento in cui l’Africa ha preteso che le proprie crisi avessero una soluzione africana, le crisi africane, ancora più di quanto non accadesse durante la guerra fredda, hanno sempre più avuto connotazioni ed effetti globali.

Si può comprendere allora come il montare di attenzioni si sia tradotto in interferenze, generando così un circolo vizioso tra questioni problematiche ad intra e risposte ad extra, spesso inconcludenti perché capaci di procrastinare nel tempo i fenomeni che si sarebbe preteso arginare. Emblematica è la cosiddetta War on terror a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001 contro le organizzazioni terroristiche islamiste, prima fra tutte al-Qaeda. Questa conflittualità ha fatto sì che formazioni antigovernative preesistenti di matrice islamica presenti in Africa si configurassero nella galassia jihadista attraverso un’operazione di franchising del terrore. Il graduale ritiro dei militari francesi dal Sahel e la presenza di mercenari russi (ma non solo) rappresentano un incognita sul futuro.

Le crisi africane hanno anche a che fare con le diseguaglianze e dunque con questioni sociali e economiche irrisolte, per non parlare dei cambiamenti climatici che stanno penalizzando le popolazioni autoctone. Nell’attuale congiuntura, non pochi governi africani dovranno continuare a misurarsi nel 2024 con la crescente disparità di reddito, con gli effetti del Global Warming e le turbolenze generate dalle speculazioni finanziarie a livello planetario.

Le grandi diseguaglianze

Considerando che il multilateralismo vacilla e il commercio globale risente dei diversi e contrapposti allineamenti dei principali attori, non c’è da farsi grandi illusioni sulla crescita del Pil africano nel 2024. Anche perché l’Afcfta (Africa continental free trade area) l’area di libero scambio all’interno del continente africano, sta ancora muovendo i primi passi. Stando ai dati della Banca mondiale, nel 2023 il Pil della macroregione subsahariana è aumentato del 2,5%, in calo rispetto all’aumento del 3,6% registrato l’anno precedente. È previsto un rimbalzo quest’anno e poi nel 2025, con incrementi rispettivamente del 3,7 e del 4,1%. A trainare la tendenza al ribasso sono state nel 2023 le maggiori economie del continente. Il Sud Africa, ad esempio, dove imperversa una crisi del settore dell’energia che non conosce precedenti, la crescita prevista per l’anno che si è appena concluso è dello 0,5 contro il +1,9% del 2022. In Nigeria e Angola, principali produttori africani di petrolio, si prevede un calo rispettivamente dal 3,3 al 2,9% e dal tre all’1,9%. Non può essere poi sottovalutata l’impennata dei tassi d’interesse a livello globale che nel 2023 ha reso sempre più difficile la ricerca di fonti di finanziamento alternative per molti Paesi che hanno fatto di tutto per testare i limiti della capacità dei propri mercati nazionali per ovviare alla scarsità di fondi internazionali. Un altro tema scottante è quello del debito pubblico africano che nel 2023 ha raggiunto i 1.140 miliardi di dollari. Si tratta di un valore assoluto certamente inferiore a quello delle economie più avanzate.

Il peso del più rilevante

È però una cifra debitoria elevata se raffrontata al valore complessivo del Pil africano che è di 3,1 trilioni di dollari. Per avere un confronto, basti pensare che quello dell’Unione Europea è di 16 trilioni e mezzo. Nei circoli finanziari si parla spesso di ristrutturazione del debito, anche se poi tutti sanno che alla prova dei fatti questo servirebbe a dilazionare il problema, non a risolverlo. Secondo l’agenzia di rating Fitch, è probabile che la crescita globale nel 2024 sarà più debole rispetto all’anno precedente, anche a causa del rallentamento della Cina. Anche se si prevede che la Federal Reserve statunitense e la Banca centrale europea inizieranno a tagliare i tassi nel 2024, pare certo che rimarranno elevati rispetto agli anni precedenti la pandemia di Covid-19. Ciò implica, sempre secondo l’agenzia di rating, che le condizioni di finanziamento del mercato per i titoli sovrani dell’Africa subsahariana rimarranno costose e fortemente vincolate. I default dello Zambia, del Ghana e dell’Etiopia la dicono lunga. Uno scenario dunque molto complesso e con esiti difficilmente prevedibili. (2. Continua)

in Avvenire, 14 gennaio 2024

Contrassegnato da tag