Sionismo. Le complesse radici religiose dello stato ebraico

Elhanan Miller e Maurizio Camerini

Il Movimento sionista fondato da Theodor Herzl col congresso di Basilea del 1897 dovette fronteggiare da subito una doppia opposizione. Da un lato, da parte dell’ebraismo ortodosso, legato alla visione tradizionale secondo cui il popolo ebraico potrà riprendere possesso della sua terra soltanto per opera del Messia, quando sarà Dio a volerlo. Dall’altro lato, da parte degli ebrei più o meno secolarizzati, in particolare, delle comunità “riformate” o “liberali”, formatesi principalmente in Germania, che avevano istituzionalizzato l’abolizione della maggior parte dei precetti pratici e vedevano la diaspora come la condizione ormai definitiva degli ebrei, considerando la piena libertà e parità di diritti degli ebrei come ideale finale e “messianico”.

Ben presto, nell’ambito del Movimento sionista si creò però una corrente sionista-religiosa che riteneva di poter conciliare una vita ebraica conforme alla tradizione e ai precetti con lo sviluppo di una società ebraica nell’antica Terra di Israele (Erez Israel), nella prospettiva di fondare lo Stato degli Ebrei (Judenstaat) preconizzato da Herzl. La figura probabilmente più influente nello sviluppo del sionismo religioso fu Abraham Isaac Kook (1865-1935), primo rabbino capo della Palestina mandataria, che legittimò pienamente il movimento sionista, in una prospettiva religiosa, e sviluppò una teologia originale che vedeva i sionisti laici come strumenti inconsapevoli del piano divino di redenzione del popolo ebraico. La sua visione definì la direzione che il sionismo religioso avrebbe adottato in seguito alla fondazione dello Stato di Israele nel 1948, ossia la disponibilità a collaborare con il movimento sionista laico e socialista alla nascita di un moderno stato-nazione ebraico.

Fu però il figlio, rav Zvi Yehuda Kook (1891-1982) a ispirare e sostenere la svolta “a destra” in seguito alla Guerra dei Sei giorni del 1967. Mentre il moderato Partito nazionale religioso (Madfal) non si opponeva a un ritiro di Israele dagli ampi territori conquistati in guerra, Kook vedeva qualsiasi concessione territoriale come un tradimento della marcia verso la redenzione cui Israele era predestinato. Mentre i sionisti religiosi manifestavano la loro intenzione di assumere un ruolo di punta nella politica israeliana, gli ultraortodossi (charedim in ebraico) rimasero sempre sospettosi e cauti rispetto allo Stato laico. Gli elementi più conservatori continuarono a evitare qualunque coinvolgimento nella politica dello Stato e ancora oggi boicottano le elezioni, mentre i membri più moderati dell’ultraortodossia vedono il sistema democratico israeliano come uno strumento fondamentale per promuovere gli interessi delle loro comunità, specialmente per quel che riguarda l’istruzione e gli incentivi all’incremento della demografia.

Oggi sono due i partiti che rappresentano le comunità ultraortodosse in Israele (13% della popolazione): Ebraismo della Torah Unito, che si rivolge agli ebrei osservanti di origini centro ed est-europee, e Shas, che raccoglie i voti della popolazione proveniente dal Medioriente, dal nord Africa e altri Paesi islamici. Questi due partiti tendono ad allearsi con qualsiasi coalizione, a sinistra e a destra. Una questione centrale che distingue i sionisti religiosi dagli ultra-ortodossi è la coscrizione militare. Laddove i primi vedono l’esercito come uno strumento essenziale per la sovranità e il potere di Israele, e per questa ragione si arruolano in proporzioni eccezionali, gli ultraortodossi evitano la leva obbligatoria: per essi l’esercito costituisce una minaccia di secolarizzazione e trasgressione dei precetti. La questione del servizio militare, in Israele percepito come la “condivisione del fardello”, è diventata più grave negli anni più recenti. Ciò in conseguenza della crescita percentuale degli ultraortodossi fra la popolazione (+ 4% annuo). Ma anche per l’aumento delle vittime di guerra.

in “Jesus” del gennaio 2024

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