Comunicazione. “La guerra cognitiva”

ROBERTO TRINCHERO

Si definisce guerra cognitiva una forma di conflitto organizzato in cui soggetti o gruppi differenti si confrontano sul piano della capacità di produrre, mettere in relazione ed eludere elementi di conoscenza in un contesto conflittuale (Gagliano, 2012, 2013, 2015). La guerra cognitiva mira a costruire e rendere stabili rappresentazioni mentali generalizzate, ossia idee e modi di pensare diffusi nell’opinione pubblica che orientano emozioni, atteggiamenti, ragionamenti, scelte e comportamenti dei soggetti. Tale concetto è simile a quello di guerra dell’informazione (information warfare), anche se denota uno spettro più ampio di significato perché non abbraccia solo conflitti tra Stati, ma anche tra gruppi di interesse.

1. La mente del pubblico come campo di battaglia

Nella guerra cognitiva l’obiettivo primario dei belligeranti non è quello di occupare territori ma di occupare la mente dei soggetti, allo scopo di averne un controllo, inducendo rappresentazioni della realtà che portano a particolari atteggiamenti, scelte, comportamenti. Concetto base della guerra cognitiva è che in uno scontro tra fazioni contrapposte non si vince solo con l’uso della forza (altrimenti il forte vincerebbe sempre contro il debole…), ma anche grazie alla capacità di utilizzo più intelligente della conoscenza (come nel conflitto tra Davide e Golia).

Proprio per questo, la guerra cognitiva si serve dell’apporto di numerose discipline che studiano i processi conoscitivi e comunicativi (pedagogia, psicologia, sociologia, antropologia, semiotica, tecnologia, informatica, …).
Attori della guerra cognitiva possono essere istituzioni (es. governi, agenzie governative, servizi di intelligence), imprese, gruppi di interesse, singoli cittadini, i quali entrano in conflitto con altre istituzioni, imprese, gruppi di interesse, singoli cittadini, su un terreno di scontro che è quello della pubblica opinione.

Una tipica azione di guerra cognitiva può riguardare ad esempio (Harbulot, Moinet, Lucas, 2002) l’individuare una serie di fatti oggettivi in grado di gettare cattiva luce su un’azienda concorrente (es. illeciti più o meno gravi, collusioni con personaggi o organizzazioni discutibili, comportamenti non deontologici, azioni contrarie al senso morale del cittadino medio, ecc.) e diffonderli al momento giusto con l’uso dei media (mal-informazione), in svariate forme, anche servendosi di soggetti terzi, realmente o apparentemente indipendenti (es. giornalisti, scienziati, magistrati, Ong, …) più o meno consapevoli di essere strumenti di attacco cogni- tivo. Scopo di tale attacco è quello di destabilizzare intenzionalmente il bersaglio. Esso avviene quindi in tempi non casuali, allo scopo di minare l’immagine del bersaglio stesso in momenti chiave (es. elezioni o referendum, nomina di un soggetto a leader politico o a una carica istituzionale, quotazione in borsa di un’azienda,

difficoltà economiche della stessa o tentativo di acquisto da parte di concorrenti, ecc.), alimentando una polemica pertinente (perché basata su fatti oggettivi) e prolungata sui media. Gli attaccanti si limitano alla raccolta preliminare di informazioni (che può durare anni) e all’attivazione della polemica, che una volta innescata può procedere da sola grazie alle dinamiche che guidano la diffusione dell’informazione (fonti che riprendono altre fonti, commenti, contrattacchi, ecc.). Più la polemica è fondata su basi oggettive, meno è facile dimostrare che sia l’esito di un attacco cognitivo. Anche laddove queste basi oggettive non esistano o siano ambigue o risibili, la polemica innescata e amplificata dai media porta un danno di immagine immediato all’avversario, che può anche essere prolungato nel tempo a causa dei tempi necessari ad effettuare le indagini del caso per stabilire se un dolo vi sia effettivamente stato.

2. Strategie e modalità di guerra cognitiva

La guerra cognitiva si serve di numerose strategie, spesso utilizzate in modo coordinato:

a) la pubblicità denigratoria, ossia il diffondere messaggi il cui scopo esplicito non è informare o persuadere della bontà del proprio prodotto ma mettere in cattiva luce il prodotto concorrente;

b) la deception (letteralmente inganno), ossia il nascondere i fatti realmente accaduti attraverso depistaggi sistematici per sostituirli con un narrazione ad hoc; c) la dis-informazione e la mal-informazione, ossia il diffondere notizie infondate (nel primo caso) o vere (nel secondo caso) in un momento preciso, al fine di danneggiare l’immagine pubblica di un avversario o di influenzarne le scelte;

d) l’intossicazione, ossia il fornire all’avversario informazioni sbagliate allo scopo di fargli prendere decisioni errate;
e) la propaganda, ossia l’esercitare un’attività di persuasione coordinata e sistematica allo scopo di convincere il maggior numero possibile di persone della bontà di idee, ideologie o prodotti e della malvagità di idee, ideologie e prodotti concorrenti.

L’idea della guerra cognitiva non è ovviamente nuova. Sun Tzu, Churchill, Hitler, Stalin, Mao, e molti altri, avevano già capito l’importanza di utilizzare consapevolmente l’informazione allo scopo di manipolare alleati e nemici. Vi sono però due differenze sostanziali che caratterizzano la nostra epoca.

La prima fa riferimento all’epurazione del concetto di “violenza fisica” dal concetto di “guerra”. La cultura occidentale della nostra epoca ha – giustamente – stigmatizzato il concetto di “violenza fisica”, ripudiando quindi anche la guerra tradizionale, che vi fa necessariamente ricorso. La guerra cognitiva non si serve della violenza fisica quindi spesso non viene percepita come “guerra” in senso stretto, ma come denuncia di malcostume e “scoperta della verità”.

Una guerra cognitiva è “giusta” o “sbagliata” solo in relazione ai principi etici di chi la giudica, non in relazione a principi culturali condivisi. Fare una campagna sui media tesa a rendere pubbliche informazioni sulla vita privata di un avversario politico, ad esempio, è a tutti gli effetti un atto di guerra (cognitiva) contro quella persona, e tale atto potrebbe essere eticamente accettabile sia per chi non condivi- de le idee di quel politico sia per chi le condivide.

Usare la violenza fisica contro quel politico sarebbe invece eticamente inaccettabile per chiunque. Da qui la percezione che la guerra cognitiva, solo perché non fa ricorso alla violenza, non sia una guerra a tutti gli effetti.
La seconda fa riferimento al fatto che la guerra cognitiva è ovviamente possibile solo se si ha accesso come pubblicatori ai mezzi di informazione.

In passato questo accesso era limitato alle istituzioni o ai grandi gruppi di pres- sione. Con l’avvento di Internet e soprattutto dei social network (informazione con diffusione istantanea e tempo di reazione praticamente nullo), tutti possono diventare pubblicatori, quindi, tutti possono dichiarare guerre cognitive a tutti: potenzialmente siamo tutti soggetti al rischio di (cyber)bellum omnium contra omnes. Diffamazione sui social network, diffusione di dati privati, uso di dati e pro- dotti dell’ingegno altrui come se fossero propri, stalking e cyberbullismo possono assumere la forma di piccole guerre cognitive. Singoli soggetti possono screditare personaggi celebri pubblicando foto, video (anche deepfake), lettere, intercetta- zioni inerenti la loro sfera privata, attaccandoli quindi con le armi della dis-informazione, della mal-informazione e della propaganda e rischiando tutto sommato molto poco rispetto al danno potenziale che possono arrecare.

Sorte analoga può toccare a giovani bersagliati da cyberbulli sui social network: pubblicare sistematicamente sui social offese, insulti, commenti derisori, fotogra- fie e filmati tesi a mettere in ridicolo un compagno di classe significa dichiarare guerra cognitiva a quel compagno, gettando cattiva luce su di lui e portandolo all’esclusione dal gruppo. Anche imprese, borse e governi non ne sono immuni: gruppi organizzati di poche decine di persone con un vasto seguito di followers (i cosiddetti influencer) possono lanciare attacchi mediatici di risonanza mondiale e farli traballare o comunque metterli in cattiva luce. Gli utenti di social network e di app di messaggeria istantanea possono diventare, più o meno consapevolmente, ingranaggi della “macchina della micro-propaganda” ossia diffusori virali di messaggi volti a modificare le opinioni delle persone su una data azienda, prodotto o personaggio politico, suscitando in loro reazioni emotive immediate e un conseguente calo di popolarità e consenso, che si traduce in minori guadagni per le aziende e prestigio per i politici. L’aumento dell’informazione disponibile anche grazie a sistemi diffusi di rilevazione (smartphone, telecamere stradali, tracciabilità di dispositivi di comunicazione mobile e carte di credito, intercettazioni, hacke- raggio di siti web, ecc.) offre poi ai cyberbelligeranti una messe di materiale su cui lavorare e i mezzi di comunicazione istantanea gli strumenti per rendere virali i messaggi.

3. Difendersi dalla guerra cognitiva

Oltre che straordinario veicolo di opportunità, le tecnologie comunicative possono quindi anche essere straordinario veicolo di conflittualità, e di questo ogni buon cittadino dovrebbe essere consapevole. Gli effetti del conflitto generalizzato sono tutt’altro che trascurabili. Nelle democrazie la costruzione di rappresentazioni mentali generalizzate nell’opinione pubblica è particolarmente importante, dato che può spostare voti preziosi per far vincere o far perdere le elezioni all’una o all’altra parte politica, e la novità è che non è più necessario il controllo dei mezzi di informazione tradizionale (stampa, tv) per poterlo fare, dato che chiunque può diventare grazie ai social network un opinion maker più o meno seguito o lanciare attacchi cognitivi in Rete che la Rete stessa amplificherà e reificherà. L’acquisizione di consapevolezza delle possibilità associate alla guerra cognitiva ha già avviato una profonda rivoluzione culturale.

A livello di singoli Stati (e di organizzazioni internazionali preposte alla difesa, quali la Nato), è sempre più chiaro che l’informazione è un’arma a tutti gli effetti e come tale va integrata nella strategia di difesa nazionale (Gagliano, 2012, 2013, 2015), anche attraverso azioni mirate di perception management, ossia costruzione dell’immagine desiderata dello Stato nell’opinione pubblica mondiale.

A livello aziendale, la guerra cognitiva è stata inglobata nel più ampio contenitore di guerra economica tra imprese (Denécé, 2001), e definita come scontro tra diverse capacità di ottenere, produrre e/o ostacolare determinate conoscenze.
A livello di dibattito politico assistiamo quotidianamente, da anni, a fuochi incrociati di delegittimazione degli avversari sulla base di “evidenze” riguardanti vita privata, frequentazioni, comportamenti passati, azioni perpetuate da amici e famigliari. A livello sociale, una delle più grosse paure di adolescenti e giovani è quella di essere screditati o messi in cattiva luce sul mondo della Rete: “Cosa succederà se digitando il mio nome su un motore di ricerca appaiono informazioni che mi fanno fare una figuraccia?” si chiedono in molti; per loro essere messi al bando sul Web è peggio che essere messi al bando nel mondo “fisico”, perché ormai la vita nel Web è la vita reale.

Riferimenti bibliografici

Denécé E. (2001), Le nouveau contexte des échanges et ses règles cachées. Information, stratégie et guerre économique, Paris, L’Harmattan.
Gagliano G. (2012), Guerra psicologica. Saggio sulle moderne tecniche militari di guerra cognitiva e di disinformazione, Roma, Fuoco Edizioni.

Gagliano G. (2013), Guerra Economica e Intelligence. Il contributo della riflessione strategica francese, Roma, Fuoco Edizioni.
Gagliano G. (2015), Aspetti della guerra dell’informazione, in Rivista Capitale In- tellettuale, 2/2015.

Harbulot C., Moinet N., Lucas D. (2002), La guerre cognitive: A la recherche de la suprématie stratégique, VIième Forum intelligence économique de l’Association Aéronautique et Astronautique Française, Menton, 25 septembre 2002, http:// http://www.infoguerre.fr/fichiers/3AF25092002.pdf.

Contrassegnato da tag , ,