Condizionamenti della “propaganda” nella comunicazione di massa

ROBERTO TRINCHERO

La propaganda è una narrazione strategica costruita ad hoc per influire sull’opinione pubblica allo scopo di plasmare percezioni, rappresentazioni, modi di pensare, scelte e comportamenti dei soggetti al fine di ottenere una risposta che compatibile con gli intenti di chi la mette in atto (Khaldarova Grigor, Pantti 2016). Come nella pubblicità occulta, i messaggi propagandistici partono in genere da una base fattuale che viene reinterpretata sistematicamente in modalità favorevoli al propagandista o al suo gruppo di riferimento, generando una narrazione per- suasiva dotata di continuità e pervasività.

1. La propaganda nella comunicazione di massa

Così come le fake news, la propaganda esiste dalla notte dei tempi.
Una teorizzazione sistematica fu data da Edward Louis Bernays nei saggi Crystal- lizing Public Opinion (1923) e Propaganda (1928), in cui definì un insieme di strategie comunicative, utilizzabili da gruppi o da singoli soggetti, finalizzate alla persuasione manipolativa attraverso la diffusione di messaggi mirati, che mirano ad innescare uno o più bias cognitivi nell’audience.

Esempi di strategie utilizzate dai propagandisti sono:

a) il ricorso alla paura: instillare paure vere o presunte nel pubblico, ad esempio con frasi del tipo: “Se vincono loro aumenteranno le tasse!”;
b) il ricorso all’autorità: far sostenere una posizione, anche priva di basi fattuali, da un soggetto comunemente ritenuto un’autorità in materia, es. “Il famoso esperto … ha detto che il riscaldamento globale è una grossa bufala, quindi perché do- vremmo preoccuparci?”;
c) l’effetto gregge: persuadere il pubblico a prendere una certa strada perché tutti lo stanno facendo, es. “Ormai siamo il primo partito! La vittoria è inevitabile!”;

d) l’ottenere disapprovazione: portare il pubblico a disapprovare un’idea o un’azione perché questa è popolare in gruppi odiati, temuti o tenuti in scarsa considerazione dal pubblico di riferimento, es. “Io non faccio queste cose perché le fanno ‘i poli- tici di professione!”;
e) le banalità scintillanti: slogan, frasi semplici e banali con un’intensa carica emo- tiva, ripetute ad nauseam fino a sembrare fondate, che consentono al pubblico di costruirsi delle opinioni apparentemente sensate senza dover impegnarsi in lunghi e faticosi ragionamenti, es. “L’euro è la causa di tutti i nostri problemi!”;
f) la razionalizzazione: trovare ragioni plausibili per giustificare azioni discutibili, es. “È vero, abbiamo fatto una guerra senza avere le prove di una reale minaccia, ma credevamo che loro stessero per utilizzare la bomba …”;
g) la vaghezza intenzionale: frasi volutamente vaghe e ambigue, dette per fare in modo che gli ascoltatori possano assegnare il significato per loro più favorevole, es. “I soldi ci sono, è che non si vogliono trovare!”;
h) il transfer: proiettare qualità positive o negative di un soggetto ad un altro, per rendere quest’ultimo più accettabile o per screditarlo, es. “Lui è come Hitler!”;

i) l’ipersemplificazione: fornire risposte semplici a problemi che richiederebbero analisi complesse, es. “Che ci vuole a tagliare le spese militari?”;
l) l’approccio dell’uomo comune: il propagandista si pone come espressione della “gente” e come portatore del senso comune, visto come valore positivo assoluto, es. “La gente, quella vera, nelle strade e nelle piazze, la pensa proprio come me!”; m) la testimonianza: citazioni pertinenti o non pertinenti allo scopo di supportare un’azione, una politica, un programma, allo scopo di fare in modo che il pubblico riconosca le posizioni del propagandista come se fossero sue, es. “Una casalinga di Voghera mi ha detto che … ed è proprio quello che penso anch’io!”;

n) la stereotipizzazione/etichettatura: il ricorso a rappresentazioni semplificate allo scopo di far sorgere pregiudizi, positivi o negativi, verso l’oggetto della campagna propagandistica, es. “Loro sono il ‘partito delle tasse!”;
o) l’individuazione del capro espiatorio: attribuire ad un oggetto, un individuo, un gruppo, la responsabilità di una situazione negativa e distogliendo l’attenzione dalle vere cause del problema, es. “La colpa è tutta dell’Europa!”;

p) le parole virtuose: termini usati nel discorso che tendono a produrre un’imma- gine positiva e rassicurante di un oggetto, un individuo, un gruppo, es. “Con me avrete pace, felicità, sicurezza, libertà, rispetto dei valori della famiglia!”;
q) la scelta obbligata: il presentare solo due alternative, tra cui il soggetto è obbli- gato a scegliere, ignorando tutte le altre, es. “Chi non è con noi è contro di noi!”;

r) le mezze verità: usare solo una parte dei fatti per sostenere le proprie posizioni, ignorando volutamente altri fatti che le renderebbero infondate, es. “Durante il loro Governo la spesa pubblica è cresciuta!”.

2. La propaganda nell’interazione uno-a-uno

A queste strategie pensate per la comunicazione di massa (uno-a-molti), nei dibattiti pubblici si affiancano specifiche tattiche manipolatorie pensate per la comunicazione uno-a-uno e basate su numerose tipologie di fallacie nel ragionamento, tra le quali (Richardson, Smith, Meaden, 2012):

1) l’argomento-fantoccio: il rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario, travisandola e mettendogli in bocca parole che non ha detto, es. “Lei ha detto di voler abbassare le tasse, mi stupisce molto che Lei odi così tanto il nostro Paese da voler tagliare la spesa per sanità ed istruzione…”;

2) la giustificazione post hoc: il prendere per causa di un fatto accaduto un qualsiasi altro fatto accaduto precedentemente, a prescindere se sia realmente correlato o no, es. “Grazie alle politiche del nostro Governo, il tasso di disoccupazione è sensibilmente diminuito!” (potrebbe essere diminuito per altri fattori, non necessariamente legati alle politiche in questione…);

3) il pendio scivoloso: il sostenere, arbitrariamente, che se avviene il fatto A accadrà anche il fatto B, quindi bisogna fare di tutto per far sì che A non accada, es. “Se autorizziamo le unioni gay, allora poi dovremo anche consentire loro di adottare figli!”;

4) l’argomento ad hominem: lo screditare l’affermazione di un interlocutore at- taccando non l’affermazione, ma l’interlocutore come persona, es. “Parla Lei di legalità, che ha preso un sacco di multe per divieto di sosta!”;
5) la supplica speciale: il cambiare il senso a quanto è stato detto quando viene di- mostrato che l’oratore ha detto qualcosa di palesemente inopportuno, es. “È vero io ho detto che bisognava sparare ai migranti che arrivavano sui barconi, ma avete travisato le mie parole, io stavo parlando in senso metaforico…”;

6) le domande accusatorie: il porre all’interlocutore domande che oltre alla domanda stessa portano in sé un’affermazione implicita, tesa a mettere a disagio l’interlocutore, es. “Lei va ancora alle manifestazioni di quel gruppo di estremisti?”;
7) la fallacia del giocatore d’azzardo: il far credere che eventi indipendenti siano legati tra di loro e ricavarne previsioni, ovviamente senza fondamento scientifico, es. “Abbiamo avuto sette anni di crisi, la probabilità dice che il prossimo anno dovrebbe esserci la ripresa!”;

8) l’effetto carrozzone: il prendere per buona una tesi solo perché è sostenuta da un gran numero di persone, es. “Andiamo, suvvia! Lo sanno tutti che le carceri sono piene di extracomunitari!”;
9) il falso dilemma: il far credere all’interlocutore che vi siano solo due alternative secche, senza altre possibilità, es. “Insomma, poche storie: o si dissociano dai terroristi o sono loro complici!”;

10) la petizione di principio: il dimostrare la verità di un’affermazione dando per scontato che l’affermazione stessa sia vera, es. “Il nostro Paese ama la pace ed è quindi sinceramente disponibile ad aprire trattative di pace solo con coloro che avranno dato prova della stessa volontà smettendo di fargli la guerra” (nel frattempo, il nostro Paese continuerà la guerra…);

11) l’appello ad una falsa autorità: il dimostrare la bontà di una tesi appellandosi al pensiero di un’autorità che però non ha specifica competenza in materia, es. “Abbiamo pensato di abolire i compiti delle vacanze perché il noto pediatra … dice che sono dannosi per i bambini!” (l’opinione di un pediatra non dovrebbe essere quella più autorevole nel ragionare sull’opportunità di assegnare i compiti a casa…);

12) l’appello alla natura: il dimostrare la bontà di una tesi appellandosi al fatto che essa è “naturale”, in senso fisico o figurato, es. “L’unione naturale è quella tra un uomo e una donna!”;
13) la composizione/divisione: il ritenere che ciò che è valido per una parte sia valido per il tutto (composizione) o che, viceversa, ciò che è valido per un intero sia valido anche per le sue componenti (divisione), es. “Io conosco solo extracomunitari onesti!” (quindi sono tutti onesti: composizione) oppure “I politici sono tutti uguali!” (quindi anche i nuovi politici, in quanto politici, dovrebbero avere le stesse caratteristiche dei vecchi).

14) gli aneddoti personali: il citare elementi della propria esperienza personale per confutare una tesi scientifica, per indebolire le statistiche o per convincere che in fondo anche gli “esperti” sbagliano, es. “Quanto clamore con questa storia del fumo! Mio nonno fumava 20 sigarette al giorno ed è vissuto fino a 97 anni!”;
15) l’appello emotivo: l’avvalorare la propria tesi facendo leva sui sentimenti e sulle emozioni dell’interlocutore, più che su ragionamenti validi, es. “Prima di dire queste cose, pensi a tutti quei poveri bambini che muoiono sotto le bombe!”.
16) la fallacia fallace: il sostenere che la tesi dell’avversario è falsa solo perché questi l’ha supportata con argomentazioni fallaci (l’affermazione potrebbe anche essere vera, così come un’affermazione presentata in modo logicamente corretto potrebbe anche essere falsa), es. “Ecco! Lei non mi ha ancora dato una buona ragione per dimostrarmi che dovremmo rimanere nell’euro. Allora avevo ragione io a dire che uscire dall’euro è una buona idea!”;
17) il rispondere alla critica con la critica: il non rispondere “nel merito” alla critica fatta dall’avversario, ma criticarlo a sua volta per sviare l’attenzione, secondo la logica del “Ah io sarei così? Anche tu!”, es. “Lei mi chiede cosa abbiamo fatto noi per la sicurezza dei cittadini? Ditemi invece cosa avete fatto voi! Eh, voi cosa avete fatto?”;
18) l’incredulità personale: il rispondere ad un’argomentazione complessa dicendo che è incomprensibile, quindi difficile a credersi, e perciò non può essere vera, es. “Tutti questi professoroni ci presentano i loro modelli matematici incomprensibili. A me non interessano, io so solo che la gente non arriva a fine mese e quindi …”;
19) l’onere della prova a chi deve smentire: il sostenere che l’onere della prova non spetti a chi sostiene una tesi ma a chi la deve smentire, per cui qualsiasi affermazione che risulti difficile da provare diventa in qualche modo “vera”, es. “Non mi hanno lasciato governare! Se mi avessero lasciato governare avrei potuto mantenere tutte le promesse!”;
20) l’uso equivoco dei termini: l’utilizzare termini dal molteplice significato che generano errore, incertezza, ambiguità sintattica o semantica (anfibolia), che con- sentono quindi di manipolare i significati a proprio piacimento, es. “Restituiremo le tasse ai cittadini!” (cosa si deve intendere con tale frase? L’abbassamento delle imposte dirette? Di quelle indirette? La restituzione sotto forma di servizi?);
21) il riferimento alla “purezza”: il deviare il focus del discorso accusando l’interlo- cutore di non essere parte del “gruppo di riferimento” a cui l’interlocutore stesso dichiara di afferire, es. “Se Lei pensa queste cose, Lei non può essere di sinistra!”;

22) la fallacia genetica: il delegittimare un’argomentazione perché questa viene da una fonte ritenuta inaffidabile per definizione, es. “Mi accusano di corruzione? Andate a vedere chi mi accusa! Sono i giornali di quella parte politica!” (quindi l’accusa è inaffidabile a prescindere dall’argomentazione);
23) il cecchino del Texas: lo scegliere arbitrariamente solo i dati che avvalorano un certo modello, ignorando tutti gli altri, per costruire una tesi intorno ad esso (il nome viene dalla storiella del pistolero texano che sparava colpi a caso su un capanno, per poi disegnare attorno ai fori di proiettile un bersaglio e dimostrare la propria abilità…), es. “Vedete? Quell’imposta l’abbiamo cancellata! È la prova che il nostro Governo ha abbassato le tasse!” (anche se tutte le altre sono cresciute);

24) la terra di mezzo: il sostenere che un compromesso, o un punto equidistante tra due estremi, sia necessariamente la verità (non è detto che la verità sia sempre nel mezzo…), es. “I politici hanno dimostrato di essere tutti disonesti!
Noi siamo equidistanti da tutti i politici, quindi siamo onesti!”.

Come è possibile notare, principi della propaganda e fallacie nella discussione uno-a-uno (che diventa essa stessa strumento di propaganda quando viene per- petrata nei dibattiti pubblici, soprattutto politici) possono dare luogo a diverse strategie combinate, quali ad esempio:


1) la reductio ad Hitlerum: lo screditare l’affermazione di un interlocutore com- parandolo ad un personaggio che non gode di buona fama (non necessariamente Adolf Hitler), es. “Questa cosa la diceva la Thatcher, che ha quadruplicato il tasso di disoccupazione nel Regno Unito!” (quindi, qualunque sia la cosa in discussione è sbagliata, a prescindere se sia realmente correlata all’aumento del tasso di disoc- cupazione o no…). Da notare che lo stesso meccanismo vale anche al contrario, es. “Il collega politico … è un onesto! Quindi metterà in atto delle buone politiche economiche” (non c’è nulla che ci dimostri che le due qualità siano correlate…);

2) l’ignoratio elenchi (conclusione irrilevante): il presentare un’argomentazione di per sé valida, ma fuori tema rispetto a ciò che si intende dimostrare, es. “L’euro ci ha impoveriti tutti quanti, perché ha reso meno conveniente per gli stranieri acquistare prodotti italiani! Quindi se vogliamo che gli italiani stiano meglio la soluzione è uscire dall’euro!” (l’argomentazione dovrebbe essere orientata a di- mostrare che l’uscita dall’euro farebbe effettivamente stare meglio gli italiani, non semplicemente riferire, anche correttamente, cosa è successo in precedenza);

3) l’argomento ad judicium: l’affermare che una tesi è corretta perché è sostenuta da un gran numero di persone, es. “Il … percento degli italiani ci ha votato, quindi abbiamo ragione.”;
4) l’evidenza soppressa: l’affermare una tesi tenendo una premessa nascosta.

Senza quella premessa la tesi appare vera, ma se le informazioni contenute nella premessa emergessero, la invaliderebbero automaticamente, es. “Queste politiche del lavoro hanno già funzionato con successo nel Regno Unito!” (ma abbinate ad un differente sistema di welfare che l’oratore non cita…).

3. Difendersi dalla propaganda

Gli esempi citati vi faranno sicuramente venire in mente discorsi già sentiti da amici, venditori, pubblicitari, politici, intellettuali, “guru” mediatici. Le strategie di “manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse” (così le chiama lo stesso Bernays) sono state ampiamente studiate ed utilizzate, da anni, da soggetti che hanno come obiettivo l’acquisire consenso per le proprie idee.

L’elemento da notare è che tutte le strategie elencate non possono reggere ad un interlocutore dotato di senso critico e di prontezza nel replicare al propagandista con forme di controllo: a) sul piano logico-formale (come nel caso della giustificazione post hoc di un fatto con un fatto che logicamente non è ad esso correlato); b) sul piano empirico, raccogliendo opportuni dati fattuali che smascherino il propagandista. Il problema è che, mentre il controllo logico-formale può essere immediato, quello empirico richiede tempo per cercare i dati, valutarli e utilizzarli nella risposta. Per questo un propagandista organizzato uscirà quasi sempre vincitore nei dibattiti televisivi fondati su dialoghi brevi, dato che comunque il suo obiettivo (solleticare l’attenzione del pubblico facendo leva sui bias cognitivi umani) l’avrà raggiunto.

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