COP28: UN ACCORDO IN CHIAROSCURO

ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

Risultato storico o compromesso deludente? L’accordo raggiunto oggi in extremis alla COP28 somiglia al noto bicchiere, mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di come lo si guardi. Se il presidente emiratino del vertice, Sultan al Jaber, ha presentato l’intesa come una “pietra miliare” nella lotta ai cambiamenti climatici, perché mette nero su bianco, per la prima volta, la necessità di abbandonare le fonti fossili, attivisti, scienziati e paesi vulnerabili giudicano quello raggiunto un passo atteso da tempo e il minimo indispensabile per non gridare al fallimento. Di fatto, l’influenza delle petromonarchie del Golfo – che hanno fatto di tutto per orientare i negoziati secondo i loro interessi – è ben evidente nelle mezze misure e nelle scappatoie incluse nell’accordo finale. Quel che è certo è che quella approvata a Dubai è una dichiarazione di intenti, il cui successo è subordinato ad una fortissima volontà politica. “Se questo punto segnerà veramente l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili dipenderà dalle azioni che seguiranno e dalla mobilitazione dei finanziamenti necessari per realizzarle – osserva su X Al Gore – Dobbiamo chiederci quanto tempo ancora il mondo dovrà aspettare prima che tutte le nazioni facciano appello alla volontà di superare questi meschini interessi particolari e agire a favore del futuro dell’umanità. Spetta a tutti noi ritenere i nostri leader responsabili delle loro promesse di abbandonare i combustibili fossili una volta per tutte”.

Cosa c’è nell’accordo?

L’accordo – ribattezzato UAE Consensus – “invita le parti”, un’espressione da molti ritenuta troppo debole, ad “allontanarsi gradualmente dall’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con la scienza”. Restano dubbi sull’uso dei termini adottati: riguardo ai combustibili fossili, per i più ambiziosi la bozza avrebbe dovuto contenere l’espressione “phase out”, che in inglese significa “eliminare in modo graduale”. Il testo usa invece l’espressione “transitioning away”, simile al “phase down” (ridurre). Il testo di 21 pagine, inoltre, si concentra sulla riduzione graduale dell’energia a carbone “unabated” – cioè priva di sistemi di cattura delle emissioni – sebbene non ponga alcun vincolo né tempistica. Inoltre sottolinea il ruolo dei “carburanti di transizione”, un riferimento controverso che secondo alcuni incoraggerebbe l’uso continuato del gas naturale. Nel documento si chiede inoltre di triplicare la capacità globale di energia rinnovabile “entro il 2030 e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030”. Questa è considerata una grande vittoria dagli esperti di energia, che chiedono che le rinnovabili e l’efficientamento siano messi al centro di ogni piano energetico e climatico.

E cosa no?

Per la prima volta in tre decenni di negoziati sul clima le parole “combustibili fossili”, sono entrate nel testo finale della COP. “Stiamo finalmente dando un nome all’elefante nella stanza” fa notare Mohamed Adow. È un segnale importante ma che da solo non basta: il documento infatti non specifica una data per la fuoriuscita dall’utilizzo di tali combustibili, né ha valore vincolante. Nel testo inoltre ci sono molte lacune su tecnologie costose come la ‘cattura e lo stoccaggio del carbonio’ (CCS) che chi ha interesse a mantenere in circolo i combustibili fossili cercherà di utilizzare per allungare i tempi della transizione. Ma l’assenza più pesante riguarda l’adattamento, vale a dire i mezzi messi in campo per preparare i paesi all’aumento delle temperature e alla gestione dei cambiamenti climatici. Nel testo, infatti, non ci sono riferimenti chiari sui finanziamenti per aiutare i paesi in via di sviluppo a decarbonizzare, sostenendo i più vulnerabili ad adattarsi agli impatti del riscaldamento climatico. Questo è uno dei punti più deboli dell’accordo concluso a Dubai poiché il comparto economico-finanziario – a detta di numerosi osservatori – è quello da cui dipenderà la riuscita o meno delle politiche sul clima. La conferenza era iniziata con una nota positiva per l’approvazione di un “fondo per le perdite e i danni” per i disastri climatici, presentato per la prima volta alla COP27 in Egitto lo scorso anno, ma finora gli stanziamenti hanno raggiunto una somma ben inferiore ai danni causati ogni anno dal cambiamento climatico. Tutto dipende dai fondi: se non verranno stanziati, i paesi in via di sviluppo non saranno in grado di realizzare i passaggi decisivi ad abbattere le emissioni. Le precedenti versioni del testo richiedevano che i paesi sviluppati fornissero finanziamenti e tecnologie per sostenere i paesi in via di sviluppo. Ma dal testo approvato ogni riferimento esplicito a questi impegni è scomparso.

Un’intesa che fa acqua?

Alla fine del vertice, alcune delegazioni hanno lasciato la Conferenza con la sensazione di aver raggiunto un risultato tutt’altro che storico. Tra gli applausi dei presenti, la rappresentante di Samoa ha accusato la presidenza di aver approvato l’accordo “come se noi non fossimo nella stanza”, dichiarando lo sconcerto per la modalità con cui la plenaria finale è stata condotta pur di raggiungere l’obiettivo. Eppure, sostiene qualcuno, poteva andare persino peggio: negli ultimi giorni il presidente della COP al Jaber – che è anche l’amministratore delegato dell’azienda petrolifera statale emiratina – aveva detto di ritenere che non ci fosse “nessuna scienza, o scenario, che dica che l’abbandono graduale dei combustibili fossili permetterà di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C”. Almeno da questo punto di vista un passo avanti è stato fatto. Nel complesso però quello raggiunto negli Emirati suona come un compromesso necessario per far salire a bordo anche i paesi produttori di petrolio. La delusione di moti ha trovato voce nelle parole di John Silk, rappresentante delle Isole Marshall: “Sono venuto dalle mie isole natali per lavorare con voi per risolvere la più grande sfida delle nostre generazioni, costruire una canoa. Abbiamo costruito una canoa con uno scafo debole e che perde. Eppure dobbiamo metterla in acqua perché non abbiamo altra scelta. Dobbiamo navigare su questa canoa. Ha una vela forte. Dobbiamo essere onesti: non c’è stata inclusione, il fatto che questa decisione sia stata approvata con un colpo di martello e senza una discussione è inaccettabile”.

in https://www.ispionline.it del 13 dicembre 2023

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