“Un’umanità in fuga”. Oltre 114 milioni di persone costrette ad abbandonare la propria casa

Il cambiamento climatico svela una grave ingiustizia: chi ha contribuito meno al degrado ambientale soffre di più. In una tendenza preoccupante, quasi il 60% delle popolazioni costrette alla fuga nel mondo si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici, come Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan e Myanmar.

Crisi climatica e crisi umanitaria sono due facce della stessa medaglia. A ricordarlo sono Legambiente e UNCHR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, che nel nuovo report Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate e, in vista della giornata mondiale dei diritti umani che si celebrerà il 10 dicembre, fanno il punto su quanto sta accadendo oggi nel mondo, segnato da conflitti che non trovano pace e dalla crisi climatica che avanza sempre di più causando danni all’ambiente e colpendo in maniera sproporzionata le persone in situazione di vulnerabilità perché già costrette alla fuga da guerre e violazioni dei diritti umani. I cambiamenti climatici, inoltre, esacerbano le crisi, provocando nuovi sfollamenti e ostacolando i rientri in sicurezza.

I numeri parlano chiaro: sono oltre 114 milioni le persone costrette alla fuga da guerre e violenze a livello globale e, secondo le stime dell’UNCHR, quasi il 60% di loro si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici, come Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan e Myanmar. Dagli orrori della guerra e delle persecuzioni alla dura realtà delle avversità indotte dal clima, le popolazioni costrette alla fuga sono spesso costrette a confrontarsi con questo doppio onere per sopravvivere.

Preoccupanti anche i dati del 2022, riferiti in particolare agli effetti che gli eventi meteorologici estremi comportano. In base alle stime dell’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC), solo nel 2022 si è assistito a oltre 32 milioni di nuovi sfollati a causa di disastri, il 98% dei quali legati ad eventi atmosferici come inondazioni, tempeste e siccità.

Una fotografia preoccupante su cui è fondamentale intervenire con azioni non più rimandabili. Per Legambiente e UNCHR cooperazione e dialogo internazionale, e più fondi per mitigazione e adattamento agli effetti della crisi climatica, in particolare ponendo attenzione al sostegno delle persone costrette alla fuga e alle comunità ospitanti, a partire dai gruppi più vulnerabili, devono essere le priorità da mettere al centro con l’urgenza di un’agenda internazionale comune che non può più aspettare.  Il primo segnale importante arrivi da questa COP28, insieme ad un serio Patto di solidarietà tra Paesi industrializzati e Paesi con economie in via di sviluppo.

“La complessa relazione che esiste tra crisi climatica e migrazioni – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – deve essere al centro dell’agenda politica internazionale, perché è un fenomeno in forte crescita, come evidenzia il nostro rapporto. Occorre farlo prima di tutto in un’ottica di solidarietà, accoglienza e inclusività. Oggi più che mai è fondamentale recuperare il senso della cooperazione e del dialogo a livello globale, mettendolo in relazione con l’impegno di solidarietà che associazioni, volontari e volontarie svolgono quotidianamente a livello locale nel costruire insieme un futuro di pace. Ma al tempo stesso è urgente puntare su politiche incisive contro la crisi climatica e per l’adattamento. L’azione messa in campo sino ad ora dai governi ci porta pericolosamente verso un aumento della temperatura media globale di quasi 3°C entro la fine del secolo, con tutto quello che ne consegue. Serve agire subito attraverso un’agenda comune internazionale, un serio phase out dei combustibili fossili e dei sussidi al loro utilizzo, in modo da poter raggiungere a livello globale zero emissioni nette entro il 2050 e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Serve infine un serio e concreto patto di solidarietà con l’impegno dei Paesi industrializzati nel sostenere finanziariamente gli interventi di adattamento e di supporto necessari nei Paesi più poveri e più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico”.

Vedi il report “Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate

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