I giovani italiani travolti da una “policrisi”

ANDREA ROSSI

Nella prima metà degli anni Novanta l’Italia è stato il primo Paese in cui gli over 65 hanno superato gli under 15. Attualmente gli italiani di 65 anni e più hanno raggiunto la percentuale che il mondo avrà a fine secolo e la presenza dei giovani è ai livelli che il pianeta vedrà nel XXII secolo. L’Italia ha perso i suoi giovani. La fotografia scattata da La Giovane Italia, volume edito da Il Mulino, è quella di una generazione che i curatori – i sociologi dell’Università di Torino Francesco Ramella e Sonia Bertolini – definiscono della «policrisi»: cresciuta in un mondo che affronta declino economico, precarizzazione del mercato del lavoro, crisi climatica, pandemie, il ritorno della guerra e del rischio atomico in Europa.

Sono condizioni che affliggono i ragazzi dell’Occidente ma i tanti contributi del volume delineano l’Italia come un caso estremo. Unico. Per il docente della Cattolica di Milano Alessandro Rosina sebbene l’inverno demografico sia un fenomeno europeo alcuni Paesi hanno saputo adottare contromisure e oggi hanno generazioni in entrata nell’età lavorativa «con una consistenza analoga a chi è al centro della vita adulta attiva».

L’Italia invece «va verso un crollo della forza lavoro potenziale». Ma ciò che ci distingue è il numero di figli realizzato, non quello desiderato», spiega Rosina. «L’Italia ha conosciuto negli ultimi decenni una spirale di “degiovanimento” quantitativo e qualitativo che non ha precedenti e difficilmente riscontro nel resto d’Europa. Difficile trovare un Paese nel quale i giovani si trovino con una combinazione così sbilanciata, oltre che di peso, tra vecchie e nuove generazioni, di debito pubblico su Pil e di livelli di occupazione (e reddito) rispetto agli over 55».

Così si afferma la «post-poned generation», la generazione del rinvio. Come spiega Alessandro Cavalli, docente a Pavia, il 38% dei ragazzi tra 26 e 34 anni vive a casa dei genitori. La disoccupazione giovanile è al 19% (rispetto al 9,5% nella popolazione). Inoltre i giovani tra 15 e 34 anni che hanno un lavoro a tempo indeterminato sono, sul totale degli occupati, il 15,7% tra i ragazzi e il 17,3% tra le ragazze. E poi ci sono i Neet, coloro che non studiano né lavorano: sono 2 milioni, il 23,1% della popolazione 15-29 anni.

La condizione lavorativa instabile genera il fenomeno decritto dalla sociologa torinese Loredana Sciolla: «Non solo si diventa adulti più tardi ma il percorso stesso perde la sua linearità, si rende più flessibile e ha forme di reversibilità delle scelte». Infatti, spiega il sociologo dell’Università di Bologna Roberto Rizza, «non è improbabile che studio e lavoro si intreccino, che la nascita di un figlio preceda il matrimonio, oppure che l’uscita da casa sia interrotta da un nuovo rientro in famiglia». Se fino a poco tempo fa la convivenza giovanile, come modalità di uscita di casa, era più diffusa tra i giovani di classe sociale più elevata e il matrimonio tra quelli di classe più bassa, oggi – spiega Manuela Naldini, nascono «anche nuove disuguaglianze e “destini divergenti” nei modi di “fare” famiglia tra i giovani a seconda della loro origine sociale».

Eppure quest’epoca di estrema incertezza ha dato vita a una reazione. Seppure in forma embrionale, spiegano Moreno Mancosu e Francesco Ramella, «sembra di assistere alla nascita di una nuova generazione politica» diversa dalla politicizzazione-ideologica degli Anni Sessanta e Settanta e dal privatismo-apatico degli anni Ottanta e Novanta. «Gli under 35 hanno ereditato dai padri un certo rifiuto per la politica istituzionale ma dai nonni il gusto della contestazione, attraverso il rilancio di forme di partecipazione non-convenzionale. Insieme a un forte attaccamento per la democrazia e i diritti civili, questa nuova generazione condivide una profonda consapevolezza dell’incertezza del futuro». Certo, l’astensione tra gli under 35 è circa il doppio che tra gli ultra 64enni. Eppure c’è molta più partecipazione: manifestazioni pubbliche, iniziative per l’ambiente o di quartiere, volontariato. E l’impegno pubblico si manifesta anche mediante le scelte di vita quotidiana: consumi, trasporti, alimentazione.

Lo spiegano Silvia Mazzucotelli Salice ed Emanuela Mora: «Si è assistito al riattivarsi di sensibilità – etiche, critiche e ambientali – che riaffermano il ruolo dell’acquisto (o non acquisto) come campo di azione e partecipazione politica, una forma di impegno più immediata e tangibile ma non necessariamente alternativa alla mobilitazione collettiva». In quest’ottica anche il rapporto con il lavoro viene ridefinito: «Di fronte all’eventualità di lasciare un lavoro a tempo indeterminato per uno precario – a patto che sia più interessante – quasi un terzo tra i 18 e i 34 anni si trova d’accordo, mentre meno di un adulto su cinque la condivide», è l’analisi di Sonia Bertolini e Valentina Goglio. Non significa non ambire alla stabilità lavorativa o alla carriera, ma considerare anche altri fattori: la realizzazione nella professione o la conciliazione con la vita privata. Gli under 35 si caratterizzano anche per un nuovo modo di vivere la sfera personale, analizzano Nicole Braida e Raffaella Ferrero Camoletto, «che mette in discussione il binarismo di genere e sessuale e le sue espressioni normative». Una generazione strutturata nell’instabilità. Ma che, racconta il volume, sperimenta nuove forme di democrazia.

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