“Ero l’uomo della guerra, la mia vita da fabbricante di armi a sminatore”

ANTONIO GRECO

Due testi a confronto. Ho letto contemporaneamente il testo scritto da due pugliesi, il barese Vito Alfieri Fontana in collaborazione con il salentino Antonio Sanfrancesco, dal titolo “Ero l’uomo della guerra, la mia vita da fabbricante di armi a sminatore” (edizione Laterza) e la Relazione annuale Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, relativa all’anno 2022. Entrambi i testi sono stati pubblicati nell’ottobre 2023.

Vito Alfieri Fontana è ingegnere elettrotecnico e dagli anni Settanta fino al 1993 è stato la mente della Tecnovar Italiana di Bari, specializzata nella produzione di componentistica militare, in particolare di mine antiuomo e anticarro. Antonio Sanfrancesco, originario di Taurisano, è un giornalista professionista e lavora al settimanale Famiglia Cristiana, dove si occupa di cronaca, attualità e cultura.

Il testo “Ero l’uomo della guerra” non è un saggio ma è un racconto. Senza reticenze e senza retorica, narra la storia vera di un uomo dalle due vite: nella prima ha progettato e venduto due milioni e mezzo di mine antiuomo; nella seconda, da fabbricante di strumenti bellici e di morte, si è fatto sminatore e operatore umanitario.

Il libro toglie il velo sul commercio internazionale di una tipologia di armi, le mine. Non è un libro “agiografico”, perché non si limita a tessere le lodi di una conversione individuale ma è finalizzato a svelare i meccanismi della più criminale fra le produzioni belliche. Le mine, definite “il soldato perfetto”, non distinguono tra il piede di un militare e quello di un civile e non conoscono tregue o cessate il fuoco. Nate come mezzo prevalentemente difensivo, a partire dalla guerra in Vietnam le mine si sono trasformate in strumento offensivo contro la popolazione civile. Il racconto di Fontana è diviso in tre parti, ciascuna con cinque capitoli:

Parte prima (Mine): Una storia di famiglia, La svolta, Made in Italy, Gli anni delle proteste e gli anni ruggenti, Le prime crepe.

Parte seconda (Crisi): Tutto cambia, Il momento di scegliere, un cammino difficile, Ombre e sospetti, Un anno lungo una vita.

Parte terza (Rinascita): Dopo una guerra, Campi minati, Bilanci e nuove partenze, Sarajevo, Finale di partita.

L’ epilogo del libro ha per titolo: Il passato che non passa. La prima vita di Fontana è una servile fedeltà all’apparato militare e industriale. Proprietario della Tecnovar, fiorente azienda che, fino al 1993, ha progettato, prodotto e venduto mine antiuomo; aveva sede a Modugno, in provincia di Bari, e aveva commissioni in tutto il mondo, in particolare in Egitto.

La storia della fabbrica di famiglia, dagli anni ’60 alla sua chiusura, l’intraprendenza e la visione diversa di suo padre, fondatore prima della Fabem (produce impianti elettrici, valvole di ghisa e cassette da incasso per i contatori Enel) che poi diventa Tecnovar (con 86 dipendenti; “nel giro di pochi anni le mine antiuomo e anticarro prodotte dalla Valsella e dalla Tecnovar diventano un vanto del made in Italy al pari della Ferrari, del Chianti e del Parmigiano Reggiano” ), i rapporti con sua moglie, a cui è dedicato il libro, e con i suoi due figli, tutto conduce al cuore del racconto: l’offensiva sulla coscienza di Fontana che si interroga: Perché continuare a svolgere una attività che produce solo morte?

L’offensiva sulla coscienza di Fontana si manifesta forte nel 1993 con i seguenti stimoli incalzanti: l’interrogativo del figlio di otto anni (“Allora sei un assassino?”), l’incalzare di Gino Strada, la partecipazione al Maurizio Costanzo Show, l’invito di Pax Christi a un dibattito a Bisceglie e le domande, in quella assemblea, di Giampietro Losapio (“ma lei cosa sogna la notte? che scoppi un’altra guerra per produrre tante mine e guadagnare un sacco di soldi? desidera che i conflitti in giro per il mondo si moltiplichino per poter lavorare e arricchirsi? ma che razza di vita è la sua?”), gli scritti di Don Tonino Bello che non ha conosciuto personalmente, la Campagna internazionale contro le mine antiuomo avviata nel maggio del 19931 , i pungoli di Nicoletta Dentico2 , il ricevere pacchi anonimi con una sola scarpa, l’ultima commessa dell’esercito italiano per produrre uno stock di 250 mila mine illuminanti, fino alla decisione di dimettersi da ogni incarico operativo nella Tecnovar e di non partecipare più, in nessuna forma, alla costruzione di mine della sua azienda. Il difficile cammino della conversione personale di Fontana si intreccia con la dura resistenza del padre e con il tentativo fallito della riconversione industriale della sua fabbrica.

La scelta di “rinascere alla cooperazione e alla vita” e di riconvertirsi a progetti di sminamento è un percorso accidentato: deve fare i conti con imbarazzo e diffidenza, con ombre e sospetti. Ma con l’Ong Intersos inizia l’impegno di sminatore nel Balcani per permettere alle popolazioni di Bosnia e Kossovo, uscite dalla atroce guerra, un ritorno alla normalità.

“Ho progettato, costruito e venduto due milioni e mezzo di mine antiuomo. Ne ho tolte migliaia, per quasi vent’anni, tutte lungo la dorsale minata dei Balcani, dal Kosovo alla Serbia fino alla Bosnia, rimettendo in funzione abitazioni, scuole, fabbriche, terreni agricoli, acquedotti e stazioni ferroviarie. In queste cifre si racchiudono, simbolicamente, tutte e due vite che ho vissuto. Dal punto di vista numerico, il bilancio è impari. Da quello della mia coscienza pure, perché il male compiuto resta. Per sempre.”

Dal 1979 al 1990 la Tecnovar di Fontana ha venduto all’Egitto, uno dei principali clienti del decennio d’oro degli anni ’80, un milione di componenti inerti di mine anticarro e 1 milione e 300 mila mine antiuomo.

Anche dopo anni di nuova vita, per Fontana, il suo passato è “un passato che non passa” se appena il 9 gennaio 2023 sul profilo Twitter ufficiale dell’ambasciata russa in Italia compare questo messaggio: “Mine di fabbricazione italiana TS/6.1, TS-50 e TS/2.4 sono state disinnescate da genieri russi sul territorio ucraino…”.

Sono le mine fabbricate dalla Tecnovar. La notizia è falsa. Fontana chiarisce: “si tratta di mine con componenti inerti prodotti dalla Tecnovar e vendute più di quarant’anni fa all’Egitto, che poi le ha assemblate nella fabbrica di Heliopolis e vendute, immagino, ad altri paesi, come l’Iraq, l’Afghanistan e probabilmente anche la Russia”.

Il testo di Fontana-Sanfrancesco inserisce la vicenda personale di Vito Alfieri in un contesto internazionale e italiano, dagli anni ’60 (la guerra in Vietnam) ad oggi (guerra in Ucraina). È molto bene documentato dal punto di vista storico, politico, religioso e giuridico. Un intero capitolo, con molti dettagli interessanti, è dedicato al Trattato internazionale di messa al bando globale di ogni sorta di mine, approvato dalla assemblea generale degli stati partecipanti alla Conferenza di Oslo, il 17 settembre del 1997. Fontana era presente ad Oslo ed è stato uno dei protagonisti principali per consentire all’assemblea di respingere emendamenti volti ad annacquare e a rinviare nel tempo l’entrata in vigore e poi l’approvazione del Trattato.

Con la legge numero 374, approvata definitivamente dal Parlamento il 22 ottobre del 1997, l’Italia si colloca in una posizione di avanguardia nello scenario internazionale in quanto non solo è il sesto paese -dopo Belgio, Irlanda, Norvegia, Austria – a rinunciare definitivamente all’uso, produzione e commercio di mine antiuomo, ma lo fa attraverso una definizione di mina antiuomo molto ampia, la più avanzata rispetto alle legislazioni prodotte fino a questo momento.

Nel 2022 la Convenzione per la messa al bando ha compiuto 25 anni. In questo periodo 164 Stati, che finora hanno aderito, hanno distrutto complessivamente più di 55 milioni di mine antiuomo stoccate nei propri arsenali. I paesi che producono ancora mine sono 11: Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Singapore, Corea del Sud e Vietnam. Gli Stati Uniti, pur non avendo aderito si sono allineati alla maggior parte delle disposizioni fondamentali della convenzione, incluso il divieto di produzione e acquisizione di mine antiuomo.

LA RELAZIONE ANNUALE AL PARLAMENTO ITALIANO

I droni e le armi autonome, con nuovi enormi problemi (possiamo lasciare l’Apocalisse alle macchine?) fanno apparire le mine armi obsolete e vecchie. Ma non è così. La categoria delle mine nel mondo delle armi è un “frattale”, cioè ripete allo stesso modo, su scale più piccole, dinamiche di mercato e rinvia ad un quadro molto più ampio della industria bellica, descritto dalla “Relazione al Parlamento italiano sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, riferita all’anno 2022” 3 .

Dopo la pubblicazione, di tremila pagine, della Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento, dovremmo sapere tutto sull’enorme mercato mondiale delle armi. Ma, al netto delle numerose deroghe alla Legge 185/1990, approvate dal Parlamento, che hanno segretato le informazioni sulle armi italiane inviate nell’ultimo anno alla Ucraina, la trasparenza nel settore risulta sempre più opaca. Come insegna Fontana, per esperienza diretta, quello delle armi è un tipo di business, in cui è molto facile oltrepassare la soglia della legalità e finire nella zona grigia del traffico internazionale di armi.

Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), un centro di ricerca che studia le dinamiche militari, ci aveva già informato alla fine del 2022 sul fatto che l’industria delle armi non conosceva crisi e continuava a crescere in barba ai rallentamenti dovuti alla pandemia, alla crisi della logistica e agli effetti dell’inflazione. Il SIPRI ha reso noti i conti finali di questo commercio nel 2022 spiegando che la spesa militare globale totale è aumentata l’anno scorso del 3,7% in termini reali raggiungendo un nuovo massimo di 2.240 miliardi di dollari. Il SIPRI segnala anche una nuova sfida alla trasparenza nel settore degli armamenti: il coinvolgimento del “capitale privato” nell’industria bellica statunitense, solo a scopo di lucro. Un numero crescente di produttori di armi e fornitori di servizi militari viene acquisito da investitori di “capitale privato” (private equity), che non sono soggetti agli stessi obblighi di rendicontazione finanziaria pubblica delle società quotate in borsa. Questa tendenza ha importanti implicazioni per il controllo di un settore che è centrale per le questioni di pace e sicurezza.

Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il 24 maggio 2023, Oxfam ha ricordato che nel mondo “ogni giorno 9.000 persone sono morte per fame a causa principalmente degli effetti prodotti dai conflitti in corso. L’anno scorso sono stati esportati armamenti per 85 milioni di dollari”. “Paradossalmente quattro dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono in cima alla vendita globale di armi che alimentano guerre in tutto il mondo”.

È impossibile sintetizzare tutta la Relazione. Riporto in nota il link sia per il documento ufficiale di sintesi che per l’intera Relazione in cui si trovano sia i dati italiani che quelli mondiali del mercato bellico.

Il Documento sintetico è stato trasmesso alla Camera e al Senato il 5 maggio 2023. https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01389883.pdf

Ma solo ad ottobre è stata pubblicata la Relazione dettagliata. https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/docnonleg/46881.htm Quest’ultima è composta da 2 volumi (vol. I: 1014 pagg; vol. II: 2096), scaricabili dal sito del Senato. È trasmessa al Parlamento ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 185 del 1990.

in “manifesto4ottobre” del 1 dicembre 2023

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