Clima, intesa impossibile

NICOLAS LOZITO

Domani inizia a Dubai il più importante appuntamento di diplomazia climatica dell’anno, la Cop28 – dove Cop significa “Conferenza delle parti”, organizzata dalle Nazioni Unite, e 28 è il numero dell’edizione, una all’anno dal 1995 (escluso il 2020). Come arriva il mondo all’evento? Come i bambini al primo giorno di scuola: distratti dall’estate e senza aver fatto i compiti per le vacanze. Fuori di metafora: il mondo ribolle, guerre e crisi attirano le principali attenzioni, e gli Stati sono lontanissimi da risultati concreti, nonostante anni di solenni promesse. Oltre ai progressi mancati, ieri è arrivata un’altra pessima notizia. Papa Francesco ha annunciato di non riuscire a partecipare all’evento per motivi di salute. Sarebbe stato il primo pontefice a partecipare a una Cop. Negli scorsi mesi aveva pubblicato l’aggiornamento alla sua enciclica ambientale Laudato Si’ chiedendo progressi globali in materia di giustizia climatica. Non è l’unico assente illustre: Biden e Xi hanno già dato forfait (mentre rimane confermato re Carlo III). La Cop inizia ancora più in salita del previsto.

La febbre del Pianeta

Inquadriamo il contesto. Il 2023 sarà l’anno più caldo di sempre secondo le proiezioni dell’ente europeo Copernicus. La media delle temperature globali ha già superato la soglia di +1,2°C (1,3°C secondo stime più aggiornate) rispetto l’era pre-industriale. Da quando bruciamo petrolio, gas e carbone la concentrazione di anidride carbonica (la famigerata CO? che genera l’effetto serra) nell’atmosfera ha raggiunto livelli mai visti nella storia della civiltà umana: oltre 420 parti per milione (+40% rispetto i livelli massimi raggiunti negli ultimi 800.000 anni). L’indicatore della CO2 è ancora più importante della temperatura. Per fare un altro paragone, è come impostare la potenza del forno: la temperatura si assesta più lentamente. Con gli Accordi di Parigi (Cop 21) gli Stati avevano raggiunto l’accordo di limitare il surriscaldamento entro i +2°C e possibilmente intorno a +1,5°C, l’unica soglia considerata sicura dagli scienziati.

Il divario nelle emissioni

L’ente dell’Onu che organizza le Cop, l’Unfccc, ha quantificato il divario tra promesse e realtà. L’Onu ha preso il riferimento delle emissioni 2019: per rallentare il surriscaldamento globale e dimezzare le possibilità di superare i +1,5°C, i Paesi dovrebbero ridurre le emissioni globali del 43% entro il 2030. Ma per come ci stiamo comportando finora siamo destinati a una riduzione di appena il 2%. Una bocciatura completa. Nelle prossime due settimane di negoziati, l’obiettivo è rimettersi in carreggiata. È questo uno dei primi obiettivi di Dubai: accettare che il “Global stocktake”, il bilancio da fare ogni 5 anni sugli obiettivi raggiunti o dimenticati, diventi uno strumento non solo di mero studio ma una roadmap per correggere gli errori.

Fonti fossili e rinnovabili

Negli Emirati Arabi Uniti saranno presenti 70.000 delegati da tutto il mondo. Nella prima settimana aspettiamo annunci da parte di singoli Stati o gruppi di Paesi: nuovi progetti e promesse “verdi”. Nella seconda settimana invece si entrerà nel vivo dell’accordo finale. A guidare i lunghissimi negoziati, in cerca di un documento approvato all’unanimità, ci sarà il sultano Al-Jaber, ministro del Paese e amministratore delegato dell’azienda petrolifera Abu Dhabi National Oil Company. Nell’ultimo anno ha provato a convincere il mondo della sua buona fede, ma proprio due giorni fa un’inchiesta giornalistica ha rivelato i suoi piani sotterranei per siglare durante l’evento nuovi accordi di estrazione. Proprio sul tema dei combustibili fossili si gioca la partita più importante. L’Agenzia internazionale per l’energia sostiene che non si possano più avviare nuovi progetti di estrazione, ma i Paesi ricchi di oro nero e idrocarburi sperano che i negoziati possano permettere eccezioni. Sarà con tutta probabilità messo nero su bianco l’impegno globale di triplicare la produzione di energia rinnovabile entro il 2030, forse il risultato più importante sul tavolo (ma i Paesi più “verdi”, incluso il blocco Ue, non vogliono che questo giustifichi gli Stati più inquinatori).

La finanza e gli aiuti

L’anno scorso la Cop27 si era chiusa con un risultato storico: era stato riconosciuto il principio della giustizia climatica (chi ha inquinato di più, cioè l’Occidente è responsabile e deve sostenere i Paesi più vulnerabili). Era stato approvato il fondo Loss and Damage, ma il dibattito si è arenato sul funzionamento e la gestione dei flussi di denaro. Lo stesso si può dire della finanza verde, grande mito e grande promessa delle Cop ma dai meccanismi operativi ancora lenti. Ecco perché le Cop sono come il primo giorno di scuola: arriviamo impreparati, pieni di grandi speranze per il nuovo anno. Pronti con le nostre promesse di studio, consapevoli che una parte sarà disattesa. Speriamo non tutte.

in “La Stampa” del 29 novembre 2023

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