La povertà multidimensionale nel mondo: una piaga da estirpare. Report ONU

ANDREA WALTON

Povertà, marginalizzazione, discriminazione sono ancora piaghe difficili da combattere ed estirpare. Il Multidimensional Poverty Index, pubblicato nel luglio 2023 dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (U NDP ) e dall’Oxford Poverty and Human Development Iniative dell’università di Oxford, ha evidenziato come nel mondo cinque persone in condizione di povertà su sei vivano in Africa subsahariana (534 milioni di persone) o in Asia meridionale (389 milioni di individui).

L’indice, che rappresenta un importante barometro per capire cosa si sta muovendo in questo ambito nel mondo, misura il livello di povertà di una famiglia o di una popolazione sulla base del concetto di deprivazione e, come ricordato dal portale dell’alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, viene elaborato a partire da tre dimensioni fondamentali: la salute, l’educazione e gli standard di vita. Il grado di deprivazione di una famiglia e/o di uno dei membri che la compongono, è misurato dunque a partire dalla presenza di uno dei dieci indicatori elaborati: una famiglia vive una condizione di deprivazione se un bambino è morto nei cinque anni precedenti, oppure se un qualsiasi membro è sottopeso a causa di una cattiva alimentazione, o se un minore in età scolare non frequenta un istituto di istruzione, ecc.

Gli indicatori riguardano anche l’accesso alle strutture sanitarie, all’alloggio, all’energia elettrica, all’acqua. Più di un miliardo di persone, sugli oltre sei miliardi di abitanti dei centodieci Paesi in via di sviluppo, vive in condizioni povertà, il diciotto per cento degli indigenti vive in condizioni di grave deprivazione e l’ottantaquattro per cento dei poveri abita in aree rurali. «Uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile» fissati dalle Nazioni Unite «chiede ai Paesi di dimezzare la povertà entro il 2030 sulla base delle definizioni nazionali» e ciò evidenzia come il contrasto all’indigenza rappresenti una delle priorità della comunità internazionale. Venticinque nazioni, come la Cambogia ed il Gabon, sono riuscite a dimezzare il proprio indice di povertà multidimensionale nel corso degli ultimi quindici anni e questi risultati rappresentano senza dubbio traguardi importanti. Non bisogna dimenticare, però, che ancora tante persone nel mondo sono preda di un circolo vizioso fatto di povertà, esclusione lavorativa e sociale, alienazione e discriminazione e che questo stato di cose deve cambiare.

I dati globali
La povertà è, in linea generale, presente in tutte le società e le nazioni del mondo contemporaneo. Si tratta di un fenomeno difficile da eradicare completamente, ma pur sempre affrontabile da parte dei governi e degli Stati. Le politiche di assistenza nei confronti dei bisognosi e dei disoccupati, unite ad azioni che aiutino le comunità ad affermarsi e ad emanciparsi dal punto di vista economico, sono strumenti chiave per affrontare l’indigenza e per ridurne la portata.

La povertà può assumere diverse forme, a seconda del livello di gravità e riguardare diverse categorie di persone, come i bambini, gli anziani ed i disoccupati. La caratteristica comune di tutte le sue forme è, comunque, quella di privare chi ne soffre di un futuro dignitoso e di non garantirgli le medesime prospettive in cui può sperare la restante parte della popolazione. L’ingiustizia di fondo dell’indigenza rischia di provocare rabbia e rancore da parte di chi ne è coinvolto e può generare instabilità, rivolte ed insurrezioni. Le ricadute dell’esclusione non sono, dunque, meramente individuali ma possono assumere connotati sociali di ampia portata e dare vita a mutamenti in contesti politici differenti.

Secondo le ultime stime a disposizione dall’Onu e da diverse ong, il 10% della popolazione mondiale vive con poco più di un dollaro al giorno, il 20% con 2,15 dollari e ben il 60% con meno di 10.

I siti World Data Lab e Our World in Data forniscono una panoramica della povertà presente nei vari continenti. In percentuale la povertà mondiale è in gran parte concentrata nel continente africano e in particolare nell’Africa subsahariana, dove la percentuale di persone in povertà arriva a toccare picchi del 60-70% (Angola, Mali, Madagascar, Zambia, Sud Sudan); in Asia meridionale, con livelli che oscillano tra il 5 e il 10% in India, Myanmar e Pakistan; in America Latina, intorno al 5-7%, in Brasile, Bolivia, Colombia e Venezuela.

La povertà tra i bambini

Tra le forme più gravi di povertà c’è quella che riguarda i bambini che, impossibilitati a vivere in condizioni adeguate per la propria età, si ritrovano privi di un futuro. Un recente rapporto realizzato dal Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF ) e dalla Banca mondiale ha sottolineato come più di trecentotrenta milioni di bambini si trovino in condizioni di povertà estrema in tutto il mondo. Il novanta per cento vive in Asia meridionale ed in Africa subsahariana ma è proprio quest’ultima macro-area ad essere la più problematica. La situazione dell’Africa subsahariana è persino peggiorata rispetto a dieci anni fa perché, secondo gli esperti citati dal portale delle Nazioni Unite, le misure di protezione sociale sono “limitate”. Milioni di bambini africani diventano vittime della piaga del lavoro minorile a causa delle proprie condizioni di vita e tutto ciò può avere pesanti ricadute sul loro futuro. Decine di milioni di giovanissimi africani devono rinunciare alla propria infanzia, all’istruzione ed alla salute per un guadagno misero, pari a pochi centesimi al giorno, che di certo non gli consentirà di fare alcunché.

Una delle matrici comuni alle diverse i voli più forme di povertà, tanto quella adulta quanto quella minorile, riguarda l’abitare in un’area rurale. L’indigenza rurale è la forma di povertà più diffusa a livello internazionale e secondo la FAO ben l’ottanta per cento dell’indigenza estrema nel mondo si concentra nelle aree non urbane. La Banca mondiale ha stimato che buona parte della popolazione delle zone rurali africane continuerà a vivere con meno di due dollari e quindici centesimi al giorno anche nel corso dei prossimi anni, uno scenario desolante dovuto anche al peggioramento della congiuntura internazionale a causa della pandemia da Covid-19 e della guerra in Ucraina.

In particolare modo l’emergenza Covid-19, secondo il rapporto della Banca mondiale Correcting Course: Poverty and Shared Prosperity 2022, ha segnato uno spartiacque nella lotta alla povertà a livello globale. Nei trent’anni precedenti la pandemia più di un miliardo di persone era uscito dalla povertà estrema ma poi il trend ha cominciato a rallentare e la tendenza si è invertita.

Il fenomeno colpisce anche i Paesi industrializzati. Il caso di Europa e Stati Uniti

Le forme e le sacche più gravi di indigenza riguardano le nazioni in via di sviluppo ma il fenomeno della povertà è presente anche nelle nazioni più avanzate dal punto di vista economico. Nel 2022 un cittadino europeo su cinque, per un totale di poco più di novantacinque milioni di abitanti, ha vissuto sotto la soglia della povertà e dell’esclusione sociale. A riferirlo è un recente rapporto di Eurostat che ha ha calcolato l’indice sul rischio di povertà ed esclusione combinando tre parametri come il reddito disponibile ed il tempo di lavoro del nucleo familiare. Ad essere più a rischio di indigenza sono le donne, i giovani adulti e le persone con un basso livello di istruzione ma le differenze tra i diversi membri dell’Unione europea sono significative. I valori più elevati di persone a rischio di indigenza ed esclusione sono stati registrati in Romania (34% della popolazione), in Bulgaria (32% della popolazione), Grecia e Spagna (26% della popolazione) mentre nelle nazioni più virtuose, come Repubblica Ceca e Polonia, solamente il dodici per cento della popolazione si trova in condizioni di rischio. La situazione europea è legata soprattutto all’invecchiamento della popolazione e ad una più generale stagnazione del tessuto produttivo che non fa più registrare tassi di crescita significativa. Questi problemi di lungo corso vengono, poi, aggravati da situazioni emergenziale contingenti, come la pandemia e la guerra, che hanno contribuito a far crescere i costi delle materie prime e dell’energia.

Le cose non vanno bene nemmeno negli Stati Uniti. Una ricerca della Pinceton University pubblicata pochi mesi fa ha messo in rilievo che quasi il 12% della popolazione americana vive nel bisogno. Per 38 milioni di persone, cibo a sufficienza, acqua pulita, un’abitazione adeguata o vestiti puliti sono un lusso spesso inaccessibile. Negli Stati Uniti esistono programmi governativi per i meno abbienti, ma sono diminuiti radicalmente rispetto agli anni Sessanta, quando il welfare del presidente Lyndon Johnson era riuscito a dimezzato la povertà in 10 anni.

Va considerato inoltre che nel 2022, per la prima volta in tredici anni, negli States è aumentato il tasso di povertà. Nel 2021 il tasso di povertà era del 12,4%, in aumento del 4,6% rispetto al 2021, secondo la Supplemental Poverty Measure, indice che esamina i programmi governativi e i crediti d’imposta progettati per aiutare le famiglie a basso reddito in base alle risultanze del censimento.

La situazione, però, è più complessa di quel che può apparire. Il tasso di povertà degli afroamericani è diminuito del 2,4%, dal 19,5% del 2021 al 17,1% del 2022, secondo i dati del censimento, così come per i cittadini di origine asiatica, che hanno visto il tasso ufficiale di povertà scendere dal 9,1% nel 2021 all’8,6% l’anno scorso. I bianchi americani hanno invece registrato un aumento della povertà di oltre lo 0,5% dal 2021 al 2022.

L’indigenza non è un fenomeno che riguarda esclusivamente chi vive ai margini della società ma può coinvolgere la classe media che, in alcuni casi, deve ricorrere alle forme di aiuto fornite dalle associazioni caritatevoli per poter sopravvivere. Tra gli eventi che possono spingere nel baratro della povertà c’è la perdita dell’occupazione e la difficoltà a ricollocarsi sul mercato del lavoro. La disoccupazione, in assenza di adeguate politiche di sostegno socio-economico, può rivelarsi devastante e drammatica anche per individui e nuclei familiari che prima godevano di un discreto tenore di vita. Le politiche di assistenza economica implementate dai governi occidentali sono dunque cruciali per aiutare chi ha perso l’occupazione a ritrovare la speranza ed una vita migliore.

in L’Osservatore Romano, 18 novembre 2023

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