Politica. L’evasione fiscale, una patologia grave, tollerata e a volte incoraggiata in Italia

ELSA FORNERO

È normalmente accettato, anche se diseducativo e non edificante, che i politici usino in campagna elettorale un linguaggio accattivante o apertamente populista con chi li ascolta per sollecitarne il voto e un linguaggio aggressivo e accusatorio contro gli avversari; che tendano cioè a promettere ai primi molto più di quanto siano convinti di poter mantenere e ad attribuire ai secondi la colpa di tutto ciò che non funziona, anche quando si tratta di shock originati in altre parti del mondo. È però molto meno accettabile che si mantenga lo stesso comportamento quando si è al governo e si devono fare i conti con la durezza della realtà, la sgradevolezza dei numeri e la forza dei vincoli economici.

Numeri e vincoli che, per quanto riguarda l’economia, la demografia e, più in generale, la società sono assai poco tranquillizzanti per l’Italia, rivelando molteplici debolezze strutturali delle quali la politica tende a ricordarsi solo quando si acutizzano, la situazione generale peggiora e i vincoli delle risorse scarse si fanno più stringenti. Come, per esempio, accade nelle situazioni in cui lo spread sale, segnalando crescenti difficoltà del governo a finanziarsi (il “giudizio dei mercati” paventato da Giorgetti). Questo “giocare con gli elettori” non denota soltanto una discreta dose di spregiudicatezza ma anche, ciò che è persino più grave, la mancanza di una visione sistemica, che guardi all’insieme dei problemi e al medio periodo, quando magari altri politici saranno al governo, sperabilmente di un Paese lasciato in condizioni migliori di quelle di partenza.

L’evasione fiscale in Italia è uno di questi problemi di lungo termine, una patologia grave ma largamente tollerata, quando non apertamente incoraggiata da condoni mascherati e “nobilitata” attraverso il riferimento a una presunta “pace” tra il Fisco e i cittadini, come se occorresse porre fine a una relazione bellicosa e non invece creare un corretto rapporto istituzionale, come dovrebbe essere in una democrazia ben funzionante.

Dell’evasione fiscale non abbiamo certo una misura precisa, essendo per definizione legata ad attività “in nero” o totalmente illegali il cui “valore aggiunto” (ossia i redditi così creati) non può essere misurato con precisione ma soltanto stimato. Ebbene, le ultime stime della commissione incaricata dal ministero dell’Economia e pubblicate in un rapporto allegato alla Nadef – e quindi ufficiale – dicono che l’evasione fiscale e contributiva, pur essendo in tendenziale, lenta diminuzione negli ultimi anni, continua ad aggirarsi su valori di poco inferiori ai 100 miliardi l’anno. Circa un terzo di questa somma deriva dall’evasione dell’Irpef, categoria d’imposta della quale l’evasione da lavoro autonomo e da impresa copre oltre i due terzi. Nel complesso, un’ingente sottrazione di risorse a ciò che il governo può fare ogni anno, in termini di maggiori beni, servizi o investimenti pubblici, di cui il Paese ha invece enorme bisogno, anche per stimolare la crescita e per aiutare la crescente parte della popolazione che si è impoverita.

Non si tratta, però, soltanto di una “sottrazione contabile” bensì di un comportamento doppiamente iniquo perché qualcuno paga e altri no e i secondi possono accedere (in quanto cittadini) ai servizi pubblici nello stesso modo dei primi, sottraendo loro opportunità e risparmiando invece risorse personali.

In questo quadro, è particolarmente infelice il tono dell’intervento rivolto ieri dalla presidente Meloni agli artigiani della Cna, dove ha accusato altri (la sinistra, i mass media, l’Agenzia delle Entrate?) di puntare il dito contro gli autonomi per l’evasione nel nostro Paese. È sgradevole, oltre che inopportuno e non istituzionale, perché riecheggia quel «pizzo di Stato» al quale la stessa Meloni fece riferimento qualche mese fa, dimenticando di essere a capo del governo. È sgradevole anche nei confronti di tutti i leali contribuenti all’interno della categoria degli autonomi e delle piccole imprese, che si sentono equiparati a colleghi che invece, furbescamente, evadono e che si vedono tendere la mano da chi sarebbe invece chiamato a esigere il pagamento da tutti, affinché ciascuno paghi di meno senza pregiudizio per i servizi pubblici.

Lincoln disse che si possono ingannare tutti i cittadini una volta ogni tanto e alcuni per sempre ma non si possono ingannare tutti per sempre. Quando avremo governanti che parlano il linguaggio della verità ai cittadini in tema di imposte? Quando si finirà di ammiccare agli evasori? Quando si finirà di nascondere che le tasse non pagate oggi aumentano il debito e rappresentano perciò un’eredità negativa sulle spalle dei giovani?

in “La Stampa” dell’11 novembre 2023

Contrassegnato da tag ,