C’è speranza, nonostante tutto. Intervista con lo scrittore statunitense Jonathan Safran Foer

JONATHAN SAFRAN FOER, intervistato da ANDREA MONDA

Jonathan Safran Foer, 46 anni, è uno scrittore e saggista statunitense. Il suo romanzo d’esordio (e di grande successo), nel 2002, portava il titolo “Ogni cosa è illuminata”. Anche nei libri successivi, “Molto forte, incredibilmente vicino”, “Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi”, “Se niente importa”, è evidente la sua inquietudine anche rispetto al modo in cui l’uomo sfrutta l’ambiente in cui vive e alle ripercussioni drammatiche delle sue azioni. Di origini ucraine, ebreo, è stato invitato in Vaticano il 5 ottobre scorso a partecipare alla presentazione dell’esortazione apostolica Laudate Deum.

Come è stata la sua breve esperienza in Vaticano, che ricordi si porta a casa?

Stiamo vivendo un momento storico in cui è molto facile disperare. Ci sono molte ragioni per farlo: ci sono guerre, il clima è surriscaldato, ci sono i cambiamenti climatici, il tenore della cultura attuale rivela che abbiamo smarrito il modo di essere seri e insieme abbiamo perso anche il beneficio del dubbio che non sappiamo più estendere agli altri, per cui non sappiamo più andare in disaccordo senza che questo diventi un insulto. Ebbene, quando sono stato invitato in Vaticano ho pensato “che bello!” e quando invece sono ripartito ho pensato “che bello!” ma in un altro modo, non più per il privilegio dell’essere invitato ma per il fatto di aver incontrato qualcuno, anzi molte persone, che stanno lavorando per riparare il mondo. C’è un’espressione in ebraico: “tikkun olam” che significa proprio questo, riparare il mondo e renderlo un posto migliore, che è quello che tutti gli ebrei dovrebbero seguire e, avendo letto il testo di Papa Francesco e trovandomi lì sono stato testimone di come le persone accanto a lui lavorassero ed era così chiaro e ovvio che tutti stessero lavorando nella stessa direzione. E lo dico da non cattolico, da persona che non era predisposta ad essere ispirata e invece da tutto questo sono stato ispirato.

Nel discorso che ha fatto presentando la Laudate Deum, lei ha detto che spesso gli uomini anche quando sono consapevoli dei pericoli che corrono, spesso non agiscono di conseguenza. Conoscono il percorso di un uragano ma non sanno decidersi ad allontanarsene. Come mai accade questo? È a causa del tema del pericolo ambientale o è nella natura dell’uomo questa schizofrenia tra consapevolezza e azione?

C’è qualcosa nella crisi climatica che è particolarmente difficile, ostico, per la nostra natura. Perché non sembra personale, è un pò astratta, sembra che stia accadendo da qualche altra parte. E abbiamo incentivi molto forti per allontanarla dalla nostra mente: alcuni di questi incentivi sono finanziari, altri, come dice Papa Francesco, di potere, altri sono solo frutto delle nostre paure. Perché se dovessimo credere davvero a ciò che sappiamo, se dovessimo crederci nel nostro cuore, sarebbe come vivere un incubo da svegli. Pensare al numero delle persone che soffriranno, dei bambini, delle famiglie che soffriranno è terribile. È un po’ come la morte stessa: è inevitabile che sia molto difficile vivere con la consapevolezza della morte e quindi la rimuoviamo. Anche se un ricordo di questo ci può guidare verso una vita desiderabile, infatti le persone che hanno la consapevolezza della propria mortalità tendono a dare il massimo e a trovare più senso alla propria vita, e una consapevolezza vera del cambiamento climatico sarebbe la nostra migliore speranza per rispondere a questa crisi. Non credo che sia perché le persone sono cattive o pigre. Penso, come lei ha detto, che va contro la nostra natura, ma dobbiamo trovare un modo non per sovrastare la nostra natura ma per lottare con essa.

Lei ha detto che non dobbiamo e non possiamo disperare. Qual è allora la nostra speranza?

La nostra speranza maggiore, quella più evidente è quella dei giovani, che prendono questa crisi molto più seriamente delle persone della mia generazione. È anche chiaro che sono in grado di cambiare più delle persone più anziane, perché quando si è giovani si è ancora fluidi e si può cambiare abitudini e opinioni più facilmente, si può mangiare in modi che sono più responsabili dal punto di vista ambientale. I giovani cambiano velocemente, anche il modo e il luogo di vivere e lavorare. Per me, che non sono molto lontano da loro, ho 46 anni, è più difficile cambiare la mia vita. La consapevolezza ambientale è evidentemente cresciuta molto velocemente. Così come la volontà di cambiare la nostra società. Se mi chiedete se possiamo risolvere il problema del cambiamento climatico, sono assolutamente sicuro che lo faremo, il dramma è che abbiamo un tempo limitato per farlo, se avessimo cento anni, non lo metterei in dubbio. Ma se abbiamo dieci anni per fare cambiamenti significativi direi che la sfida è molto difficile. Il tempo va contro la mia speranza.

Quando era giovane aveva questa sensibilità rispetto ai temi ambientali?

No, ma il mio ricordo è che nessuno ce l’aveva, ricordo che la gente parlava dello strato di ozono, di non usare l’aerosol e altre cose ma non c’era alcuna consapevolezza, soprattutto del cambiamento climatico. E per questo non si può dare la colpa a nessuno per non aver fatto nulla. Viviamo oggi in un momento in cui i nostri figli e nipoti ci guarderanno indietro e ci diranno: cosa avete fatto quando sapevate cosa stava succedendo? E non possiamo rivendicare l’ignoranza come persone di venti, trenta anni fa, non possiamo dire che non sapevamo nulla. Quindici anni fa si iniziava a capire e tra l’altro la nostra comprensione è ancora incompleta, stiamo ancora capendo e ogni nuovo lavoro scientifico affronta il problema con maggiore urgenza. Le calotte polari si stanno sciogliendo, gli oceani si stanno riscaldando, le temperature mondiali stanno aumentando più velocemente di quanto pensassimo. Dovremo rispondere a questa crisi senza avere tutte le informazioni. Che scelta possiamo e vogliamo fare?

Qual è la vera eredità che noi occidentali abbiamo ricevuto e dobbiamo trasmettere?

Abbiamo una grandissima eredità, che comprende cose molto belle e altre molto brutte, per esempio ci sono i vari tipi di ingiustizia, la diseguaglianza economica, vari tipi di razzismo, la tendenza “estrattiva” di qualsiasi cosa sia dalla terra che da altri esseri umani (come scrive il Papa) che si reputa necessaria per ottenere il potere. D’altra parte abbiamo ricevuto un bel pianeta, un innato senso di giustizia e l’amore per la giustizia molto forte, ed anche incredibili privilegi, come la possibilità di vivere più a lungo di quanto gli esseri umani abbiano mai fatto, una qualità di vita più elevata, più pace che mai gli uomini hanno avuto in passato. In termini di ciò che lasceremo dietro di noi, alla fine del mio discorso ho citato san Francesco riguardo alla differenza tra ciò che abbiamo ricevuto e ciò che abbiamo trasmesso, ed è mia convinzione che alla fine la vera eredità siano i valori per cui lottiamo e che lasceremo ai nostri figli e nipoti. È difficile: nella mia vita ad esempio non è facile, spesso i miei valori sono in conflitto tra loro. Penso che sia una cosa meravigliosa vedere il mondo, ma so che i viaggi in aereo sono molto inquinanti; penso che sia una cosa meravigliosa mangiare i cibi che ti vengono serviti, eppure a volte ci sono implicazioni di sostenibilità; penso che una religione, può essere una guida utile per vivere consapevolmente, ma vivere consapevolmente non può essere una religione. Il fatto è che non è tutto o niente, bianco o nero, non dobbiamo essere puri, dobbiamo invece continuare a parlare, e questo è un errore che fanno molti attivisti ambientali, trattando il tema come se fosse una religione, con il risultato che molte persone si allontanano, perché nessuno sente di poter arrivare a quella purezza, e quindi non si lasciano coinvolgere e invece c’è un’enorme via di mezzo che possiamo occupare. Le nostre decisioni, un po’ alla volta, dovrebbero far progredire il lato buono, con il risultato di consegnare un pianeta ai nostri nipoti come quello di cui noi abbiamo goduto.

Lei è un romanziere, qual è la sua responsabilità rispetto a questo mondo di oggi così in crisi?

Uno scrittore ha la stessa responsabilità di tutti gli altri uomini. Che è quella di chiedersi cosa posso offrire e come offrirla. Alcuni romanzieri sono molto bravi a scrivere saggi, altri a fare discorsi pubblici e altri ancora altre cose. Qualunque sia la vostra professione, nella crisi che stiamo affrontando, la domanda è: cosa ho da offrire io che gli altri non hanno?

In una sola parola come descriverebbe Papa Francesco?

Autentico. Prima di incontrarlo, ho chiesto come dovevo comportarmi, come chiamarlo, come essere vestito, e mi è stato dato un consiglio molto semplice: “Sii normale, lui è normale”. All’inizio mi ha fatto ridere, ma era il migliore consiglio possibile. Mi è sembrata una persona splendida, mi ha guardato negli occhi, si è lasciato guardare negli occhi. Non importa se sei il Papa, un insegnante, un poliziotto…non è facile da fare essere autentici. E se ci si riesce questa è l’inizio della risposta a tutti i nostri problemi.

in L’=sservatore Romano, 24 ottobre 2023

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