Emigrazione giovanile in Italia: i numeri reali sono il triplo di quelli ufficiali

CARLO MARRONI

Uno studio fa luce sul fenomeno e sugli effetti per l’economia e il debito pubblico

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I giovani italiani (non tutti, ma molti) vanno all’estero. Per studiare e per lavorare. Un effetto dei problemi strutturali della cultura economica e sociale italiana, che si riflette nella mancanza di un’adeguata offerta di opportunità e anche di retribuzioni. Nella storia demografica dell’Italia unita l’emigrazione è stata una costante, la regola più che l’eccezione: in anni lontani le ondate di persone che andavano a cercare fortuna all’estero erano massicce, la recente ondata migratoria dei giovani sembra di dimensione minore alle precedenti. Ma in realtà i numeri reali sono molto maggiori, per quanto riguarda i flussi addirittura il triplo di quelli rilevati ufficialmente. Tutto questo accade mentre il decreto ’Anticipi’, presentato in Senato, depotenzia fortemente il regime fiscale agevolato per i cosiddetti ’cervelli’ che rientrano dall’estero e varrà solo per docenti e ricercatori.

I numeri della diaspora dei giovani

Lo studio “Lies, Damned Lies, and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani” a cura della Fondazione NordEst e Talented Italians in Uk – gli autori sono Ludovico Latmiral, Luca Paolazzi e Brunello Rosa, presentato ieri alla 64.th Annual Conference – Italian Economic Association a l’Aquila – fa luce sul fenomeno e dimostra come la recente ondata migratoria sia di dimensioni paragonabili a quelle precedenti, con effetti molto importanti sul potenziale di crescita dell’economia italiana, e quindi sulla sostenibilità del debito pubblico.

Nel secondo decennio degli anni Duemila è ricominciata e ha via via preso maggiore consistenza l’emigrazione italiana. Il flusso è caratterizzato dall’età giovane delle persone (20-34 anni), e questo non è una novità storica, e dal più elevato grado di istruzione (30% laureati nella stessa coorte, contro il 28% per il totale dei coetanei), anche se un quarto di quanti se ne vanno non ha completato le scuole superiori. I numeri assoluti – rileva il Rapporto che sarà oggetto di un incontro domani al Festival della Statistica di Treviso, organizzato da Istat – paiono a prima vista molto inferiori a quelli delle tre grandi emigrazioni passate.

Negli undici anni 2011-2021 secondo i dati Istat 451.585 giovani italiani di 18-34 anni hanno trasferito all’estero la residenza, mente 134.543 dall’estero l’hanno trasferita in Italia. Nel complesso, dall’Italia sono usciti 317.042 giovani (saldo migratorio). Questo numero si confronta con i quasi 600mila del saldo migratorio totale di italiani nello stesso periodo. Il quale è un terzo degli 1,8 milioni del 1951-61 e del 1919-1930 e i 5,2 milioni del 1904-14. Questo ha indotto a non assegnare alla nuova fase del fenomeno una rilevanza demograficamente significativa. Anzi, la narrazione prevalente, sia presso gli specialisti della materia sia presso la società italiana e nel mondo politico (quest’ultimo concentrato sulla questione dell’immigrazione clandestina), è che si tratti un movimento fisiologico, legato all’integrazione europea.

Un fenomeno sottostimato

Ma le cose stanno diversamente: molti giovani restano residenti in Italia e non si registrano all’Aire, e quindi il fenomeno resta sottostimato. Il numero reale del flusso, però, nel periodo 2011-2021 sale a quasi 1,3 milioni, analogo agli anni ’50, che genera un “costo” in perdita di capitale umano stimato in 38 miliardi. Il fenomeno ha conseguenze pesanti sulle dinamiche demografiche, e il Rapporto usa immagini forti: «L’uscita di giovani dall’Italia sta avvenendo quando è iniziata la glaciazione demografica. Glaciazione, non inverno».

in Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2023

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