Il disagio giovanile e la crisi dei valori

GIANNINO PIANA

Il disagio giovanile ha raggiunto in questi ultimi anni proporzioni allarmanti, con l’emergere di non infrequenti situazioni patologhe. Molte e di diversa natura sono le cause ditale fenomeno, che è divenuto oggetto di accurate indagini sociologiche e di analisi psicologiche che ne hanno evidenziato le varie sfaccettature, risalendo alle sue origini e fornendo indicazioni preziose per affrontarlo in maniera adeguata.

Un ruolo determinante nel provocare la crescita del disagio hanno senz’altro avuto i profondi e rapidi mutamenti intervenuti a livello socioculturale con l’affermarsi del paradigma tecnologico e la difficoltà a fare ad esso corrispondere un parallelo adattamento della coscienza. L’influenza esercitata dai social con il rischio di pesanti condizionamenti, l’assenza di serie prospettive per il futuro – si pensi soltanto alla questione del lavoro – e la scarsa incidenza sul tessuto sociale (anche a seguito della riduzione del numero dei giovani a causa della denatalità), con la conseguente egemonia di modelli culturali espressione dei valori di un mondo di adulti e di anziani sono altrettanti fattori che concorrono ad alimentare il disaggio, che assume sempre più i connotati di un vero e proprio malessere ontologico.

Ma, al di là di questi aspetti, che meritano peraltro grande attenzione, alla radice di questo stato di disorientamento e di paura, vi è senza dubbio una profonda crisi dei valori morali e civili, che facevano in passato da supporto al processo formativo della personalità, conferendo ad essa solidità e sicurezza, A questo aspetto etico-culturale sono dedicate le brevi note che qui proponiamo.

Le ragioni della crisi valoriale

La crisi dei valori ha le proprie radici nel processo di secolarizzazione, i cui inizi coincidono con la nascita della società moderna ma che diviene fenomeno di massa a partire dalla fine del secolo scorso, trasformandosi gradualmente in secolarismo, con effetti che vanno oltre la critica (talora giustificata) del “sacro” fino ad assumere una valenza etica, mettendo in discussione, o peggio accantonando come anacronistiche, le grandi questioni del senso e del fondamento.

Al venir meno della domanda religiosa si associa dunque (e con essa interagisce) l’assenza di prospettive valoriali per l’affermarsi di quel “politeismo dei valori” (o dei “sistemi valoriali”) – come Max Weber lo definisce – conseguenza del “disincantamento del mondo”. Il crollo delle grandi narrazioni religiose, del pensiero metafisico e dei progetti ideologici toglie all’etica le basi tradizionali su cui fondarsi, lasciando il posto nel valutare e orientare l’agire a criteri meramente utilitaristi.

A dare contenuto a questi criteri è la logica del “mercato”, divenuto “pensiero unico”, che ha come obiettivo da perseguire l’efficienza produttiva e il consumo. A contare è, in altri termini il “fare” e l’”avere”, dunque non l’”essere”, cioè la crescita interiore della persona e la ricerca della sua vera identità. A questo si associa l’avanzare di una cultura individualista, che reagisce alla tensione socio-politica degli anni 70 del secolo passato; una cultura nella quale a prevalere è la ricerca della autorealizzazione, la quale accentua le spinte privatistiche, individuali o corporative – il neocorporativismo è uno dei tratti identitari della cultura oggi dominante – che hanno come effetto la lacerazione del tessuto sociale.

L’assenza di figure genitoriali autorevoli e la debolezza della scuola

A questo stato di cose, già di per sé allarmante, si aggiunge l’assenza di figure genitoriali che sappiano (e possano) esercitare con autorevolezza la propria funzione. E questo sia per la debolezza della propria personalità, vittime anch’essi del relativismo culturale ed etico imperante, sia per l’approfondirsi del gap generazionale dovuto al ritmo accelerato dei cambiamenti in corso.

Il rapporto dei figli con le figure materna e paterna rischia di ridursi a un livello utilitaristico: la soddisfazione dei bisogni materiali e la richiesta di protezione sono le ragioni del mantenimento del rapporto, senza una vera comunicazione per la distanza, non superabile, delle rispettive concezioni della vita e dell’universo valoriale. I genitori tendono allora, per conservare la relazione a considerare e a trattare i figli come amici, difendendoli in tutte le circostanze, anche quando sbagliano con la conseguente difficoltà delle altre agenzie educative di intervenire – la scuola anzitutto – esercitando il proprio compito formativo.

Ne è riprova il ripetersi di casi di vera e propria violenza di studenti nei confronti dei loro insegnanti; casi che rimangono senza azioni punitive adeguate a causa delle minacce spesso avanzate dai genitori che assumono sempre e comunque una posizione difensiva nei confronti dei propri figli.

A sua volta, la scuola, vive in una condizione di particolare sofferenza. E non solo per la ragione già ricordata – la difficoltà di rapporto tra genitori e insegnanti – ma per ragioni più profonde ascrivibili al modello culturale che continua a proporre e che non corrisponde alla sensibilità dei giovani di oggi figli di una società digitale, dove la tecnologia in continua evoluzione non si riduce a semplice strumento, di cui occorre valutare, di volta in volta, l’uso che se ne fa, ma incide, per la sua pervasività, sulla coscienza provocando una vera mutazione antropologica.

Il rischio è dunque che quanto si insegna non venga assimilato, se non superficialmente e in maniera nozionistica, e che si sovrappongano tra loro due mondi senza possibilità di conciliazione, con il risultato di non riuscire ad evidenziare i rischi in cui si incorre con l’adozione del paradigma tecnologico e a non proporre risposte plausibili alle domande di senso; risposte che è possibile fornire solo mediante il ricorso al patrimonio della tradizione umanistica.

Ma questo non basta. La debolezza della scuola è anche motivata da una progressiva disaffezione del corpo insegnante – la scarsa retribuzione economica è una delle cause – e, in alcuni casi (non infrequenti), anche dall’abbassamento del livello culturale, considerando da parte di molti di essi la scuola come un ripiego per assicurarsi uno stipendio, anche se come si è detto piuttosto esiguo e dedicandosi prevalentemente ad altre attività meno frustranti e più remunerative. Sono sempre stato contrario alla meritocrazia – don Milani non ha mancato di metterci in guardia a tale riguardo – ma sono convinto che come è ingiusto trattare in modo diverso prestazioni uguali, così è altrettanto ingiusto trattare in modo uguale prestazioni diverse.

L’omologazione cui oggi si assiste con giudizi e voti sempre più alti – è anche questa una delle conseguenze del timore delle reazioni dei genitori – denuncia uno stato di rilassamento che nuoce alla serietà dell’impegno scolastico, con ricadute negative anche sul terreno educativo. Se in passato vi era una eccessiva severità nei giudizi, oggi si è caduti nell’eccesso opposto con una svalutazione di fatto del valore della scuola!

Come affrontare l’emergenza del disagio

A fare da catalizzatore dei vari aspetti del disagio è soprattutto la condizione di solitudine che gli adolescenti e i giovani vivono. I rapporti con la famiglia e con la scuola, quando sussistono, sono puramente formali: il che accentua lo stato di isolamento, che li porta a chiudersi su sé stessi spingendoli ad un uso sempre più smoderato del computer, che riduce gli spazi di socializzazione con i coetanei e favorisce il ricorso a relazioni puramente virtuali.

La recente pandemia da Covid-19 ha aggravato in modo serio questa situazione: adolescenti e giovani si sono trovati per circa due anni con uno spazio assai limitato di possibilità di socializzazione ed hanno sofferto particolarmente per questa situazione con uno stato generale di forte insoddisfazione – sono stati di fatto le maggiori vittime a livello psicologico – e con la crescita delle patologie.

Di fronte a questa situazione che fare? Mi limito a suggerire tre considerazioni. La prima chiama in causa la questione valoriale. Pur nel pieno rispetto del pluralismo dei sistemi valoriali occorre trovare anche oggi un terreno comune attorno a cui convergere nella ricerca di un ethos civile. Credo che la possibilità sussista, seppure grosse siano le difficoltà per raggiungere questo obiettivo. Il metodo da seguire è quello fornito dell’etica della comunicazione delineata da Habermas, la quale presuppone il reciproco rispetto delle posizioni dei vari gruppi sociali e la seria volontà di cooperare tra loro in vista di una possibile convergenza.

Un modello esemplare è rappresentato, a questo proposito, dal lavoro fatto a suo tempo dai Costituenti – si pensi ai primi dodici articoli della Costituzione – che hanno elaborato un ethos civile, tuttora attuale, anche se ci si trova oggi in una situazione diversa per la caduta di quelle “evidenze etiche” che in passato garantivano l’esistenza di una piattaforma comune quale base da cui partire. La speranza è che questo si avveri in tempi brevi fornendo ad adolescenti e giovani un indispensabile punto-fermo su cui contare.

La seconda considerazione ha come oggetto la famiglia. Importante è che i genitori esercitino la propria funzione educativa, non avendo paura di fare ricorso al principio di autorità. L’educazione comporta infatti anche la capacità di dire di “no” ad alcune richieste del figlio o di correggere alcuni suoi comportamenti sbagliati: solo così lo si aiuta a crescere. Ma comporta anche (e soprattutto) la trasmissione di valori ai quali i giovani possano conformare le proprie scelte esistenziali. Entra qui in gioco l’autorevolezza dei genitori che devono diventare con la loro condotta il modello di riferimento: non si educa per quello che si dice ma per quello che si è e si fa. Tutto questo senza dimenticare che il fine del processo educativo è quello di mettere in condizione il figlio di agire in modo autonomo; il che significa che l’educatore deve gradualmente arretrare, fino a scomparire, mettendo in condizione il figlio di acquisire la propria libertà di decisione.

La terza considerazione fa riferimento al processo educativo della scuola. Una condizione fondamentale è, al riguardo, la proposta di un modello culturale, che sappia partire dalle istanze proprie del modo di percepire la realtà proprio di colui che si è chiamati ad educare – istanze legate alla dipendenza dal paradigma tecnocratico – e sappia nello stesso tempo fornire gli strumenti per una loro lettura critica. Per conseguire questo obiettivo diviene necessario dare vita ad un modello culturale in cui cultura scientifica e cultura umanistica si integrino tra loro, evitando tanto la caduta in una forma di arido scientismo quanto di una forma di umanesimo ideologico. A questo deve poi accompagnarsi il superamento dell’attuale situazione di lassismo per trasformare la scuola in istituzione impegnata a fornire gli strumenti essenziali per la crescita della persona, facendo dell’istruzione un momento imprescindibile dell’attività educativa.

A queste condizioni, e soltanto a queste, è possibile aiutare adolescenti e giovani ad uscire dall’attuale stato di disagio, restituendo loro la speranza in un futuro promettente e dando loro la possibilità di diventare artefici del proprio destino e di quello dell’intera umanità.

in “Alternativa” n. 3 del settembre 2023

Contrassegnato da tag , , , ,