#la terra

GIANFRANCO RAVASI

Non dite che la terra è fango: la terra è di Dio: Dio la creava perché per essa salissimo a lui. La terra non è un soggiorno d’espiazione o di tentazione: è il luogo del nostro lavoro, per un fine di miglioramento, del nostro sviluppo verso un grado d’esistenza superiore.

Era il 1851 quando Giuseppe Mazzini nella sua opera di etica sociale (e per certi versi persino di spiritualità) Dei doveri dell’uomo scriveva queste righe. L’accezione del termine «terra» è simbolica e delinea lo spazio entro cui si svolge l’esistenza umana. Due sono le prospettive che meritano di essere sottolineate. Da un lato, la terra è suggestivamente vista non come un semplice agglomerato di componenti materiali (il «fango»), ma come una sorta di scala d’ascesa alla trascendenza. Dal creato, quindi, al Creatore. È un tema caro anche alla Bibbia. Basti solo evocare il Salmista convinto che «i cieli narrino la gloria di Dio» e il ritmo del giorno e della notte scandito dal sole contenga una sorta di linguaggio silenzioso ma universale di Dio stesso (Salmo 19).

In un altro passo delle Sacre Scritture si afferma che «dalla grandezza e bellezza delle creature si può salire per analogia al loro Artefice» (Sapienza 13,5). D’altro lato, però, Mazzini celebra la terra come «il luogo del nostro lavoro», proprio perché – stando sempre alla Bibbia – l’umanità è stata posta sul nostro pianeta per «coltivarlo e custodirlo» (Genesi 2,15). Questa considerazione del nostro patriota acquista oggi un valore particolare scandito dal tema – ripetuto come un mantra, ma spesso frustrato – della sostenibilità. L’interesse o il disinteresse nei confronti delle risorse terrestri rendono la natura estranea, ostile e ferita nei confronti di questo tiranno che la devasta.

in “Il Sole 24 Ore” del 17 settembre 2023