Le contraddizioni della politica energetica dei Paesi africani

MATTEO FRASCHINI KOFFI

La politica energetica delle nazioni in via di sviluppo e la necessaria tutela dell’ambiente locale e del pianeta. Per i governi africani l’utilizzo delle enormi riserve di greggio (e la sua raffinazione) è necessario allo sviluppo. L’Occidente spinge per le rinnovabili, ma in realtà investe sui pozzi. L’eldorado fossile africano sembra solo agli inizi del suo sviluppo. Le esplorazioni petrolifere continuano ad essere lanciate, nuovi pozzi vengono regolarmente perforati, e ulteriori giacimenti di petrolio sono spesso localizzati.

I leader africani hanno chiaramente detto che continueranno a sfruttare l’oro nero per avviare la propria industrializzazione così come ha fatto il resto del mondo dal 19esimo secolo in poi. Allo stesso tempo si passerà sempre di più al gas e all’energia rinnovabile. “L’Africa può adoperarsi sia per mitigare gli effetti del cambiamento climatico sia per la transizione verso fonti rinnovabili – spiega un comunicato della Camera africana dell’energia (Aec) –, promuovendo nel contempo la crescita economica attraverso lo sfruttamento continuo di petrolio e gas”.

I governi del continente africano accusano di “ipocrisia” i Paesi occidentali che da una parte insistono affinché l’Africa non sfrutti il suo petrolio mentre dall’altra restano comunque coinvolti in enormi progetti petroliferi. Multinazionali occidentali come Shell, Eni, Tullow, Perenco, TotalEnergies, Kosmos Energy, ExxonMobil e altre continuano a investire in Africa. Per questo motivo anche l’Onu sembra scettico rispetto ai traguardi fissati durante le recenti conferenze sul cambiamento climatico. « A volte la priorità dei Paesi è la crescita economica che possono ottenere solo utilizzando combustibili fossili – afferma Miriam Hinostroza del Programma Onu per l’ambiente (Unep) –. Vietare i combustibili fossili nel prossimo decennio non è quindi una realtà».

Da alcuni anni, l’Africa è il teatro dove sono presenti o in corso di realizzazione i più grandi e arditi progetti petroliferi a livello internazionale. Lo scorso marzo, Namcor, la compagnia petrolifera statale della Namibia, ha fatto una terza scoperta in meno di un anno nelle acque del sud del Paese insieme ai partner Shell e QatarEnergy. «Siamo lieti di annunciare questa scoperta petrolifera – ha dichiarato Immanuel Mulunga, ammini-stratore delegato di Namcor –. È il terzo ottimo risultato dopo il successo delle scoperte Graff-1X e Venus-1X di Shell e TotalEnergies nel 2022». In Mozambico continuano i lavori per recuperare petrolio e gas attraverso il più costoso investimento energetico del continente africano: 20 miliardi di dollari per produrre ed esportare energia dalle acque di Cabo Delgado, nel nord del territorio.

Grandi scoperte di petrolio e gas sono state trovate negli ultimi anni anche in Costa d’Avorio e Ghana, oltre a Mauritania, Senegal, Gambia, Guinea Bissau e Guinea (Conakry). Questi ultimi quattro Paesi parteciperanno a novembre alla terza edizione della conferenza “MSGBC oil, gas & power” intitolata “Scalare le opportunità energetiche nelle nuove frontiere dell’Africa”. Il Gabon è invece il primo Stato africano a ricevere un pagamento dalla Central african forest initiative (Cafi) dell’Onu mentre allo stesso tempo cerca di mantenere la sua posizione di quinto produttore di petrolio in Africa sub-sahariana.

Il governo gabonese ha promesso: « Nuovi cicli di licenze per la perforazione in acque poco profonde e profonde, rinnovo della Zona economica speciale del Gabon (Gsez), facilitazione degli adempimenti doganali e concessione di agevolazioni fiscali agli investitori stranieri». È stato inoltre redatto un nuovo codice sugli idrocarburi che offre migliori ritorni sugli investimenti di esplorazione e produzione.

I leader della politica energetica africana si stanno organizzando anche per trasportare il greggio attraverso nuove reti. Sono state rispolverate le fondamenta di vecchi progetti come il gasdotto Trans-Sahara che collegherà Nigeria, Niger e Algeria, mentre un altro partirà dalla Nigeria per collegarsi al Marocco attraverso la costa atlantica. Il primo sarà lungo oltre 4mila chilometri con un costo iniziale di 13 miliardi di dollari, mentre il secondo avrà una lunghezza di 6mila chilometri e un costo di almeno 25 miliardi di dollari. Ma ci sono anche nuove reti energetiche come la costruzione di un oleodotto chiamato East African Crude Oil Pipeline (Eacop) di quasi 1.500 chilometri tra le acque del Lago Alberto in Uganda e il porto di Tanga in Tanzania. Insieme a 11 Paesi membri è stato inoltre istituito il Central african pipeline system (Caps) che comprende tre reti di gasdotti multinazionali: il Central north pipeline system che collega Camerun, Repubblica Centrafricana e Ciad; il Central west pipeline system per Guinea Equatoriale, Gabon e Repubblica del Congo; e il Central southern pipeline system tra Angola, Repubblica democratica del Congo, Ruanda e Burundi. Il Caps imita i sistemi internazionali in Europa, Stati Uniti e Cina.

Un altro primato nel settore dell’energia in Africa riguarda il Greater tortue Ahmeyim project (Gta), un “hub” senza precedenti a livello internazionale e situato nelle acque settentrionali del Senegal per opera della Bp, con anche la collaborazione dell’italiana Saipem. Urgewald, un’organizzazione non governativa tedesca, ha scritto in un rapporto che: «Nonostante i loro impegni per gli obiettivi di zero emissioni, molte istituzioni finanziarie continuano a sostenere le compagnie petrolifere, incoraggiando l’industria a espandersi del 96 per cento».

L’ambientalista Heffa Schuecking, fondatrice di Urgewald, si ritiene molto preoccupata. «C’è una grande differenza tra le intenzioni dichiarate dall’industria petrolifera e del gas e le sue azioni nel mondo reale – ha affermato recentemente Schuecking –. Vediamo nuovi progetti di combustibili fossili in 48 dei 55 Stati africani con 200 aziende e multinazionali». Ultimo progetto degno di nota: la raffineria Dangote, la più grande al mondo “a treno singolo”, in grado di cambiare l’equilibrio energetico mondiale a favore del continente africano. «Con un valore di 20 miliardi di dollari per raffinare 650mila barili al giorno – spiega un comunicato del Gruppo Dangote –, la raffineria produrrà 53 milioni di litri di benzina al giorno, oltre a 4 milioni di litri di gasolio e 2 milioni di litri di carburante per gli aerei».

L’Africa giudica difficile prendere sul serio le raccomandazioni del G20 dato che gran parte dei Paesi membri non aderisce alle pratiche che predicano. « L’Occidente ha paura del nostro sviluppo – commentano diversi analisti africani –. Vogliono impedire una seria industrializzazione dell’Africa usando contro di noi la politica minacciosa del cambiamento climatico». S ebbene la Aec ritenga che il continente africano meriti di beneficiare maggiormente delle sue ingenti, riserve petrolifere, scoperte solo in parte, c’è ancora bisogno di «massicci investimenti stranieri e sostanziali sviluppi infrastrutturali» affinché venga realizzato il pieno potenziale del continente africano nell’economia petrolifera globale. « Dobbiamo inoltre riconoscere i contributi dei piccoli produttori dell’Africa subsahariana – sostiene il direttore della Aec, il camerunese NJ Ajuk –. Stanno facendo la loro parte per mantenere il ritmo degli sforzi necessari a raggiungere questi importanti obiettivi». E così nel Continente africano si concentrano, si scaricano e si avvertono potentemente tutte le contraddizioni dello sviluppo e della transizione energetica.

in “Avvenire” del 4 agosto 2023

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