Niger: colpo di stato

Muhindo Muhesi Reagan

In maniera analoga, con alcune eccezioni, alla «primavera araba», un movimento di natura inedita scaturito dalle società che hanno sfidato le forme di governo autoritarie a cui sono state sottoposte per diversi decenni nei Paesi del Maghreb e del Medio Oriente tra il 2010 e il 2011 (Tunisia, Marocco, Algeria, Arabia Saudita, Oman, Kuwait, Bahrein, Siria e Yemen), dal 2020 un vento di colpi di stato sta soffiando in Africa occidentale.

A partire dal Mali nell’agosto 2020 e di nuovo nel maggio 2021, la presa del potere per mano dei militari è proseguita in Guinea Conakry nel settembre 2021, poi in Burkina Faso nel gennaio 2022, con un tentativo fallito in Guinea Bissau nel febbraio 2022. Attualmente, un colpo di Stato è avvenuto nella Repubblica del Niger il 26 luglio 2023, quando la giunta militare guidata dal comandante della guardia presidenziale ha fatto cadere il presidente democraticamente eletto − e con lui tutte le istituzioni politicamente costituite, compresi il governo e il parlamento, sospendendo inoltre le corti e i tribunali.

Il leitmotiv è praticamente lo stesso in tutti questi Stati, che condividono una serie di realtà comuni, tra cui la lingua e la moneta ufficiali ereditate dalla colonizzazione, l’Islam come religione predominante e lo stesso fenomeno: il terrorismo. A ciò si aggiungono i problemi di governance, che l’agenzia Anadolu, organo di stampa del governo turco, descrive come un fallimento delle politiche pubbliche, legata alla corruzione elettorale, e segnata dall’ascesa dell’estremismo violento, con la tendenza della popolazione a rivolgersi verso nuove figure.

Una domanda si impone oggi: il ritorno al potere dei militari rappresenta una soluzione al problema della governance? È un passo indietro per la democrazia? Dove si colloca il popolo in tutto questo? Nel suo primo discorso il nuovo uomo forte della Repubblica del Niger ha criticato la gestione caotica del Paese e ha giustificato il colpo di stato con «il deterioramento delle condizioni di sicurezza».

Il generale Abdourahamane Tchiani è stato nominato capo dell’unico organismo del Paese, il Conseil National pour la Sauvegarde de la Patrie (CNSP). Senza poter prevedere che cosa accadrà, diciamo solo che ci sono altri Paesi intorno al Niger in cui il potere è già stato preso in mano dai militari e per i quali l’esame della governance non è ancora stato superato.

È chiaro che la governance civile è diversa da quella militare, essendo l’esercito un organismo caratterizzato dal comando. Questo rende difficile l’adattamento di entrambe le parti, civili e militari.

Inoltre, il potere − secondo l’accezione di Montesquieu − richiede un contropotere. Questo contropotere può normalmente provenire solo dal potere stesso; da qui l’espressione «il potere ferma il potere». Montesquieu sviluppò la teoria della separazione dei poteri distinguendo tre funzioni corrispondenti a tre poteri all’interno dei sistemi politici: la funzione di emanare norme generali (la funzione corrispondente al potere legislativo); la funzione di far rispettare queste norme (la funzione appartenente al potere esecutivo); e la funzione di risolvere le controversie (la funzione che costituisce il potere giudiziario).

Insieme, questi tre poteri creano concordia nel governo e non dovrebbero di regola essere concentrati nelle mani di un solo individuo. Come concludeva Montesquieu: «perché il potere non venga abusato è necessario, per come sono disposte le cose, che il potere limiti il potere stesso». Questo è difficile da comprendere in una situazione che definiamo di «illegalità» derivante da un colpo di stato.

Il passaggio da un presidente democraticamente eletto (sempre considerando che la correttezza delle elezioni in Africa rimane una questione aperta) a un piccolo gruppo di militari che detengono tutti i poteri non è di buon auspicio per la democrazia.

Mohamed Bazoum è stato eletto capo di Stato del Niger nel marzo 2021 con il 55% dei voti battendo Mahamane Ousmane che aveva raccolto il 44,34%. Lo sconfitto ha contestato i risultati, sostenendo di aver ottenuto il 50,3% dei voti. La democrazia viene presentata come una forma di governo più o meno forte per la sua capacità di risolvere i problemi di governance. Ma deve essere applicata correttamente.

Nel caso in questione, ciò significa organizzare elezioni inclusive, libere e democratiche, al termine delle quali il vincitore si congratulerà con il perdente, come in una partita di calcio dove il “fair play” è un gesto molto importante da parte delle squadre che si confrontano.

Tornando alla teoria di Montesquieu, la concentrazione del potere nelle mani di un solo individuo sarebbe un abuso e significherebbe l’inizio di un’autocrazia. Il popolo sarebbe la prima vittima. Tutto il potere viene esercitato in nome del popolo, anche quando è nelle mani di un autocrate. L’esperienza quotidiana lo dimostra.

Fondamentalmente, il potere del popolo è un potere esercitato per il bene del popolo: i diritti e le libertà fondamentali devono rimanere sacrosanti, indipendentemente dal regime in vigore. Il popolo deve rimanere al centro di ogni potere, altrimenti rischia di esserne vittima innocente.

Oltre all’attuale situazione nella Repubblica del Niger, non è la prima volta che questo accade. Se guardiamo alla storia politica di questo Paese dagli albori della sovranità nazionale nel 1960, tra il 1974 e il 2010, cinque dei dieci presidenti sono stati militari a seguito di una serie di colpi di stato. La storia si ripete?

Si deve riconoscere la «fragilità della democrazia» nel Niger. Tra lo scarso impatto delle politiche pubbliche per ridurre l’alto costo della vita e il preoccupante fenomeno del terrorismo, la popolazione nigerina è ancora alla ricerca dell’«uomo della provvidenza» che la salvi.

in Settimana News, 29 luglio 2023

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