Fame nel mondo. Gli errori dell’ONU e il saccheggio senza limiti delle multinazionali

CARLO PETRINI

Per sfamare otto miliardi di persone, e in prospettiva dieci, la strada è tanto chiara quanto rivoluzionaria: smettere di inseguire il profitto e cominciare a difendere la produzione alimentare, la terra da cui essa dipende e le persone che la coltivano. Il cibo dev’essere un diritto, non un bene da scambiare in Borsa; una priorità universale non una commodity grazie alla quale arricchirsi a scapito di qualcun altro, della salute del pianeta e del futuro dell’umanità.

Queste dovrebbero essere le premesse – non negoziabili – alla base del secondo Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari sostenibili che si terrà dal 24 al 26 luglio nel quartier generale della Fao a Roma, per dare seguito agli impegni presi durante l’analogo incontro che si tenne nel 2021. Oggi come allora la visione e gli obiettivi del vertice sono però ben lontani da quanto auspicato. Due anni fa oltre 9 mila persone appartenenti a organizzazioni della società civile – tra cui Slow Food – hanno organizzato una mobilitazione in parallelo al vertice ufficiale, esprimendo forti riserve sulla sua struttura, sull’orientamento politico e sul processo di organizzazione che, fin dall’inizio, non ha promosso un multilateralismo democratico, inclusivo e partecipativo, bensì ha messo al centro i potenti dell’agribusiness.

Legittimare ai più alti livelli delle Nazioni Unite gli interessi degli attori privati è molto pericoloso perché normalizza un modello di governance in cui il bene pubblico e la tutela di un diritto universale si piegano al volere delle multinazionali. L’incontro che si appresta a iniziare probabilmente non farà che confermare questo approccio, “vendendo” soluzioni di natura puramente tecnologica e economicamente poco accessibili, come trasformative e risolutive delle attuali distorsioni dei sistemi alimentari. Eppure le crisi continue e sistemiche che da anni a questa parte ci troviamo a vivere e che hanno portato a una esacerbazione delle disuguaglianze, sono largamente imputabili al crescente potere delle lobby all’interno degli spazi politici. Per questo la contro-mobilitazione di molte organizzazioni della società civile, di popoli indigeni, di contadini, pastori e pescatori continua anche nel 2023.

Gli ultimi dati contenuti nel report della Fao sullo stato della sicurezza alimentare nel mondo restituiscono dati allarmanti. Nel 2022 735 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame e sebbene il numero a livello globale si sia fermato tra il 2021 e il 2022, alcuni luoghi vertono in condizioni tragiche a causa anche degli effetti ormai lampanti della crisi climatica. È il caso dell’Africa con il 20% della popolazione del continente che soffre la fame, più del doppio della media globale. Andando oltre alla fame, il rapporto rileva anche che circa il 29,6% della popolazione globale, pari a 2,4 miliardi di persone, vive in condizioni di insicurezza alimentare, a significare che almeno uno dei quattro pilastri (disponibilità, stabilità, uso e accesso del cibo), su cui si fonda questo concetto, non sempre è garantito. Infine al giorno d’oggi si parla molto dell’importanza di adottare diete sane e sostenibili, eppure solo il 58% della popolazione mondiale ha la capacità economica di potervi accedere.

Per il benessere delle persone e del pianeta abbiamo urgentemente bisogno di una trasformazione dei sistemi alimentari che non può che passare da un cambio di paradigma strutturale. Questo può avvenire mettendo al centro i diritti umani e i beni comuni per la risoluzione di ogni forma di ingiustizia, tutelando la biodiversità, e riconoscendo l’agroecologia come modello produttivo capace di restituire la sovranità sui sistemi alimentari alle comunità locali. Non sto parlando di utopie, ma di realtà che già esistono nel mondo e che a livello di Nazioni Unite trovano rappresentanza e espressione nel Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (Cfs). Il Cfs è il più importante spazio internazionale e intergovernativo per i soggetti interessati a lavorare per garantire la sicurezza alimentare e la nutrizione per tutti. Serve quindi gli interessi delle persone e non delle multinazionali e non a caso è stato messo al margine del Vertice sui sistemi alimentari.

Un antico proverbio contadino tedesco dice: non affidare alla capra il ruolo di cura del giardino. Come la capra che in un giardino mangia tutto indistintamente, analogamente le multinazionali se non controllate finiranno per distruggere i sistemi alimentari.

Un vero cambiamento dei sistemi alimentari richiede da parte delle Nazioni Unite un approccio democratico multilaterale vero e profondo; dove ogni voce trova libertà e legittimità di espressione. I produttori alimentari di piccola e media scala non solo nutrono il mondo, ma fanno anche progredire i diritti umani fondamentali e proteggono l’ambiente. La politica quando inizierà a ascoltarli e a fornirgli un sostegno adeguato?

in “La Stampa” del 24 luglio 2023

Contrassegnato da tag