Per salvare il pianeta servono banche “verdi”. Curiamo la natura trasformando l’economia

GAËL GIRAUD, intervistato da FRANCESCO RIGATELLI

Gaël Giraud, 53 anni, parigino, matematico e docente di Giustizia ambientale alla Georgetown University di Washington, nel 2003 lasciò Wall Street per diventare gesuita e oggi è molto vicino a Papa Francesco sulla transizione climatica, nonché autore sul tema con Carlo Petrini de Il gusto di cambiare (Slow food-Editrice Vaticana) con tanto di prefazione papale.

Lei sostiene che se si proibissero petrolio, gas e carbone le principali banche fallirebbero, ma non si fermerebbe tutto il sistema economico?

«Con l’Institut Rousseau di Parigi abbiamo studiato il bilancio delle prime undici banche della zona euro, incluse Intesa San Paolo, Unicredit, Deutsche Bank, Bnp-Paribas… In totale hanno 530 miliardi di euro di attivi finanziari legati ai combustibili fossili, in media il 95 per cento dei fondi propri di ciascun istituto. Se vietassimo le energie fossili, come dovremmo, le banche fallirebbero. E in ogni caso se non trasformassimo l’economia tutto il sistema fallirebbe. Energie rinnovabili, riciclo d’acqua e lotta allo spreco sono occasioni per creare posti di lavoro, ridare un senso al vivere insieme, riconciliare le generazioni e riavvicinarci alla natura. Possiamo salvare le banche: non dobbiamo scegliere tra queste e il pianeta».

Sono un “male” necessario?

«Già l’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI nel 1931 denunciò il potere terribile delle banche quando non sono regolate e orientate al bene comune. Gli istituti di credito erogano moneta tutti i giorni, è il loro mestiere. La domanda è: per speculare sui mercati finanziari o per finanziare ospedali, scuole e comunità energetiche? Con la mia equipe della McCourt school of public policy alla Georgetown University, abbiamo dimostrato che il mondo ha bisogno di circa 95 trilioni di dollari di finanziamenti verdi da oggi al 2035 per rispettare l’accordo di Parigi sul clima. Questo vuol dire investire l’equivalente del Pil mondiale per i prossimi 15 anni. Con l’Institut Rousseau abbiamo mostrato che la decarbonizzazione dell’economia francese da qui al 2050 costerà il 2% del Pil all’anno. Senza banche non ce la faremo mai: è dunque molto importante liberarle dagli attivi “scuri”».

Anche il Vaticano ha lo Ior… chi è senza peccato scagli la prima pietra?

«Sono noti a tutti gli sforzi di Papa Francesco per riformare le finanze del Vaticano».

Lei vuole sgravare le banche dagli investimenti nelle aziende inquinanti ma non basterebbe convertire queste ultime, come si è già iniziato a fare?

«Rispondo con un’analogia: se un fumatore soffre di cancro ai polmoni è imperativo che smetta di fumare, ma questo non basta a far scomparire le metastasi. Occorre interrompere i finanziamenti ai progetti fossili e poi bisogna pensare agli attivi a riguardo che le banche hanno nei loro bilanci come eredità del passato. La creazione di una bad bank per affrontarli porterebbe ancora una volta a pagare i contribuenti italiani. E dopo il trasferimento dei debiti del Monte dei Paschi nel bilancio dello Stato mi sembra che abbiano già dato. La Bce potrebbe incamerare gli attivi fossili e assumere solo la parte del loro valore. Questo non costerebbe nulla e se i soldi che le banche riceverebbero venissero utilizzati per la transizione ecologica si finanzierebbe un Green new deal con molti posti di lavoro».

Il Papa, Fridays for future e gli attivisti che imbrattano i movimenti: vogliono tutti la stessa cosa in modo diverso?

«Certi attivisti sono arrabbiati: li si può comprendere, ma la violenza è inaccettabile. Il Papa è l’unico capo di Stato che si spende con forza in favore di una cultura della cura rispetto agli altri e al pianeta».

Secondo il filosofo Slavoj Zizek si arriverà prima alla fine del mondo che del capitalismo, che ne pensa?

«Ama la provocazione, ma questa affermazione non ha senso».

Quali sono le sue proposte per cambiare il capitalismo?

«Ce ne sono tante, per esempio una banca per l’acqua. In Francia servono 30 miliardi di euro per la messa in sicurezza delle condutture».

Il suo pensiero è simile a quello di Thomas Piketty, sbaglio?

«Abbiamo fatto gli studi insieme a Parigi, ma ho avanzato una proposta di riforma fiscale in Francia che mi sembra più interessante della sua. Talvolta ho l’impressione che lui sia un po’ ossessionato dall’idea di far pagare i ricchi».

La globalizzazione come procede e come si collega al tema ambientale?

«Un tornante fondamentale è stato la crisi finanziaria del 2008, quando Pechino ha deciso di riorientare la sua produzione industriale sul mercato interno. Allora la Cina aveva un surplus di 3 trilioni di dollari rispetto all’Occidente. Oggi la sua bilancia commerciale è in equilibrio. La Cina non è più il nostro produttore e bisogna inventare una nuova globalizzazione. A mio avviso, essa significa la reindustrializzazione verde dell’Europa e un piano Marshall per l’Africa. La guerra in Ucraina ha rivelato la dipendenza africana dal commercio internazionale di grano, e quella europea dalle energie fossili russe. I disastri che il surriscaldamento climatico provocherà però sono senza paragoni rispetto a questi due avvenimenti».

Lei è passato da Wall street ai gesuiti, analogie e differenze?

«Lloyd Blankfein, ex numero uno di Goldman Sachs, ha confessato nel 2008 di fare “il lavoro di Dio”. Noi gesuiti abbiamo una posizione più umile: siamo i testimoni del lavoro del Signore nella creazione e nel cuore delle persone di oggi. E talvolta aiutiamo a far fruttificare i semi piantati da Dio».

Ambiente a parte, ci sarà un’altra crisi finanziaria?

«Il fallimento in 48 ore della Silicon Valley Bank, nel marzo scorso, ha causato il secondo più grande crack bancario nella storia Usa. Per impedire un’emorragia, l’amministrazione Biden ha assunto alcune misure storiche, che non hanno però impedito il crollo di Crédit Suisse. La sottocapitalizzazione delle banche europee, denunciata da diversi anni dal Fondo monetario, è una vera preoccupazione per la stabilità finanziaria. E la mancata separazione delle banche di affari da quelle di credito e deposito crea una minaccia grave».

Lei è stato anche consigliere di Hollande, cosa sbaglia secondo lei la sinistra in Francia come in Italia? E la destra?

«La transizione ecologica non è né di destra né di sinistra. Molti amici italiani mi confidano la loro frustrazione: quale che sia il colore politico del governo eletto, viene messa in atto la stessa politica. Fino a quando non impegneremo seriamente l’Europa verso un futuro sostenibile, continueremo a correre verso l’abisso, che si sia di destra o di sinistra».

in “La Stampa” del 28 giugno 2023

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