Così papa Giovanni XXIII aprì la Chiesa ai diritti umani e alla democrazia

FRANCESCO PELOSO

Il riconoscimento dei diritti umani contenuti nella Carta delle Nazioni Unite del 1948 inteso come progresso generale dell’umanità, la piena consonanza fra dottrina cattolica e democrazia, l’ascesa delle classi lavoratrici quale fattore caratterizzante l’epoca moderna, la fine dell’ideologia colonialista per cui esistevano popoli dominatori e popoli dominati, il fatto nuovo del protagonismo delle donne nella vita pubblica: sono questi alcuni tratti fondamentali dell’eredità che Giovanni XXIII ha lasciato alla chiesa e al cattolicesimo moderni.

Per ritrovarli, e scorrerli, nella loro profetica visione d’insieme, basta andare a riguardarsi la celebre enciclica del 1963 Pacem in terris, in cui Roncalli, di cui oggi giugno ricorrono i 60 anni dalla morte, indicava alla chiesa la strada da percorrere nell’ epoca nuova che si andava delineando nei primi decenni del dopoguerra, ponendola, appunto, in ascolto dei “segni dei tempi”.

Fine dell’antisemitismo cattolico

Il papa che indisse il Concilio Vaticano II, riuscì anche, da diplomatico, come rappresentante pontificio in Turchia, fra gli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale e poi durante la guerra, a mettere in salvo migliaia di ebrei fornendo loro documenti falsi per farli espatriare.

Un’esperienza che avrà un seguito poi nelle decisioni prese una volta eletto papa, quando volle abolire la formula dei “perfidi giudei” dalla liturgia del venerdì santo. E se il Concilio nel 1965, con la dichiarazione Nostra Aetate, arriva finalmente a cancellare l’accusa di deicidio rivolta agli ebrei che perdurava da secoli fornendo la base comune delle persecuzioni antiebraiche, indubbiamente questo lo si deve in parte rilevante all’azione e al magistero, quindi all’eredità, di Giovanni XXIII. Ma c’è anche di più, nel documento conciliare si afferma infatti: «La chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque».

Diplomatico a Istanbul

In tal senso, nella biografia del futuro papa, certamente decisiva è stata l’esperienza diplomatica cui accennavamo vissuta in un periodo drammatico della storia europea e mondiale. Nel 1934, Angelo Roncalli viene nominato vicario apostolico in Turchia e delegato per la Grecia.

La Turchia, durante gli anni delle persecuzioni naziste, diventa una di terra di salvezza per molti ebrei e il nunzio Roncalli, in questo contesto, si attiva in prima persona offrendo assistenza all’Agenzia ebraica e adoperandosi per far ottenere i visti di transito a numerose famiglie di origini ebraiche. Un’attività che si andrà intensificando a partire dall’agosto del 1938, quando cioè entrerà in contatto con il nuovo ambasciatore della Germania a Istanbul, Franz von Papen, ex cancelliere della Repubblica di Weimar, ed ex vice cancelliere di Hitler dal 1933 al 1934. È a lui che, fra gli altri, mons. Roncalli chiederà aiuto.

L’ambasciatore tedesco ha testimoniato che «ventiquattromila ebrei furono aiutati» in quegli anni. Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale e Roncalli sfrutta per la sua opera da una parte la neutralità turca e, allo stesso tempo, la fiducia conquistata presso alcuni ambasciatori delle potenze alleate. Nel suo diario spirituale, il «Giornale dell’Anima» un giorno scrive: «Poveri figli di Israele. Io sento quotidianamente il loro gemito intorno a me. Li compiango e faccio del mio meglio per aiutarli».

Celebre resta l’episodio della nave di bambini ebrei tedeschi che, durante la guerra, giunge al porto di Istanbul. La Turchia, in base alla propria neutralità, avrebbe dovuto rimandare quei bambini in Germania ma Roncalli riuscì a scongiurarne la deportazione e a metterli in salvo. L’attività in favore degli ebrei da parte del nunzio, proseguì fino alla fine del conflitto, quindi vent’anni dopo, il Concilio, su ispirazione di Giovanni XXIII, metteva una pietra tombale sull’antisemitismo e, nella stessa Nostra Aetate, apriva al dialogo con le altre fedi e tradizioni spirituali.

La dignità della donna

Solo, col passare del tempo, probabilmente, è stato possibile capire la portata della svolta operata da Papa Roncalli che nel giro di pochi anni, il suo pontificato è durato dal 1958 al 1963, è riuscito a proiettare la Chiesa nella modernità.

È vero tuttavia che il cattolicesimo sociale e politico aveva già aperto il cammino a cambiamento, si pensi, in Italia a don Luigi Sturzo, al partito popolare, alla Democrazia cristiana, ad Alcide De Gasperi, o – a livello europeo – ai padri fondatori della comunità europea, insieme allo stesso De Gasperi, da Jean Monnet a Robert Schuman. Anzi, si può dire, per certi aspetti, che il laicato cattolico impegnato ha reso possibile la novità del Vaticano II, e quella traccia di un’Europa che cerca strade di convivenza e di pace dopo i massacri immani della guerra, ha lasciato il segno. Ma di certo, Giovanni XXIII porta sul piano generale, della dottrina, del magistero della chiesa, trasformazioni tanto profonde da influenzare i tempi futuri.

E la Pacem in terris, resta, a questo riguardo, un testo di sorprendente attualità, ad esempio quando parla del nuovo protagonismo femminile: «In secondo luogo – si legge infatti ne capitolo dedicato ai “segni dei tempi” – viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà.

Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica». Ancora, importante, e tutt’altro che scontato, il riferimento ai diritti umani: «Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite – si afferma nell’enciclica – è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948.

Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà». L’universalismo dei diritti dell’uomo e l’universalismo cattolico, dunque, potevano incontrarsi e percorrere un cammino comune, riconoscersi come parti di una stessa storia.

in “Domani” del 3 giugno 2023

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