“Figli di internet. Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale”

MATTEO LANCINI, intervistato da ALESSANDRO CHIABRERA

Si sa: quella complessa fase dello sviluppo chiamata adolescenza porta con sé difficoltà evidenti. Ma oggi dovremmo sentirci più preoccupati rispetto al passato? O siamo di fronte a una gonfiatura rispetto a quella che di per sé è da sempre una fase critica e travagliata della crescita? Ne abbiamo parlato col professore Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della fondazione Minotauro di Milano, richiamandoci al tema del suo ultimo libro, Figli di internet. Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale (Edizioni Centro Studi Erickson, Trento 2022).

C’è un allarme per il benessere psicologico e relazionale degli adolescenti?

Oggi c’è maggiore attenzione all’adolescenza rispetto a prima. Anni fa, le problematiche adolescenziali erano diverse. Avevamo a che fare con adolescenze trasgressive, oppositive. Oggi sono sicuramente in aumento tutti quegli “attacchi al corpo”, attacchi al sé, disagi legati a una sensazione di sentirsi inadeguati e di non essere all’altezza delle aspettative, o preoccupazioni legate a livelli ideali elevatissimi di una società iper-competitiva e iper-complessa che punta tutto sull’immagine. Perciò i disturbi della condotta alimentare, il ritiro sociale che ha la sua massima espressione nel fenomeno degli hikikomori, ormai ampiamente diffuso anche in Italia, e i tentativi di suicidio testimoniano che l’attacco è rivolto a se stessi. È come se il corpo fosse diventato il megafono di un dolore muto che le nuove generazioni non riescono ad esprimere.

Molti ragazzi sentono il desiderio di partecipare alla socialità più come un’urgenza, un imperativo che, se disatteso, può provocare sensi di colpa e una forte svalutazione di sé.

Negli ultimi anni sembra non contare più compenetrare il corpo dell’altro. Conta molto di più vivere e compenetrare la mente dell’altro, essere guardati, essere presenti nel pensiero. È un cambiamento che non ha una sola causa ma si accompagna agli ampi sviluppi della società individualista in cui viviamo. Tutto ciò si traduce spesso nell’idea che si esiste solo se presenti nel mondo dei social. Essendo completamente in balìa dello sguardo degli altri, se l’altro gira la faccia e ti dice “non conti più”, è come se tu perdessi valore. C’è quindi il rischio di una perdita di senso che riguarda tutta la propria identità. Io credo che da tutto questo dipendano, oggi, anche le difficoltà degli adolescenti nel costruire legami stabili e nell’impegnarsi in relazioni di coppia.

Nel suo ultimo libro sottolinea che non possiamo comprendere gli adolescenti di oggi se non in rapporto agli adulti, cioè che non è possibile parlare del figlio se non si parla anche del genitore.

Spesso gli adulti commettono l’errore di interpretare il disagio dei giovani come una stortura delle nuove generazioni e non come il segnale di una problematica più ampia, che si riferisce alla società nel suo insieme e chiama in causa anche loro. A livello educativo, assistiamo a contraddizioni molto forti: mamme che vivono sui gruppi WhatsApp, attraverso cui partecipano ad ogni aspetto della vita dei loro figli; un’economia che si muove su internet, però i social fanno male; un’università che sta in piedi e funziona grazie al collegamento a internet, però a scuola guai se tocchi internet che ti distrae e basta; in classe o in gita, cellulare sì, cellulare no. Sono falsi problemi che si vorrebbe risolvere con interventi apparentemente autorevoli, ma che i ragazzi smascherano nella loro incoerenza. Si tende a pensare che sia colpa di internet o della pandemia. Invece bisognerebbe insistere e aprire canali comunicativi. Per l’adulto, questo significa mettersi in discussione nel proprio ruolo di padre, madre o docente. Legittimare e avvicinare l’esperienza delle nuove generazioni, il cui disagio, molto spesso, è proprio una domanda di essere riconosciuti e accompagnati.

in L’Osservatore Romano, 21 aprile 2023

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