La popolazione mondiale: 8 miliardi. Rapporto ONU 2023

MASSIMO CALVI

Contrordine, il mondo non sta scoppiando, non c’è alcun motivo di essere in ansia per la crescita della popolazione, che convenzionalmente il 15 novembre 2022 ha raggiunto gli 8 miliardi, e non ci sono nemmeno ragioni per temere che l’espansione demografica rappresenti un problema per il clima. La visione neo-malthusiana, che tende a vedere in ogni nuova nascita un problema per la disponibilità delle risorse, e da qualche tempo ha esteso la sua ombra sul dibattito attorno alla natura della crisi climatica, può essere archiviata. A provare a cambiare le narrazioni semplicistiche sulle tendenze demografiche è l’ultimo rapporto dell’Unfpa, il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione.

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Si tratta dell’agenzia per la salute sessuale e riproduttiva, l’organismo che dal 1969 opera perché ogni gravidanza sia effettivamente desiderata e i parti sicuri, dunque interviene in vari ambiti problematici e controversi, dalla “prevenzione” delle gravidanze indesiderate alle mutilazioni genitali, dall’assistenza sanitaria riproduttiva all’accesso alla contraccezione sicura fino alla protezione dalla violenza di genere o alle campagne contro i matrimoni precoci. Il fatto che questo organismo oggi si esprima in modo così netto per contrastare il pessimismo che nutre le narrative sull’esplosione demografica merita più di una riflessione. Il rapporto, sgombrando il campo dagli equivoci e da alcuni aspetti non condivisibili, pone il problema dell’alta percentuale di donne, il 44% in 68 Paesi, che non è in grado di assumere decisioni consapevoli riguardo il proprio corpo se si tratta di avere un rapporto sessuale (il 25% non può dire di no), ma anche di accedere a metodi contraccettivi sicuri o avere assistenza sanitaria.

Ampliando lo sguardo, a emergere è anche una prospettiva di ragionevole ottimismo per lo stato del mondo, contrastando tante retoriche allarmistiche: quelle che seminano il terrore per la crescita della popolazione, ma anche quelle eccessivamente preoccupate per il declino demografico o l’insostenibilità della pressione migratoria. L’esagerazione attorno a queste visioni, si spiega, e gli sforzi per influenzare i tassi di fecondità, «sono spesso inefficaci» e possono «erodere i diritti delle donne» tenendo «prigionieri i loro corpi» in virtù degli obiettivi della popolazione. Nel mirino finiscono così anche «gli sforzi per rallentare la crescita della popolazione attraverso la sterilizzazione forzata e la contraccezione coercitiva, una violazione dei diritti umani». Siamo troppi? No, sostiene l’Unfpa, il pianeta non sta scoppiando, e se la Terra ha raggiunto gli 8 miliardi vuol dire che più neonati sopravvivono, più bambini e bambine vanno a scuola, ricevono assistenza sanitaria, raggiungono l’età adulta e vivono mediamente più a lungo, e questo è un segno di progresso umano. L’aspettativa di vita nel mondo nel 2019 ha raggiunto i 72,8 anni, quasi 9 anni in più dal 1990, e arriverà a 77,2 anni entro il 2050: un traguardo che andrebbe celebrato.

La crescita della popolazione, oltretutto, sta rallentando, i tassi di fecondità sono in caduta quasi ovunque e il numero medio di figli per donna a livello globale è sceso dai 5 degli anni Cinquanta ai 2,3 attuali. Insomma, per il prossimo quarto di secolo l’aumento della popolazione sarà dovuto per due terzi alla crescita passata, dunque non sono necessari programmi per limitarne l’espansione: oltre ad essere inutili finiscono per colpevolizzare comunità povere ed emarginate. Interessante, a questo proposito, è la valutazione della crisi climatica. Nonostante le preoccupazioni, «le prove di una correlazione tra dimensioni della popolazione e protezione dell’ambiente sono sorprendentemente scarse» e «nessun modello può, né ha mai potuto, calcolare o prevedere correttamente l’impatto ambientale complessivo delle sole dimensioni della popolazione globale».

Attribuire alle nascite i problemi ambientali del mondo, mette in guardia il rapporto, rischia di far passare l’idea che «l’utero delle donne debba essere preso di mira dalle politiche climatiche». Nella realtà, i Paesi con i tassi di fecondità più alti sono quelli che meno contribuiscono al riscaldamento globale, mentre ne soffriranno maggiormente gli impatti. «Su 8 miliardi di persone – si legge nel rapporto – circa 5,5 miliardi non guadagnano abbastanza, circa 10 dollari al giorno, per contribuire in modo significativo alle emissioni di carbonio». È vero, invece, che la responsabilità di metà di tutte le emissioni di gas serra è imputabile al 10% più ricco della popolazione che vive nei Paesi con i tassi di fecondità più bassi e col problema di dover far fronte all’inverno demografico. La soluzione contro l’emergenza ambientale, insomma, non si esprime nel contenimento delle nascite, ma con la necessità di «ridurre le disuguaglianze e investire in fonti energetiche pulite».

Il rapporto tenta anche di smontare la narrazione opposta nel momento in cui esprime eccessiva preoccupazione per il crollo delle nascite. Non che il problema non sia reale, anche se riguarda solo l’Europa, unica area al mondo che entro il 2050 dovrebbe vedere calare il numero di abitanti del 7%, ma se amplificato oltre misura rischia di sortire effetti controproducenti e suscitare sentimenti colpevolizzanti verso la popolazione più anziana, mentre una gestione responsabile delle migrazioni può favorire quella che il rapporto definisce «resilienza demografica». Anche in questo caso non occorre forzare: al desiderio compresso di figli si risponde promuovendo politiche per favorire la parità di genere e i diritti, ampliando i congedi parentali, concedendo sconti fiscali. Con impegno, ma senza ansie.

in Avvenire, 20 aprile 2023

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