La dignità della persona umana e i suoi diritti inviolabili tra Vangelo e Costituzione

BRUNO FORTE

Il 24 febbraio 2023 nell’Auditorium della Parrocchia di San Pio X in Roma l’Arcivescovo Bruno Forte ha dialogato con la Prof.ssa Marta Cartabia, dal 2011 al 2020 giudice della Corte costituzionale, della quale dall’11 dicembre 2019 è stata anche presidente, e ministro della giustizia nel governo Draghi (2021-2022) su La dignità della persona tra Vangelo e Costituzione.

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La Costituzione della Repubblica Italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947, è un testo di singolare ricchezza, nato dalla confluenza delle grandi anime culturali, che cooperarono alla ricostruzione fisica e morale del Paese dopo la tragedia della guerra e della dittatura che ad essa aveva condotto l’Italia: l’anima cattolica, quella liberale e quella socialista. È tuttavia in modo particolare al personalismo di ispirazione cristiana che la legge fondamentale dello Stato repubblicano deve la sua fonte più ricca in materia di valori. Questa fonte era stata compendiata nel cosiddetto Codice di Camaldoli, documento programmatico di politica economica, elaborato al termine di una settimana di studio (18-23 luglio 1943), tenutasi nel monastero di Camaldoli, presso Arezzo, cui avevano partecipato una cinquantina di giovani dell’Azione Cattolica Italiana e della Federazione Universitaria Cattolica (FUCI), per stabilire le linee dello sviluppo futuro del Paese, una volta finita la guerra. I principi guida furono elaborati da Sergio Paronetto , Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni. Alla stesura definitiva del Codice parteciparono Mario Ferrari Aggradi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giuseppe Capograssi, Ferruccio Pergolesi, Vittore Branca, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giulio Andreotti, Giuseppe Medici. Nei 99 punti del testo emergeva l’idea della centralità della persona umana nella futura organizzazione dello Stato e della sua economia, congiunta a quelle della corresponsabilità, della cooperazione, della mutualità e della solidarietà nazionale.

La definizione del concetto di “persona” alla luce del Vangelo cristiano.

Il dettato costituzionale è stato dunque ispirato in modo profondo dal “personalismo” di ispirazione cristiana, il cui concetto centrale – quello appunto di “persona” – fu maturato nel contesto delle grandi dispute cristologiche dei primi secoli, in particolare fra il Concilio di Nicea (325) e quello di Calcedonia (451). «La problematica dell’Io è certo universale… Non di meno resta vero che la persona quale “soggetto” autocosciente e libero, quest’idea di uomo di cui l’occidente va fiero e che oggi sembra contagiare come fenomeno planetario tutti i popoli della terra, rappresenta essenzialmente una “invenzione” segnata dal cristianesimo» (A. Milano, Persona in teologia, Dehoniane, Napoli 1984, 77). L’idea di “persona” venne precisata in rapporto tanto al Vangelo del Verbo divenuto carne, quanto all’idea della Unità e Trinità del Dio vivo, comunione dell’Amante, dell’Amato e dell’Amore nell’unità dell’Amore eterno. Nelle controversie dommatiche per la definizione del dogma cristologico, culminate al Concilio di Calcedonia (451), si opterà per i termini πρόσωπov e ὑπόστασις per indicare l’unico soggetto delle operazioni divine e umane del Cristo. Il Concilio non si preoccuperà di dare una definizione delle espressioni adoperate, ma le consacrerà come risposta funzionale all’interrogativo concreto “chi è?”, così come essenza o natura rispondono alla domanda “che cos’è?”.

Sarà lo sviluppo della riflessione credente ad approssimarsi a una più precisa comprensione del concetto di persona. Il primo a raggiungere una definizione, che richiama la dinamicità dei rapporti ed insieme la consistenza ontologica dell’essere personale, fu Severino Boezio: «È detta propriamente persona la sostanza individuale di natura razionale» («rationalis naturae individua substantia»: De duabus naturis et una persona. Contra Eutychen et Nestorium, c. 3: PL 64,1343 C). Questa formulazione indica il valore metafisico della persona, la sua dignità singolare, escludendo così ogni riduzione dell’essere personale a caso dell’universale, mentre caratterizza l’individualità sostanziale della persona come propria di una natura razionale, in grado cioè di riconoscere e stabilire rapporti. L’impresa tentata da Boezio sarà integrata genialmente da Tommaso d’Aquino, per il quale la persona è la sussistenza individuale specificata rispetto a ogni altro ente dalla razionalità («subsistens in rationali natura»: Summa Theologiae I q. 29 a. 3), e pertanto può venir definita come “relazione sussistente” (cf. ib., a. 4). In tal modo Tommaso coglie nella sussistenza la densità ontologica della persona, ma rispetta l’alterità del mondo creaturale rispetto a quello divino, perché in Dio è la relazione a essere sussistente nell’unica sussistenza divina, mentre nell’essere personale creato è la sussistenza individuale che viene connotata dall’intellettualità, e dunque dalla capacità della persona umana di trascendersi, rapportandosi all’altro da sé.

La persona, allora, si definisce non solo sul registro dell’essere in sé e per sé, ma anche su quello dell’essere correlata ad altri: l’esse-in e l’esse-ad vengono a incontrarsi in essa, fino a coincidere ontologicamente, come avviene nella Trinità, dove le relazioni si fondano su un’unica sussistenza. In Dio è la relazione che sussiste nell’unico essere, sicché il rapporto dei Tre è una comunione ontologica, che vive della mutua e totale inabitazione (“pericoresi”), per cui essi sono Uno. Nella persona umana è invece la sussistenza individuale che si apre al rapporto con altri e con l’Altro, senza mai perdere la propria singolarità, ma anche superando la prigionia della propria solitudine ontologica in relazioni di conoscenza e d’amore. La persona viene allora a proporsi come soggetto assolutamente singolare sorgente del dinamismo personale (esse in se), che si destina all’altro da sé (esse ad), stabilendo con altri un rapporto di reciprocità solidale (esse cum). È nell’unità di queste relazioni, nella loro reciproca interazione, che la persona appare come il soggetto libero e consapevole della propria storia. Provo a chiarire il modo in cui questo triplice aspetto della persona è assunto nella Costituzione della Repubblica e le conseguenze decisive che ne derivano.

 “Esse in”, ovvero il principio della singolarità e dell’uguaglianza: l’irripetibile dignità di ogni persona umana.

 L’essere in sé della persona corrisponde alla sua incomunicabile soggettività, all’auto-possesso, per il quale essa si appartiene e si gestisce come sorgente delle proprie scelte e dei propri atti. Nella consistenza ontologica di questa singolarità si fonda il valore assolutamente unico e irripetibile di ogni persona: la “sussistenza” dell’essere personale è la ragione profonda della resistenza ad ogni massificazione, è il motivo irrinunciabile del rifiuto di ogni oggettivazione, che risolva la persona in pura esteriorità, di cui disporre dall’esterno. «La persona non è un oggetto: essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come un oggetto…» (E. Mounier, Il personalismo, AVE, Roma 1964, 11s). L’idea dell’assoluta singolarità dell’essere personale è il baluardo teoretico contro ogni possibile manipolazione della persona, la sorgente profonda e nascosta di ogni sua irradiazione e di ogni riconoscimento della sua dignità. Ecco perché l’esse in se personale è tutt’altro che chiusura gelosa o altera: esso equivale a sorgività originale, a sovrabbondanza di un essere che, possedendosi nell’autocoscienza e nella libertà, può aprirsi e donarsi ad altri ed accogliere altri in sé.

La Costituzione Italiana recepisce in maniera fondante questo principio della dignità irriducibile della persona, quale che sia la sua storia, la sua cultura, la sua appartenenza sociale, politica o religiosa: lo fa nel testo dell’art. 2, dove si afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Questi diritti sono considerati naturali, non creati cioè 2 giuridicamente dallo Stato, ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è suggerita dall’uso della parola “riconoscere”, che implica la preesistenza di essi rispetto al loro riconoscimento giuridico. Si avverte qui il sintomo della reazione al totalitarismo e alla sua concezione dello Stato come fonte assoluta del diritto. Al principio di singolarità si connette immediatamente quello di uguaglianza, affermato con chiarezza nell’art. 3 del testo costituzionale, secondo cui tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1) e devono essere in grado di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, comma 2). L’importanza e l’attualità di questi due principi è facilmente intuibile nel campo della tutela delle minoranze, dei lavoratori, delle donne, dei diversamente abili, ed oggi in modo speciale nel rispetto dovuto alla persona degli immigrati, quale che sia il loro stato giuridico di cittadinanza. Rispettare la dignità di ogni essere personale è il primo impegno cui chiama la Costituzione, in piena sintonia con l’idea cristiana dell’assolutezza, singolarità e pari dignità di ogni uomo o donna davanti a Dio e alla storia.

“Esse ad”, ovvero il principio della responsabilità verso sé e verso gli altri.

L’essere in sé del soggetto personale e il suo essere rivolto agli altri non sono in alcun modo concorrenziali: nell’atto della conoscenza e della decisione la persona è responsabile verso sé stessa, come verso gli altri. Si comprende allora come Kant abbia potuto descrivere l’imperativo pratico in questi termini: «Agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo» (Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, Bari 1997, 91). L’essere in sé e per sé della persona, lungi dal chiuderla nel ripiegamento su di sé, fonda nel modo più rigoroso l’eticità, e quindi la responsabilità verso sé stessi e verso gli altri, perché, riconoscendo il valore assoluto della dignità personale nel soggetto, conduce a riconoscerlo anche nella persona di ogni altro. Esperienza fondamentale della persona diventa così la comunicazione, l’appartenenza plurale, l’entrare in relazione: «La vita della persona è affermazione e negazione di sé: questo ritmo fondamentale si ritrova al fondo di tutti i suoi atti… raccogliersi esprimendosi… L’espansione della persona implica, come condizione interiore, una espropriazione di sé e dei propri beni, che priva l’egocentrismo di uno dei suoi poli: la persona non si ritrova che perdendosi» (E. Mounier, Il personalismo, o.c., 65s. 67). La comunicazione è il rapporto circolare per cui uscendo da sé la persona si ritrova nell’altro e accogliendo l’altro in sé ne è arricchita, proprio in quanto lo rispetta nella sua alterità.

La Costituzione recepisce il principio di responsabilità in molteplici forme: anzitutto lo fa affermando il principio del pluralismo, tipico degli stati democratici. Certamente la Repubblica è dichiarata una e indivisibile, è riconosciuto però e tutelato il pluralismo delle formazioni sociali (art. 2), degli enti politici territoriali (art. 5), delle minoranze linguistiche (art. 6), delle confessioni religiose (art. 8), delle associazioni (art. 18), di idee ed espressioni (art. 21), della cultura (art. 33, comma 1), delle scuole (art. 33, comma 3), delle istituzioni universitarie e di alta cultura (art. 33, comma 6), dei sindacati (art. 39) e dei partiti politici (art. 49). Il principio di responsabilità è parimenti alla base del cosiddetto principio di laicità e di tolleranza, in forza del quale lo Stato e le comunità religiose sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (art. 7) e tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (art. 8). Il sapersi responsabili verso sé stessi e verso altri fonda insomma l’esigenza del rispetto del diverso e del farsi carico – se occorre – del suo bisogno e della tutela dei suoi diritti. Nessun uomo è un’isola e a nessuno è lecito disinteressarsi del bene comune, come bene di ciascuno in armonia col bene di tutti.

“Esse cum”, ovvero il principio di solidarietà.

L’essere con esprime la piena reciprocità delle coscienze in cui si compie il destino della persona: dal semplice stare accanto di esistenze 3 disperse nella esteriorità, dalla somma di solitudini, si perviene all’essere uno nella distinzione, alla reciproca accoglienza e solidarietà fra le persone, in cui ciascuno è sé stesso proprio nella misura in cui si dona agli altri e si fa carico degli altri. Nella comunione solidale dell’essere personale ciascuno si scopre responsabile di tutti ed insieme si avverte sostenuto dalla corresponsabilità altrui. La concretizzazione storica di questo costitutivo essere relazionale della persona è la solidarietà, intesa come responsabilità e impegno per gli altri, in cui il bene del soggetto trova la sua autentica realizzazione. Il principio di solidarietà è espresso chiaramente nel dettato costituzionale, ad esempio nell’art. 2, comma 2, che riassume l’interpretazione che la Costituzione ha dato al concetto di stato sociale: “La Repubblica… richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Nella luce di questa prossimità solidale si comprende l’idea del lavoro quale è espressa nella Costituzione, specialmente negli art. 1, comma 1 – “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” -, e 4, comma 2: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. In questi testi il lavoro è compreso non solo come un rapporto economico, ma anche come un valore sociale che nobilita l’uomo; non solo come un diritto, bensì anche come un dovere che eleva il singolo. Parimenti, alla solidarietà si ispira il cosiddetto principio di democrazia, in forza del quale ogni persona ha diritto e dovere di partecipare alla costruzione del bene comune. Aspetti concreti di solidarismo di ispirazione personalista si ritrovano nel ruolo decisivo riconosciuto dalla Costituzione alla famiglia fondata sul matrimonio (cf. gli articoli dal 29 al 31), e nel richiamo al dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. Parimenti, il riconoscimento della salute da tutelare come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività (cf. l’art. 32) è un’applicazione del principio di solidarietà, scaturente dalla riconosciuta dignità di ogni persona.

Correlazione fra questi principi.

Questi dinamismi della persona e della comunità delle persone si intersecano continuamente fra loro. Tenerli insieme è l’esigente equilibrio, cui deve tendere l’esistenza personale nella visione personalista, illuminata dal Vangelo del Verbo incarnato, e recepita nei principi ispirativi della nostra Costituzione: perciò, essi restano un riferimento cui tornare sempre di nuovo. Scrive Mounier: «È necessario scoprire in sé, fra il cumulo delle distrazioni, il desiderio di cercare quest’unità vivente; ascoltare a lungo le suggestioni ch’essa ci sussurra, avvertirla nella fatica e nell’oscurità senza mai essere certi di possederla. Tutto ciò assomiglia piuttosto a un richiamo silenzioso, in una lingua che richiederebbe tutta la nostra vita per essere tradotta: per questo il termine di vocazione gli conviene meglio di qualunque altro» (ib., 68). Rispondere a questa vocazione è impegno che si nutre certamente della luce della Buona Novella: anche così Costituzione, dignità della persona umana e Vangelo si incontrano. Ed è questa convergenza che mostra come riconoscere i principi ispirativi della Costituzione repubblicana e tradurli in atti quotidiani sia una scelta fondamentale a cui tutti siamo chiamati, una sfida da raccogliere sempre di nuovo, un passato vivo e attuale, in cui costruire il nostro presente e preparare l’avvenire di tutti.

Testo riportato nel sito della Arcidiocesi di Chieti-Vasto

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