Maternità surrogata

LORENZA VIOLINI

Si può fare “tutto” per soddisfare il proprio desiderio di felicità? E se tale soddisfacimento finisse per trattare altre persone come mezzo per i nostri scopi?

Che vi sia un potenziale contrasto tra i progressi scientifici e i valori che hanno fin qui dominato le società tecnologicamente avanzate è cosa nota. Scienza e tecnologia consentono di superare limiti ritenuti invalicabili fino a pochi decenni orsono ma presentano, ad un tempo, il pericolo della manipolazione dell’uomo-esperto sull’uomo comune il quale è pertanto spesso colto da timori e da sentimenti antiscientifici, ritenuti da altri espressione di oscurantismo e ignoranza.

Sarebbe difficile negare che il progresso scientifico e le nuove tecnologie abbiano reso l’umanità meno vulnerabile, meno sottoposta ai capricci della natura e ai limiti che essa impone alla realizzazione dei propri desideri, anche se non sono pochi coloro che, in alcuni settori, si oppongono all’uso di questi strumenti in nome del rispetto della natura e, soprattutto, della natura come espressione di una volontà creatrice. Non quindi della natura come mera casualità ma della natura come rivelatrice di un disegno, come segno di una presenza misteriosa ma efficace, tutta da scoprire.

Eppure, in questo travaglio, l’uomo conserva integra la propria libertà e può decidere di servirsi degli strumenti che la scienza e la tecnologia offrono per realizzare i propri desideri senza che vi sia chi vi pone limiti, etici o legislativi non importa, atti a comprimere uno dei capisaldi della modernità, la propria autodeterminazione.

In nome dell’autodeterminazione si stanno facendo aspre battaglie volte alla eliminazione dei limiti, soprattutto quelli imposti dalla legislazione; si tratta di un percorso che ha travolto moltissime regole ritenute immodificabili e che ora entra in conflitto con un divieto, quello della maternità surrogata, molto ben radicato anche in settori lontani dalle religioni tradizionali e vicino a certe tendenze del femminismo, quando esso si pone come elemento di difesa a oltranza della donna in tutte le sue condizioni.

La pratica, molto discussa e vietata nel nostro Paese, viene sempre più spesso presentata come una scelta volontaria della donna, gratuita o  retribuita che sia, non coercibile neppure a partire da valori e sentimenti diffusi quali la non commerciabilità del proprio corpo oppure il rispetto per il legame che si crea tra la gestante e il bambino, legame ritenuto fondamentale per lo sviluppo del bambino stesso, la necessità di conservare un nesso tra il concepimento e la nascita, con il connesso diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche, affermato come diritto costituzionalmente garantito nei contesti dell’adozione e della cosiddetta “madre segreta”.

È invece consentita all’estero, dove alcune coppie appartenenti all’universo Lgbt si recano per poter “avere” un figlio, da portare poi in Italia chiedendo la registrazione all’anagrafe. Proprio tale registrazione è stata recentemente oggetto di una sentenza della Corte di Cassazione, a cui il ministero dell’Interno ha dato attuazione. Tutto qui? Evidentemente no.

Il movimento di protesta è dilagato, sia sul piano nazionale sia su quello europeo, e pare travolgere ogni resistenza, ogni pensiero contrario, ritenuto fin oltraggioso, ogni richiamo alla moderazione e alla ricerca di soluzioni capaci di tenere insieme il miglior interesse del bambino – mai messo in discussione, peraltro – e la conservazioni di quei legami “familiari” che la modernità, nemica di ogni discriminazione, ha “ampliato” ma solo fino a un certo punto e che non esita a coinvolgere terzi (terze), che finiscono per restare contrattualmente escluse, espulse dal contesto familiare pur inclusivo, come si suol dire.

Vi sono fattori in tutto ciò che devono far pensare mentre tutto (destini, sentimenti, legami), tutto pare sacrificato al pur sacrosanto desiderio di genitorialità. Eguaglianza, eguale dignità, eguale valore del singolo uomo e della singola donna: non vi sono – nell’umano – né barriere né categorie  e la discriminazione, lo sfruttamento, la manipolazione possono nascondersi anche nella pratica in apparenza più innocua e benevola.  Contro le apparenze e contro idee che si vanno trasformando in ideologie, elaborate a favore di certe persone e non di altre, come se si potesse distinguere tra donna e donna, va mantenuta una distanza critica. Tutto il resto verrà, con ragionevolezza e con buon senso: basta non dare subito ragione a chi grida di più e allinearsi.

in Il Sussidiario, 23, 03,2023

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