Gli immigrati come ricchezza

LINDA LAURA SABBADINI

Le migrazioni sono sempre esistite. Si sono accresciute di intensità per il moltiplicarsi dei fattori che le determinano. Pongono un problema in primis umanitario e di diritti, ma, se gestite con umanità e intelligenza politica, possono essere di grande aiuto all’economia del Paese.
Le previsioni Istat pubblicate a settembre parlano chiaro. Nel 2050, nell’ipotesi mediana, la popolazione del nostro Paese scenderà di 5 milioni di persone. E questo nell’ipotesi di un saldo migratorio netto di 120 mila persone l’anno. Ma non emerge solo un problema numerico complessivo. Tra 30 anni avremo una popolazione di 65 anni e più al 35%, ora è a poco meno di un quarto. E soprattutto mentre al 1 gennaio 2021 il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) era tre a due, nel 2050 sarà uno a uno. Questo perché nel frattempo, oltre a diminuire la popolazione, cambierà la sua composizione per età. Cresceranno le persone anziane e anche i grandi anziani.

Diminuiranno le persone in età lavorativa da 15 a 64 anni di 9 milioni di unità!
È evidente che ci si porrà un problema di come riusciremo a pagare le pensioni di chi ha lavorato una vita e ne ha diritto. Perché queste dovranno essere pagate da chi lavorerà. Voi direte, possiamo puntare sulla crescita della fecondità che è permanentemente bassa. Magari cercando di far sì che chi vuole avere figli possa averli e siano eliminati tutti gli ostacoli economici, di carico di lavoro familiare sulle spalle delle donne, siano sviluppati i servizi di cura. Sì, si può fare ed è assolutamente giusto farlo, ma non risolve il problema, se non nei tempi lunghi. La situazione demografica è peggiorata troppo. La permanente bassa fecondità che ha caratterizzato l’Italia ha portato a una forte riduzione del numero delle donne in età riproduttiva, quindi, anche se ci fosse una ripresa delle nascite, ci vorranno decenni perché questa sitraduca in crescita numerica delle persone in età lavorativa. Il nato all’anno zero diventerà venticinquenne a distanza di 25 anni.

Vi siete chiesti perché la Germania ha accolto un milione di siriani e ha avviato il processo di integrazione nel Paese, mentre altri ergevano muri?
Perché ha un problema analogo al nostro. E ha agito tenendone conto. Stiamo parlando della più grande economia in Europa. Che adesso ospita 1 milione di ucraini. Allora, se l’incremento delle nascite ha effetti nel lungo periodo, l’arrivo di migranti ben gestito, anno dopo anno, con politiche di integrazione adeguate, nel rispetto delle regole, in modo sostenibile socialmente, si può trasformare in elemento prezioso per migliorare la situazione economica del Paese. E supportarci nell’incremento della popolazione in età lavorativa.
Ma perché è così difficile immaginarci una Italia, Paese multietnico, dai mille colori, che riesce a fare della diversità una bellezza? Ma la comunità italiana che era emigrata in Canada o in Argentina o negli Usa, non ha forse arricchito quei Paesi? E perché non dovrebbero farlo un siriano, un afgano o una nigeriana e un’ucraina nel nostro Paese? Di che abbiamo paura? Della perdita della nostra purezza?
L’Italia, con la sua lingua ed i suoi dialetti, i suoi usi e costumi, la sua cucina e la sua creatività, la sua libertà e democrazia, vivrà nei secoli, anche se gli italiani avranno una pelle un pò più scura. Può questa paura portare a indifferenza, cinismo, o azione barbara di lasciare affogare nel mare senza soccorso?
No. Non è accettabile.
Allora prepariamoci a progettare soluzioni realistiche ad un problema assai complesso.
Abbiamo bisogno di più Europa e più Italia, che agiscano in nome dei loro valori di civiltà nel mondo, ma anche di interesse per il loro futuro.

in “la Repubblica” del 3 marzo 2023

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