Guerra Russia-Ucraina. “Né vincitori, né vinti. É il compromesso necessario per cominciare a negoziare”

EDGAR MORIN, intervistato da CESARE MARTINETTI

«Né vincitori né vinti. È il compromesso necessario per cominciare a negoziare». Edgar Morin dall’alto del suo secolo di vita suggerisce questa soluzione per la crisi Russia-Ucraina. Soluzione che al momento appare più utopica che realistica. Ma è questo il compito dei grandi vecchi: miscelare utopia e realismo. Morin non rinuncia alla battaglia intellettuale e al suo ruolo di coscienza critica. Di guerra in guerra, da oggi in libreria (Raffaello Cortina editore) è un distillato di riflessioni su un interminabile Novecento vissuto da testimone.

«Ho voluto ricordare non solo i terribili mali fisici, ma anche i mali intellettuali arrecati dalle guerre, e cioè le menzogne, le visioni unilaterali, il manicheismo, l’odio per l’intero popolo nemico, per la sua cultura, la sua lingua, i suoi capolavori letterari e artistici e ho voluto aiutare me stesso e i lettori a sviluppare questa consapevolezza, di fronte a una guerra che rischia di condurre al peggio, attraverso un processo di escalation e di radicalizzazione».

Monsieur Morin, stiamo entrando nella terza guerra mondiale o ci siamo già dentro?

«Siamo in una guerra già mondializzata, ma ancora localizzata militarmente: siamo trascinati verso una nuova guerra mondiale, ma è ancora possibile sfuggirvi».

Putin è l’aggressore «evidente», come lei scrive. Dopo l’annessione della Crimea, l’escalation era prevedibile. l’Occidente non ha capito o non ha voluto capire?

«Dopo il crollo dell’Urss e i primi anni di Putin, ci fu una possibilità di intesa fra la Russia e gli Usa, fra la Russia e l’Europa. Putin è anche venuto in Germania a fare un discorso molto pro-europeo. Ma la volontà degli Stati Uniti di mantenere il monopolio della potenza mondiale, da una parte, e, dall’altra, le guerre di riconquista condotte dalla Russia in Cecenia e in Georgia hanno portato gli Stati Uniti, peraltro su richiesta dei Paesi vicini alla Russia, a estendere la Nato fino a un accerchiamento che i dirigenti hanno avvertito come una minaccia».

E in Ucraina cos’è accaduto?

«La rivoluzione pro-occidentale di Maidan ha suscitato il separatismo del Donbass russofono e l’annessione della Crimea da parte della Russia. Dal 2014 prosegue una guerra continua e sanguinosa fra il potere ucraino, sostenuto dagli Stati Uniti, e le provincie separatiste, alimentate militarmente dalla Russia. Nel 2014 avevo lanciato l’allarme sui rischi che questo ascesso si generalizzasse. Di fatto, in condizioni di sempre maggiore tensione, Putin decise l’invasione dell’Ucraina con l’obiettivo di annetterla».

Nel suo saggio critica apertamente certi aspetti del potere ucraino. Perché?

«L’Ucraina, durante la rivoluzione sovietica, ha voluto emanciparsi dalla Russia, ma essa è stata riconquistata e integrata all’Urss. Il movimento indipendentista di Bandera, rifugiato in Germania, durante l’invasione tedesca ha collaborato con il nazismo, e ha partecipato ai massacri degli ebrei. Dalle autorità ucraine dopo Maidan, Bandera è glorificato come eroe dell’indipendenza, occultando la sua dipendenza rispetto al nazismo sotto l’occupazione tedesca. La radicalizzazione della guerra ha portato le autorità ucraine a sviluppare un ipernazionalismo antirusso giunto fino a proibire la letteratura e la musica, cioè ciò che la Russia ha prodotto di meglio contro i dispotismi zarista e sovietico, da Puskin, Tolstoi, Cechov a Solzhenicyn e Grossmann».

Qual è il suo giudizio su Zelensky?

«Zelensky si è rivelato capo guerriero straordinario ed è riuscito a ottenere l’aiuto economico e militare che, insieme al valore strategico dei capi militari ucraini, ha salvato l’Ucraina dall’annessione. Ma cerca ormai più la vittoria che la liberazione e temo che rifiuti di negoziare, mentre l’equilibrio delle forze attuali permetterebbe una negoziazione, che sfortunatamente i reciproci odi rendono difficile. Temo che ci sia solo una corta veduta sui rischi che egli contribuisce a far correre sul mondo non vedendo che una generalizzazione del conflitto sarebbe un disastro innanzitutto per l’Ucraina».

E qual è il suo giudizio su Putin?

«Putin è nello stesso tempo l’erede del peggior aspetto dello stalinismo, quello poliziesco, e, risuscitando la Santa Russia, del dispotismo zarista. È diventato progressivamente un despota cinico e crudele, e questo suo carattere si accresce. Ma è anche realista e sa arretrare e ridurre le sue ambizioni. Non è sicuro che una eventuale destituzione di Putin possa portare al potere democratici pacifisti. C’è anche il rischio che sia sostituito dal peggio».

Lei è uno studioso e un teorico della complessità e la situazione ucraina è oggettivamente complessa. Qual è lo scenario realistico per la soluzione del conflitto?

«Il Donbass russificato dovrebbe essere riconosciuto nella sua specificità: solo una Ucraina federale potrebbe integrarlo, non l’Ucraina attuale. Quale che sia l’esito politico per il suo territorio, l’industria del Donbass potrebbe dipendere da un condominio russo-ucraino. Le città portuali come Mariupol, e anche altre, potrebbero diventare dei porti franchi come lo fu Tangeri. La Crimea, che durante la guerra fu popolata da tatari ad opera di Stalin, ha ritrovato una parte della sua popolazione originaria, ma è più russificata che ucrainizzata. Potrebbe essere demilitarizzata e restare russa. In breve, io non faccio altro che indicare delle possibilità di un compromesso, che è necessario in ogni guerra dove non ci siano né vincitori né vinti».

Lei ha vissuto da giovane combattente e resistente la Seconda guerra mondiale. Pensa che sia corretto paragonare la Germania di allora alla Russia di oggi e Putin a Hitler?

«È sproporzionato hitlerizzare o stalinizzare Putin. L’ideologia hitleriana era fondata sulla superiorità della razza ariana su tutta l’umanità. L’ideologia putiniana è quella della Grande Russia».

Monsieur Morin, lei è di origini ebraiche e ha vissuto da agnostico con la passione per la verità, cartesiano e spinoziano. Come si avvicina ai suoi 102 anni che compirà il prossimo 8 luglio?

«Voglio continuare a essere ciò che sono, a fare ciò che faccio, a cercare di offrire ai miei contemporanei un pensiero che affronti la complessità del mondo e della storia umana, e ciò fino al mio ultimo respiro».

in “La Stampa” del 17 febbraio 2023

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