Contro mafia e camorra. L’intrepido coraggio di don Riboldi a fianco della povera gente

DAVIDE RONDONI

Il libro di Pietro Perone, “Don Riboldi 1923-2023. Il coraggio tradito” ricostruisce la figura, il contesto e gli anni del rosminiano che sfidò la camorra di Raffaele Cutolo.

_____________________________________

Diecimila studenti, quarant’anni fa, marciarono contro la camorra sfilando a Ottaviano, nella città del boss allora incontrastato e in carcere, Raffaele Cutolo. Anima prima della manifestazione era un prete, anzi un vescovo, Antonio Riboldi, di cui corre il centenario della nascita. Era un uomo del Nord sceso a fare il pastore prima in Sicilia, poi in Campania. Era stato vicino ai terremotati laggiù e poi trovò il terremoto che aveva sconquassato tutto nell’Irpinia e nel napoletano. Eccetto la camorra, appunto, che regnava più di prima, anche dal carcere. E che quel prete dinanzi a quei giovani in terre di solito silenti e impaurite chiamò “il nostro fascismo”.

Il libro di Pietro Perone, Don Riboldi 1923-2023. Il coraggio tradito (San Paolo, 2022), passando agilmente da toni narrativi a informazioni, da prosa con piglio di cronista a riflessioni di tipo sociale e politico, ricostruisce come si arrivò a quel gesto e cosa ne conseguì, in un viaggio appassionato e sincero.

Il libro ci porta dalle scuole del napoletano alle stanze del potere, tra intuizioni coraggiose e distrazioni clamorose, tra passioni sincere e striscianti strumentalizzazioni. Un romanzo-saggio che offre uno spaccato senza sconti e senza infingimenti della difficoltà a contrastare un fenomeno di criminalità diffusa e di sottomissione spesso ingrigita da consuetudini e viltà. In questo panorama si staglia nella narrazione di Perone la figura di mons. Riboldi, uomo educato nel carisma di Antonio Rosmini, uno dei più grandi italiani dell’800, esponente del grande cattolicesimo sociale.

Non è il ritratto di un eroe, non di un infallibile, non di un ingenuo. Ma di un uomo immerso nel suo tempo e preoccupato solo di una cosa: del suo popolo sofferente. Incurante se per questo dovesse andare incontro a incomprensioni, strumentalizzazioni, sconfitte.

Perone intorno alla figura centrale di Riboldi fa balenare con tratto sapiente altri personaggi grandi e minori anche qui tra luci e ombre – da Berlinguer a Napolitano fino ai primi martiri della terra dei fuochi, o da Bassolino ad Andreotti, con cui Riboldi ebbe sempre vivo un rapporto anche franco e scomodo. Fino ai ragazzi che come lui ebbero battesimo di fuoco politico in quella marcia e che poi intrapresero carriera nel Pd e altri partiti di sinistra, spesso traditi o tradendo.

Riboldi fino all’ultimo alza la voce, tenta strade inedite – come il rapporto coi camorristi in carcere, compreso il Boss dei boss. Perché questa è stata la sua missione. Scomoda, per lui innanzitutto, che infatti mai cercò la solitudine, ma l’amicizia di altri preti come don Tonino Bello, mistico e sociale. Senza ascesi mistica tali figure non sorgono.

La fede per Riboldi (come per Rosmini) non vive in un ritiro spirituale confortante, ma in mezzo alla gente, in mezzo ai problemi. Magari non li risolve, perché neanche la santità di uomo elimina del tutto le brutture della storia, ma indica a tutti la posizione di speranza e di umanità con cui affrontarle. Lo suggerisce con delicatezza e partecipazione la prefazione di mons. Antonio Di Donna, vescovo suo successore ora emerito ad Acerra.

Il libro di Perone offre un contributo importante non solo su una figura – Riboldi – e su una vicenda – la presenza della camorra e la lotta contro di essa – che non sono certo facilmente decifrabili, la prima per profondità umana e ascesi, la seconda per potenza di morte e interessi. Ma intorno a questi due perni costruisce un’importante narrazione dell’Italia di questi anni, e una riflessione sulla presenza di figure profetiche sfuggenti a qualsiasi definizione politica, radicate nella sofferenza della gente. Mons. Riboldi lo era per nascita – una umile famiglia lombarda – e lo fu per vocazione e scelta. E Dio sa quanto abbiamo bisogno di figure così, compresi i loro limiti o i loro errori – perché anch’essi a differenza di altri sono fatti della stessa materia della speranza.

in Il Sussidiario, 17 febbraio 2023

Contrassegnato da tag