Cop27, Niente accordo sulle emissioni

LETIZIA TORTELLO

L’accordo è arrivato 48 ore in ritardo, mentre la Cop27 di Sharm-el-Sheikh in Egitto stava sbaraccando, tartine e bevande erano quasi finite e molti dei 34 mila delegati erano già partiti. Un compromesso debole e poco chiaro nella sostanza, che in qualche modo, però, rappresenta un risultato storico. Dal 1992, i Paesi poveri chiedevano un fondo di compensazione per i danni causati dal clima: siccità, inondazioni, tempeste. Sconvolgimenti improvvisi come il disastro in Pakistan a fine agosto, che ha colpito 33 milioni di persone, che impattano sul Sud del mondo, provocati dal riscaldamento climatico di cui le economie industrializzate sono state massicciamente responsabili negli ultimi decenni. Questa riserva da cui attingere per le compensazioni di “Loss and damage” sarà destinata ai Paesi in via di sviluppo (con priorità ai più «vulnerabili»).

Ma chi pagherà e quanto non è ancora chiaro. Lo deciderà un comitato che dovrà riferire alla prossima Cop28 di Dubai nel 2023. Ue e in misura minore Stati Uniti e Regno Unito non erano per niente d’accordo a istituirlo, ma hanno dovuto cedere di fronte alla compattezza delle richieste del gruppo G77 che riunisce 130 Paesi più la Cina, la grande inquinatrice. Pechino, dunque, secondo gli europei deve partecipare come finanziatrice del fondo, non certo come benefattrice. È proprio il ruolo del Dragone uno degli aspetti più controversi: si considera un Paese in via di sviluppo («Potremmo contribuire su base volontaria», dice), ma emette oltre 11 mila miliardi di tonnellate di CO2, più del doppio degli Usa.

Non è tutto. Se un passo avanti per riparare i danni di chi si trova quasi incolpevole ad affrontare i disastri climatici è stato fatto, nessun risultato è stato invece portato a casa sul fronte della dipendenza del mondo da fonti energetiche sporche, i combustibili fossili. La Cop27 ha ottenuto un blando accordo per eliminare gradualmente il carbone, ma non sono state neppure nominate le riduzioni di gas e petrolio, perché gli Stati produttori, primo fra tutti l’Arabia Saudita, si sono messi di traverso. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha avvertito delle gravi conseguenze di un fallimento: «Non c’è modo di evitare una situazione catastrofica, se il mondo sviluppato e quello in via di sviluppo non sono in grado di stabilire un patto storico. Al livello attuale, saremo condannati».

Le temperature mondiali si sono alzate di 1,1 gradi rispetto ai tempi pre-industriali. Nel 2015, l’accordo sul clima di Parigi imponeva di restare ben al di sotto dei due gradi, l’anno scorso a Glasgow l’obiettivo era diventato 1,5 gradi. Il vertice d’Egitto ha dimostrato i piedi d’argilla su cui poggia la politica climatica internazionale. Cop27 si chiude con un cerotto su una grande ferita, la nostra Terra malata di inquinamento. E con una spaccatura tra Nord e Sud, con una meritata diffidenza da parte dei secondi: i «ricchi» non sono riusciti nemmeno a mantenere la promessa del 2009 di fornire 100 miliardi di dollari all’anno per il clima. Qualche generico proposito lo mette Macron, che annuncia di voler organizzare un vertice a Parigi l’anno prossimo prima di Dubai, per istituire «un nuovo patto finanziario» con i Paesi vulnerabili.

in “La Stampa” del 21 novembre 2022

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