Ecologia integrale. Anche gli altri viventi ci chiedono pace

MARIO TOZZI, intervistato da CHIARA GRAZIANI

Disse il tonno Antea agli umani: «Lasciateci liberi ed in pace, due di noi, maschio e femmina; solo due per un anno e vi riempiremo di figli l’Adriatico, tanti che non ci sarà neppure più spazio per l’acqua». Non c’era Colapesce ad ascoltare la promessa miracolosa del grande animale, una femmina, che, come nelle fiabe di Calvino, era emersa ad offrire un patto ai Sapiens del Mediterraneo. L’Adriatico, nonostante Antea, non brulicherà di grandi pesci da qui a pochi mesi – appena più del tempo di una gravidanza umana — nonostante la semplicità e la ragionevolezza della sua proposta: pace in cambio di vita e sostenibilità, per tutti. Umani e viventi dell’ecosistema che stiamo distruggendo, anche con le tonnare della tecno-pesca industriale che stanno portando i tonni ed altre specie all’estinzione.

È l’espediente letterario — far parlare i viventi non umani come nelle grandi favole popolari — che ha usato Mario Tozzi, scienziato, geologo, grande raccontatore di storie che sgorgano dall’osservazione scientifica ed appassionata della realtà. Mediterraneo inaspettato (Milano, Mondadori, 2022, 156 pagine, 18, 50 euro), infatti, è la favola della realtà che potrebbe essere. L’Adriatico che potrebbe non bastare alla prole di una coppia sola di tonni, ammesso restassero indisturbati per un anno, è nelle possibilità del reale. I più antichi abitanti del Mediterraneo, dai tempi delle acque primordiali del Mesogeo, sono davvero prolifici a questo punto. Eppure, 450 milioni di anni dopo, sono ad un passo dall’estinzione sulla cui china si sono avviati, nel Mediterraneo, appena negli anni ’60 del secolo scorso. Ancora pochi anni di pesca selvaggia e non ci saranno più neppure i due dell’apologo di Antea. Il Mediterraneo, crocevia angusto e caotico del 20% del commercio mondiale, riserva di pesca di flottiglie di nazionalità varie, sta raschiando il fondo delle sue riserve. Ne abbiamo parlato con Tozzi.

Nel libro lei descrive “l’immensa ’intelligenza della vita” della quale partecipa ogni vivente. Ed il Mediterraneo, realtà unica nata sulla globalizzazione via mare dell’ulivo e della matematica — come ci racconta — è il frutto di una koinè di viventi. Che cos’è l’intelligenza della vita? E perché ne sembriamo esclusi, come sostengono i non umani parlanti del libro?

Un errore di prospettiva ci porta a considerarci superiori, i soli padroni del Creato e di tutte le altre vite. Ma noi non lo siamo. Noi usiamo le tecnologie, è vero, ma non riusciamo a vedere che tutti i viventi sono partecipi di una grande intelligenza collettiva; pensi al branco di pesci, migliaia di individui capaci di muoversi in sincrono come un unico, grande animale intelligente fatto di tanti cooperanti. Anche quella è intelligenza che non è una nostra esclusiva, non è a noi riservata. Se crediamo all’evoluzione biologica dobbiamo credere anche all’evoluzione dei sentimenti e delle emozioni, dell’intelligenza e degli altri tratti interiori che sono di tutti i viventi. L’intelligenza, dunque, è sparsa nella vita. Dal virus alla pianta al fungo, all’albero alla gallina, al topo, all’uomo, all’elefante, anche negli animali che riteniamo più sciocchi c’è l’impronta della grande intelligenza della vita.

Tra i rimproveri più frequenti degli abitanti primordiali del Mediterraneo, pesci, mammiferi, primati, non Sapiens, c’è la “stupidità” del genere umano attuale.

Sì, perché qualcuno ha ritenuto, sbagliando e male interpretando Darwin, che l’evoluzione biologica sia frutto del prevalere del più forte. In realtà in Natura non prevale il più forte ma il più adatto. Ed il più adatto è quello che coopera meglio. Con gli individui della stessa specie ma anche con le altre specie; in natura sono tantissimi gli esempi. Il Sapiens ha fatto il suo salto evolutivo in condizioni di privilegio perché ha potuto usare la parola ai fini della cooperazione che l’ha reso adatto.

Allora perché non riusciamo più ad accedere a questa strategia di specie — cooperare con intelligenza collettiva — praticata da scimmie, topi, delfini? Se ci riuniamo a far correre fiumi di parole non si cava un ragno dal buco. Parliamo ancora ma non cooperiamo più, o meglio; cooperiamo il meno possibile. Perché?

Ce lo impediscono il desiderio e la volontà di accumulare beni. Una cosa che in Natura, fuori da noi, non esiste e che è la vera differenza fra il Sapiens e gli altri viventi ai quali sono sconosciuti l’accumulo, il desiderio di beni. E chi accumula, sempre più vorrebbe accumulare e, così, c’è chi, fatalmente, resta con poco o senza nulla. Perché non cooperiamo? Difficile cooperare con chi ti porta via tutto. È difficilissimo se dietro ogni parola detta c’è il desiderio di prevalere. Desiderio che usa anche la scaltrezza per arrivare all’obiettivo. Una delle più efficaci e scaltre invenzioni, come dico io, del male è stata non tanto la plastica quanto, negli anni ’60, il modo di lanciarla sul mercato. Un materiale potenzialmente eterno non garantiva grandi margini di guadagno. Così si è pensato di proporlo come materiale monouso. Non puoi ricavarci più di tanto? E allora la butti subito, dopo averla usata una volta sola. E oggi, come ci ricordano gli altri viventi del Mediterraneo le isole di plastica soffocano il mare. Non c’è cooperazione ma predazione senza futuro.

Nel libro parla anche l’elefantessa Elly, finita con i suoi simili sulle isole che si formavano nel giovane Mediterraneo in ebollizione vulcanica. Erano grandi, grossi e allo stretto di spazio e risorse. “Diventammo allora più piccoli, più leggeri — racconta — e così ci bastò il cibo che trovavamo.” Come facciamo a diventare più piccoli?

Dobbiamo diventare anche noi più piccoli, più leggeri, come quei i grandi mammiferi. Siamo troppo pesanti; noi uomini del mondo occidentale soprattutto, perché altri invece sono ancora troppo leggeri. Noi dobbiamo alleggerirci perché, per nostra responsabilità, ci troviamo a vivere con territori e risorse limitati. Certo non possiamo fare come i grandi elefanti che passarono da una lentissima evoluzione guidata da limitazione e caso. Ma potremmo alleggerire, senz’altro la nostra pressione su un ambiente che non ci sostiene più. Si può fare in tempi assai più rapidi e si può tradurre nell’esortazione a non tagliare il ramo sul quale siamo seduti ed a scegliere stili di vita che consumano di meno».

Diventare tutti più piccoli, più leggeri, risolverebbe, dunque il problema di essere tanti.

Io credo di no, le risorse quelle sono e se le impoveriamo continuamente il numero dei Sapiens sulla Terra è troppo grosso. Almeno se tutti vogliono vivere come gli statunitensi e non, ad esempio, come gli indiani. Ma nessuno, tanto meno chi sta meglio e consuma di più, è disposto a pesare di meno. Prendiamo gli indiani. Volessero consumare pesce a livello dei giapponesi, occorrerebbero 90 milioni di tonnellate l’anno solo per loro. Ossia quasi tutto quello che già si pesca e si consuma al mondo senza che loro si siedano a tavola. Non può reggere, siamo troppi. Potremmo cambiare stile di vita.

Potremmo lasciare in pace i tonni, ad esempio. Ce lo spiega lei che in un anno di tregua, in teoria, potremmo ripopolare il Mediterraneo.

Ma non vogliamo lasciare in pace i tonni. È stato detto molto chiaramente ed inequivocabilmente dai Paesi più forti: noi difenderemo i nostri stili di vita. Che è una formula che si sente ripetere anche quando si giustifica il protrarsi della guerra. Difendere gli stili di vita, come sono. Si tratta di un modello di sviluppo antieconomico, tranne che per pochi, l’unico che conosciamo. E continuando di questo passo una crisi alimentare potrebbe mordere a livello globale prima di quella energetica.

Il Mediterraneo sta diventando anche laboratorio dell’economia blu che punta alla rigenerazione degli ecosistemi e a “coltivare” le risorse del mare che sono resilienti. Le alternative ci sono.

Il sistema economico che si fa circolare, basato sull’imitazione della natura è sempre meglio di quello che abbiamo adesso. Ma le risorse sono comunque limitate non le puoi moltiplicare. Già coltiviamo tutto il coltivabile, peschiamo tutto il pescabile. Oltre una certa soglia è impossibile andare senza raschiare le risorse.

Verrebbe da dire, speriamo nella pace con i tonni e l’ambiente. Alla Cop 27 è stato scelto, non a caso, di mettere il Mediterraneo tra i grandi nodi, ecologici e geopolitici, da sciogliere per risolvere la crisi climatica. Ha fiducia?

No. Gli scienziati danno indicazioni precise, ma la volontà di tradurle in azione politica non si vede. Perché nessuno rinuncia quello che ha. Ed il più forte intende restare il più forte. Solo le grandi catastrofi, purtroppo, creano accordo. Non si vedono leader o figure carismatiche con un impatto mediatico che facciano presente questo, anzi ne vedo solo due. Papa Francesco e una ragazzina con le trecce. Greta. Sono gli unici che pongono correttamente la questione partendo dalle indicazioni degli scienziati e non da posizioni ideologiche. La speranza è che riescano a svegliare qualcuno.

in L’Osservatore Romano, del 22 novembre 2022

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