Disastro climatico. Alla Cop27 i leader mondiali continueranno a voltare le spalle?

CARLO PETRINI

Oggi inizia a Sharm el-Sheikh in Egitto la Cop27. Dopo 6 anni la conferenza mondiale sul clima torna sul suolo africano: continente che storicamente ha contribuito a meno del 4% delle emissioni globali, ma che perde tra il 5 e il 15% del Pil proprio a causa del loro aumento. Forse l’unica nota interessante di questa Cop è la presenza del neo presidente brasiliano Lula, a testimonianza del suo impegno per mettere in salvo l’Amazzonia dallo scempio portato avanti dal suo predecessore Bolsonaro. Per il resto le Cop sono un film già visto: per dieci giorni i leader mondiali si incontrano e discutono le azioni per mitigare e adattarsi al cambio climatico (i due filoni di soluzioni principali a nostra disposizione) e poi prontamente ritornano ciascuno nei propri paesi dimenticandosi quasi totalmente degli impegni presi.

Questo è il fallimento di un multilateralismo non vincolante che mi fa essere sempre più convinto che in un’epoca complessa di crisi globali interconnesse, il modo migliore per fornire soluzioni è attraverso azioni locali. Anche perché se non decidiamo di cambiare seriamente traiettoria, ogni anno che passa i margini di mitigazione a nostra disposizione per arrestare la rapidità con cui avanza la crisi diminuiscono sempre più.

Quanto successo nel 2022 ne è la dimostrazione: mentre l’Europa viveva l’estate più calda negli ultimi 500 anni e il Marocco la peggior siccità in 40, un terzo del Pakistan è stato completamente sommerso da violente piogge di carattere alluvionale che hanno causato quasi 2000 morti e negli Stati Uniti l’uragano Ian si è abbattuto sulle coste del sud della Florida con una violenza mai vista prima, lasciando per giorni 2 milioni di persone senza elettricità. Nessuno è immune agli effetti disastrosi della crisi climatica: né i ricchi paesi del nord globale e tantomeno quelli emergenti del sud globale.

Insomma: siamo tutti in balia della stessa tempesta. Anche se come sempre a pagarne le spese maggiori sono i poveri che intraprendono percorsi migratori perché le loro terre sono sempre più aride e improduttive. Il problema è che questa tempesta è stata causata in maggior parte dal ricco mondo occidentale che ora la naviga con imbarcazioni abbastanza comode e sicure, mentre gli abitanti dei paesi del sud del mondo pagano le conseguenze più grandi e cercano di non affondare a bordo di zattere di fortuna.

Ci tengo a sottolineare questo punto perché il dossier probabilmente più caldo dei negoziati della Cop27 sarà quello inerente allo strumento di finanza climatica denominato “perdite e danni” che impegna le grandi economie a sostenere quelle più povere nella riparazione delle conseguenze della crisi climatica. Si tratta di un aspetto rimasto fermo al palo durante la Cop di Glasgow dell’anno scorso a causa delle troppe rimostranze da parte dei paesi più ricchi che, mentre si fanno i soldi con i prestiti per la finanza climatica (valore di circa 48,6 miliardi di dollari), accentuano ancor più le diseguaglianze alimentando la spirale del debito nelle nazioni in via di sviluppo.

Tutto questo è ancora più importante nel particolare momento storico che ci troviamo a vivere: con l’inflazione al rialzo e la crisi energetica europea data dalla guerra in Ucraina spinge il continente africano a sopperire alle forniture del gas ucraino aumentando gli investimenti in combustibili fossili (opportunità di crescita per il Pil) che poi vengono venduti all’Europa e il cui guadagno viene in parte utilizzato per ripagare il debito pubblico dello stato. Tutto questo, in un mondo sempre più vicino al punto di non ritorno con un aumento stimato delle temperature entro fine secolo di 2.8° a causa dell’insufficiente ritmo di riduzione delle emissioni, è assolutamente illogico è schizofrenico. Non ci rendiamo conto che è inutile un aumento del Pil oggi se domani non potremo godere di questa crescita perché il mondo sarà invivibile.

Spero quindi che i leader riuniti a Sharm el-Sheikh aprano gli occhi e riescano finalmente a giungere a un accordo serio per la compensazione delle perdite e dei danni. Così come spero anche che la grande novità di questa Cop, ossia un padiglione interamente dedicato alla trattazione del tema agroalimentare (settore che ricordo contribuisce al 37% delle emissioni di Co2) non sia in realtà una bella operazione di greenwashing. Le multinazionali del cibo hanno infatti un forte interesse a continuare a controllare le pance degli africani, e non solo, con monocolture intensive da semi brevettati e dipendenti da fitofarmaci. Il rischio che ciò avvenga è alto.

Concludo con una riflessione azzardata e utopista, ma che ritengo importante anche alla luce delle controversie legate a questa Cop27 che si svolgerà in un paese di fatto governato da una dittatura che è terza al mondo per numero di esecuzioni (Amnesty International) e violazioni dei diritti. È tempo per la governance internazionale di ridare ossigeno ai tre valori della rivoluzione francese a partire dalla fraternità: una forza che può cambiare il mondo rallentando la corsa della crisi climatica. Storicamente si è infatti dato peso prima alla libertà, poi all’uguaglianza e infine alla fraternità.

Ma attenzione perché l’eccesso di libertà uccide l’uguaglianza e il liberismo imperante ne è la prova: un eccesso di libertà che privilegia i più ricchi e forti e fa ingiustizia ai più poveri. Istituzionalizzare l’uguaglianza allora può anche voler dire privarsi di parte della libertà e dei privilegi individuali in favore di un bene comune più grande. Tutto questo può però avvenire solo se recuperiamo la fraternità che è l’elemento che consente di realizzare pienamente gli ideali di libertà e uguaglianza in maniera non conflittuale e partecipativa.

Alla Cop27 i leader mondiali saranno capaci di smettere di voltare le spalle al vicino calpestandone i diritti? Capiranno che l’umanità scamperà il disastro climatico solo riconoscendosi parte di una fraterna comunità di destino universale che va oltre dinamiche economiche e sociali profondamente materialiste e inizia a cooperare per davvero? Con una flebile quanto illusoria speranza rimango in attesa di ciò che emergerà dall’incontro egiziano.

in “La Stampa” del 6 novembre 2022

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