Iran. L’eroismo delle donne iraniane per la libertà e la dignità

KARIMA MOUAL

Il volto della signora Gohar Eshghi, ottantenne, che si fa riprendere in un video che diventa virale mentre si toglie il velo, e scandisce le seguenti parole – per i nostri giovani, dopo 80 anni, mi tolgo il velo a causa di una religione che uccide le persone – è la sintesi perfetta di quanto sta avvenendo ormai da anni e di come si preannuncia il finale. Dalla rivoluzione del 1979 sono passati anni e una generazione, quella attuale, nata in un’epoca diversa e letteralmente sradicata da quegli eventi a livello emotivo ed ideologico. Ma il cambio di passo, è che la generazione di Mahsa Amini ventenne, e Gohar Eshghi ottantenne, stanno dalla stessa parte. Tutte e due vogliono la religione fuori dallo Stato.

Iran. Donna di 80 anni si toglie il velo per protesta

Una religione che si è trasformata negli anni con gli Ayatollah in un’arma che uccide senza pietà, e dove come al solito, essendo una religione patriarcale, sulle donne ci va giù ancora più pesantemente. Forse con le numerose mamme e nonne vicine alla causa delle iraniane tutte, una parentesi politica si avvia a chiudersi ancor più nel momento in cui, con coraggio e senza paura la si sta affrontando dalla sua radice. L’Islam. Il ruolo che ha una religione nella politica, lo Stato, la vita delle persone.

I veli, vessilli della repubblica islamica, diventati gabbie e il più evidente simbolo di repressione dell’individuo vengono strappati dalla piazza per quello che si sono trasformati. Uno straccio, finalmente desacralizzato. Perché non si può arrivare ad uccidere per un pezzo di stoffa. Non si può avere una polizia della morale con il compito di controllare il dress code delle donne, in un paese schiacciato dalla crisi economica con ben altri problemi da risolvere. Le tante Gohar Eshghi, madri e nonne musulmane, hanno purtroppo rappresentato l’ostacolo maggiore per l’emancipazione delle donne più giovani perché si sono sottomesse per stanchezza o per indifferenza ad accettare che la loro fede le relegasse a un gradino più basso rispetto agli uomini, che gli stessi uomini abbiano le chiavi della loro libertà di movimento e successo, per come poi nella società si sono costruite le caselle di potere, anche se sono maggioranza e nonostante gli ostacoli qualche posto se lo sono viste riconoscere.

In Iran sta avvenendo qualcosa di inedito. Perché oltre ai giovani nelle piazze uniti dalla stessa causa, c’è anche il supporto della generazione più anziana delle madri, e nel momento in cui si esprime anche con i padri, significa che per la prima volta e da Teheran si è riusciti a superare la linea rossa. Il tabù che ha creato una teocrazia che si è fatta forza da decenni per esplodere con violenza. Tra Khamenei che ripete come il velo sia l’essenza dell’Islam, e chi come la signora Gohar senza paura e custode della “storia” iraniana grida: mi tolgo il velo a causa di una religione che uccide le persone.

Ecco, morire per la fede. Il “martirio” tanto osannato in quello che è diventato un racconto mitologico nella storia dell’Iran è morto. E non basta nemmeno raccontare che è colpa del nemico esterno che vuole creare disordini sociali. Per l’Islam, rappresentato simbolicamente dal velo delle donne con i loro capelli al vento e le ciocche tagliate, non si vuole morire. Sembra che avanzi l’individualità. L’essere cittadino, che chiede i propri diritti, semplicemente.

Può sembrare una bestemmia per gli ayatollah, ma è semplicemente il grido di chi vuole vivere nella libertà, e ciò non poteva avvenire se non attraverso il corpo mutilato delle donne, che continuano ad essere discriminate. Se gli iraniani riusciranno a chiudere questa pagina per aprirne una nuova, avendo senza ipocrisie affrontato alla radice il principale squilibrio che risiede nella loro società, non è detto che anche in altri paesi islamici, la società civile non possa sentire fortemente la chiamata a quei diritti concessi a metà.

in “La Stampa” del 21 ottobre 2022

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