Il “Servizio Civile”. Una modalità di cittadinanza attiva nell’interesse del bene comune

MAURIZIO AMBROSINI

Concepito come alternativa al militare, ha mantenuto un’anima pacifista, ma nel tempo gli sono state attribuite moltissime funzioni, esprimendo un’idea forte di cittadinanza attiva.

_________________________________

Sono trascorsi ormai più di vent’anni – era il 6 marzo 2001 – da quando è stata promulgata la legge 64 che ha istituito il Servizio Civile Nazionale. Da allora 510.000 giovani, donne nel 65% dei casi, hanno vissuto questa esperienza, e molti di più avrebbero voluto parteciparvi, se si tiene conto che le candidature presentate sono state complessivamente 1,6 milioni, come indicano i dati raccolti da Francesco Spagnolo della Caritas. Ma le premesse risalgono un po’ più indietro nel tempo.

Dobbiamo fare un salto di cinquant’anni, tanti infatti ne sono trascorsi dall’approvazione della “legge Marcora”, dal nome del parlamentare della Dc che la promosse. Era il 1972. La legge introdusse nell’ordinamento italiano la possibilità sia dell’obiezione di coscienza, sia di svolgere un servizio civile in alternativa al servizio militare obbligatorio. Gli obiettori non finivano più in carcere né venivano esclusi dagli uffici pubblici, ma potevano dimostrare il loro attaccamento alla patria servendola in un altro modo. La loro scelta era penalizzata, con lunghi tempi di attesa, una gestione che rimaneva affidata alle autorità militari e un servizio di otto mesi più lungo di quello militare, ma passava un principio: la patria non si serviva soltanto nelle caserme e imparando a usare le armi.

Parlare di servizio civile oggi significa discutere di un impegno istituzionale volto a dare risposte organizzate a diverse istanze giovanili, diffondendo valori di cittadinanza attiva e di solidarietà sociale: mettersi alla prova. Acquisire nuove competenze. Aprirsi al mondo o integrarsi nella città. Vivere più a fondo un coinvolgimento etico e civile già sperimentato in altre forme. Arricchire il proprio curriculum. In contesti di accresciuto soggettivismo, declino della partecipazione associativa tra le nuove generazioni, disaffezione verso le istituzioni politiche tradizionali, questo istituto rappresenta un rilevante investimento per collegare in modo nuovo istanze individuali di sviluppo personale, interessi degli enti che richiedono volontari per adibirli a compiti di comprovata utilità sociale e finalità pubbliche di costruzione di forme di cittadinanza mature, impegnate, sollecite verso il bene comune, insieme allo scopo originario di proporre una forma non armata di difesa della patria.

Con l’abolizione del servizio di leva, l’obiezione di coscienza è passata agli archivi, almeno nel rapporto tra i giovani e lo Stato, mentre il servizio civile, pur modificando la propria fisionomia attraverso diverse riforme, si è attestato come un caposaldo delle politiche giovanili. Di fatto, dopo l’istruzione e la formazione professionale, è il principale intervento dello Stato rivolto ai giovani in forma diretta ed esplicita. Rimane tuttavia un istituto ibrido, difficile da definire e forse anche da comprendere, soggetto a equivoci e interpretazioni divergenti, a volte fuorvianti. Possiamo identificarlo mediante una definizione ampiamente utilizzata a livello internazionale: il servizio civile è un periodo organizzato d’impegno significativo al servizio della comunità locale, nazionale o mondiale, riconosciuto e apprezzato dalla società anche mediante una modesta ricompensa economica. Il servizio civile non è quindi volontariato, perché i partecipanti ricevono un compenso e sono soggetti a vincoli di orario piuttosto precisi.

Non è però lavoro, perché non è disciplinato dai contratti collettivi e non può, o almeno non dovrebbe, sostituire normali prestazioni lavorative. E’ regolato e retribuito dallo Stato, a cui si possono eventualmente aggiungere gli enti locali, ma può essere svolto anche presso varie organizzazioni senza scopo di lucro, purché accreditate. Dovrebbe avere una portata generale, anzi “universale”, come dice la più recente riforma, ma ha sempre coinvolto prevalentemente le giovani donne con un’istruzione medio-superiore. Si può tradurre in una vasta gamma di attività con valenze sociali, culturali, ambientali, rendendo tuttavia difficile collegarlo immediatamente a compiti precisi.

Con il tempo, il servizio civile si è caricato di parecchi obiettivi e svariate funzioni. Forse anche troppe. Nato come alternativa al servizio militare, ha conservato un’anima pacifista. Ma gli è stato anche assegnato l’obiettivo di favorire la transizione dal sistema educativo al mondo del lavoro, sviluppando le competenze professionali dei partecipanti. Spesso di fatto, soprattutto in territori economicamente svantaggiati, gli è stata attribuita surrettiziamente la valenza di tamponare la disoccupazione giovanile. Ha certamente fornito manodopera a enti pubblici e non profit carenti di personale. Ha prolungato esperienze pregresse di volontariato e sviluppato forme di servizio alla collettività.

Ha una storica componente internazionale, collegata alla cooperazione allo sviluppo, e da alcuni anni ha anche un’espressione europea che attende di essere compiutamente sviluppata. Come non mancano di sottolineare gli enti che lo promuovono, esprime e sviluppa un’idea di cittadinanza attiva, chiamando i giovani a mettere in pratica i valori della nostra Costituzione nell’ambito di specifici progetti. Due recenti sviluppi testimoniano la fecondità di questa prospettiva.

Alcuni anni fa, dopo un lungo contenzioso una sentenza della Corte Costituzionale del 2015 (n.119 del 25 giugno) ha ammesso anche i giovani immigrati alla partecipazione al servizio civile. La sentenza, redatta da Giuliano Amato, così afferma: «L’esclusione dei cittadini stranieri, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale, e di conseguenza di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza».

La Corte Costituzionale dunque ha allargato il concetto di cittadinanza attiva oltre i confini della cittadinanza legale, e ha dato un’interpretazione estensiva al concetto di “difesa della Patria”, intendendola come promozione del “bene comune”. Più di recente, la guerra in Ucraina ha rilanciato la prospettiva di un servizio civile internazionale, in luoghi di conflitto o di emergenza umanitaria.

Già nel mese di marzo 2022 il Tavolo ecclesiale servizio civile ha lanciato la proposta dell’impegno dei Corpi civili di pace in un grande progetto straordinario da svolgersi sia in Ucraina, a ostilità cessate, sia nei paesi confinanti. Siamo ancora in una fase di ideazione politica, ma se il nostro paese vorrà svolgere un ruolo nella ricostruzione postbellica, i Corpi civili di pace potrebbero rivestire un ruolo significativo, con il valore aggiunto di un’auspicabile partecipazione giovanile. L’idea si è tradotta nel maggio 2022 in un bando per l’avvio al servizio di 250 volontari da impegnare in una nuova “sperimentazione” dei Corpi Civili di Pace. L’idea del servizio civile si rivela quindi dinamica, inclusiva e aperta a sempre nuovi scenari.

in “Avvenire” del 22 ottobre 2022

Contrassegnato da tag ,