Fame nel mondo. “In 5 anni è decuplicato il numero di chi lotta tra la vita e la morte”

EMANUELA CUTELLI, intervistata da LETIZIA TORTELLO

La corsa del mondo verso la povertà e la fame ha raggiunto una velocità mai vista prima. «Basti un dato: oggi ci sono dieci volte più persone tra la vita e la morte per il rischio carestia, 970 mila in tutto, rispetto al 2017, cinque anni fa», dice Emanuela Cutelli, responsabile per l’Italia della comunicazione del World Food Programme. Sono raddoppiate solo negli ultimi due anni.

Come si spiega una crescita così impressionante e devastante?

«Siamo di fronte a un momento storico drammatico, il mondo soffre di una crisi alimentare di proporzioni mai viste. Il 40% della popolazione, 3 miliardi di persone, non riesce a consumare una dieta nutriente e sana. Sono invece 50 milioni le persone in 45 Paesi ad un passo dalla carestia. 345 milioni in 82 Paesi vivono in situazione di insicurezza alimentare acuta. Prima del conflitto in Ucraina – solo l’ultima minaccia che ha accelerato il processo – erano 282 milioni. Prima del Covid, a inizio 2019 – la seconda causa recente – erano 135 milioni in 55 Paesi. Sono cifre da far tremare tutti, governi in testa. I bisogni stanno diventando più grandi della capacità di affrontarli».

L’obiettivo “Zero fame” 2030 è ancora raggiungibile, viste le condizioni?

«Non dobbiamo gettare la spugna, ma è chiaro che c’è sempre meno tempo. La condizione economica dei vari Paesi sta peggiorando e di pari passo le possibilità finanziarie di far fronte al sostentamento dei 7 miliardi e mezzo di persone».

Qual è l’obiettivo del Wfp?

«Dobbiamo accelerare moltissimo gli aiuti. Vogliamo raggiungere entro fine anno 153 milioni di persone, ad oggi siamo stati capaci di sfamarne con i nostri programmi di cibo e trasferimento di contante 112 milioni. Sempre più attori devono darci una mano: governi, istituzioni finanziarie, individui, settore del privato, per rallentare questo cammino verso la catastrofe alimentare. È la rapidità con cui tutto si verifica a stupire: nel 2022 il nostro budget sarà di 24,5 miliardi di dollari, 28,3 milioni in più dell’anno scorso».

Quali sono i Paesi in cui è più urgente intervenire?

«Afghanistan, Etiopia, Sud Sudan, Yemen e Somalia. Il nostro direttore esecutivo, David Beasley, continua a dire che le cose peggioreranno a vista d’occhio, se non si verifica un’azione coordinata. Poi ci sono i quattro Stati in cui l’inflazione gira a tre cifre: Venezuela, Libano, Sudan e Zimbabwe».

Cosa si intende concretamente per Paese in carestia?

«Un Paese o un’area affrontano una situazione di carestia quando il 20% delle famiglie è colpita dalla mancanza estrema di cibo, il 30% dei bambini soffre di malnutrizione acuta, 2 persone ogni 10 mila muoiono di fame e malattie. Quando viene dichiarato questo stato, come in Somalia nel 2011, è troppo tardi: all’epoca, metà delle persone era già morta».

Il fenomeno migratorio aumenterà massicciamente nei prossimi anni?

«Certo che sì. Cosa fa una famiglia che non riesce più a sfamarsi? Ovviamente, si muove. Non parliamo solo dell’Africa, ma anche di Medio Oriente e Sud America. Ricordiamo, però, che molte persone che lasciano la casa, provano prima di tutto a rimanere nella regione o a spostarsi nei Paesi vicini. Povertà e insicurezza alimentare causano, però, anche altri fenomeni: instabilità sociopolitica, potenziano la criminalità e il terrorismo».

Quante risorse perde il mondo, ogni anno, per lo spreco del cibo?

«Come molti sanno, oggi un terzo del cibo prodotto viene sprecato. Questo comporta perdite economiche per un trilione di dollari l’anno, mille miliardi».

in “La Stampa” del 16 ottobre 2022

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