Amore, Famiglia, sesso: sfide anche per la politica

MAURO MAGATTI

Le questioni che riguardano la regolazione della vita affettiva e sessuale costituiscono uno dei temi più scottanti non solo nella campagna elettorale in corso — come si è visto nel confronto Letta-Meloni — ma, più in generale, nel dibattito pubblico dei Paesi occidentali. Da una parte i difensori dell’idea di famiglia, fedeli a un’immagine tradizionale dei rapporti di genere; dall’altra chi rivendica il diritto alla libertà di orientamento sessuale e identità di genere.

I temi sollevati in questa querelle sono molto impegnativi, toccando i processi di costruzione dell’identità personale e del legame sociale. Dentro una dinamica che nel corso dell’ultimo mezzo secolo — da quando, cioè, con la pillola e il divorzio, la struttura familiare è entrata in crisi — ha già cambiato profondamente i nostri modelli di vita.

Nella storia dei Paesi occidentali la famiglia ha giocato un ruolo molto importante. Stabilizzando i rapporti uomo/donna e regolando i rapporti tra le generazioni, la famiglia ha costituito una leva per accompagnare e sostenere lo sviluppo economico, sociale e civile. Cellula di base attorno a cui per secoli si è costruito l’intero ordine sociale, la famiglia si è caricata di una forte connotazione valoriale ed è stata perciò presentata come un luogo ideale, scrigno di relazioni amorevoli in grado di assegnare a ciascuno il riconoscimento più appropriato. In molti casi, ciò è stato senz’altro vero. Ma lo zelo celebrativo ha troppo spesso sorvolato sul fatto che la famiglia è stata anche un luogo di oppressione dell’uomo sulla donna e dei genitori sui figli. Attraversata da una violenza latente che oggi diventa sempre più manifesta. Tanto che, come è stato scritto, «la famiglia migliore dobbiamo ancora vederla».

Comunque sia, oggi siamo in una situazione completamente diversa. La famiglia con figli — il modello standard — è in forte declino. Oltre all’esplosione del numero di single (che ormai sono più del 50% dei nuclei), si diffondono le coppie omosessuali — con la relativa richiesta di poter essere genitori — mentre sono più recenti i fenomeni del transgender e della fluidità di genere. Al fondo si profila l’idea che una società avanzata possa tranquillamente funzionare senza il modello di famiglia tradizionale. A dire il vero, nessuno sa esattamente se questa ipotesi possa reggere la prova di realtà. Né quali siano le implicazioni di lungo periodo. Ma intanto è su questo punto che la discussione ruota.

Posta in questo modo, la contrapposizione tra i due schieramenti non ha margini di composizione. Ma forse non è una buona idea quella di scontrarsi e battagliare intorno a una questione tanto complessa e delicata. Che difficilmente può essere risolta a colpi di maggioranza. Tanto immaginare di restaurare un modello familiare univoco quanto pensare che il punto di vista individuale sia sufficiente per risolvere la questione dell’articolazione dei rapporti tra i generi e le generazione appaiono posizioni irrealistiche. Che finiscono poi per chiudersi dentro una logica di pura contrapposizione: nella parte pro-famiglia, con la indisponibilità a riconoscere altra forma se non quella canonica; dall’altra parte, con la pretesa dell’assoluta omologazione dei vari modelli di convivenza. Una specie di corto circuito del principio di non discriminazione.

La poesia, la letteratura, il cinema ci insegnano che la relazione con l’altro è entusiasmante e insieme problematica. Non si illuda quindi la cultura contemporanea: pensare che la soluzione al problema dell’amore stia nel caricare tutto dal lato della scelta individuale è una pia illusione. E d’altra parte, se la famiglia oggi può rivendicare un merito non è certo quello di essere un modello di perfezione. Il suo valore, al contrario, è quello di essere un luogo «dove non funziona niente» e dove perciò uomini e donne, genitori e figli fanno la drammatica e esaltante esperienza di volersi bene, nonostante tutto.

Emily Dickinson scrive che «tutto ciò che sappiamo dell’amore è che l’amore è tutto». Una frase bellissima che dice però anche di una «ignoranza» che ci dovrebbe indurre ad ascoltarci reciprocamente. Il dialogo che ci serve non è quello dialettico della contrapposizione tra posizioni polarizzate, ma quello dialogico di un ascolto e di una ricerca comune. Il cui obiettivo non sia quello di sbaragliare la parte avversa, ma di aiutarci a capire un po’ di più di un ambito relazionale così importante, delicato e misterioso. Privato e pubblico insieme.

La famiglia eterosessuale — per quanto ammaccata — rimane preziosa anche oggi come snodo per costruire i legami tra i generi e le generazioni. E come tale va salvaguardata perché, oltre a essere il portato di una storia secolare, riflette l’esperienza di milioni di persone. Questa forma, però, non può pretendere il monopolio delle espressioni della sfera sessuale-affettiva. Altri modelli sono oggi possibili e ammissibili e vanno riconosciuti e regolati. Ma l’idea di mettere tutto sullo stesso piano, suona come una forzatura ideologica che non a caso ha bisogno di interventi normativi dall’alto. Quasi che si debba rieducare una umanità riluttante.

Al di là della campagna elettorale, su questi temi non serve piantare bandierine. Serve lavorare per costruire convergenze intelligenti tra sensibilità diverse, nel rispetto delle spinte trasformative e della eredità del passato. Sì, l’amore è proprio tutto. Ma rimane una sfida per tutti capire come modulare le forme e i modi della sua espressione nel quadro della società contemporanea.

in “Corriere della Sera” del 19 settembre 2022

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