Russia. “Dugin ha riempito un vuoto ideologico, ma il regime di Putin ha radici profonde”

BENGT JANGFELDT, intervistato da FRANCESCA MANNOCCHI

Il suo libro, pubblicato da Neri Pozza, porta in Italia il titolo: L’idea russa. L’originale è Noi e Loro. Entrambi i titoli tracciano la linea del suo testo: il divario storico e ideologico tra Russia e Occidente. Partirei da qui, chiedendole cos’è la Russia oggi, e cosa vuole?

«La Russia di oggi è un Paese che vorrebbe realizzare “l’idea russa”, cioè vorrebbe ricreare la grandezza di un Paese scomparso con il crollo dell’impero sovietico. In un certo senso la Russia di oggi è ciò che la Russia è sempre stata. Per capirlo dobbiamo rivolgerci alla Storia. “L’idea russa” è stata formulata durante le discussioni filosofiche in Russia a metà del XIX secolo sulle relazioni tra Russia ed Europa e gli europei. Queste discussioni hanno portato a una profonda divisione tra coloro che vedevano l’unica strada percorribile in un riavvicinamento con l’Occidente e coloro che sottolineavano l’unicità storica della Russia, considerandolo un Paese moralmente superiore. È la medesima divisione che vediamo nella Russia di oggi, dove le persone che guardano all’Europa hanno poca o nessuna influenza».

Nel libro descrive il moto ondoso di repressione e disgelo, censura e apertura da parte della Russia verso l’Occidente. Descrive la relazione tra Ortodossia, Autocrazia, Popolo, e sottolinea la centralità della parola russa “narodnost”, popolo. Perché questa idea di popolo è così importante per capire la Russia di ieri e quella di oggi?

«Narodnost è la terza parte del programma dell’epoca dello zar Nicola I, l’ideologia di Stato sviluppata dalla triade “Ortodossia, Autocrazia, Popolo”. Nicola I voleva rivendicare la distanza della cultura russa dall’Europa e lo fa intorno a queste parole, la risposta russa allo slogan “Libertà, uguaglianza e fraternità” della Rivoluzione francese. Non è un caso che l’Ortodossia sia menzionata per prima. Nella storia della Russia, la Chiesa ha sempre avuto una posizione dominante e ha predicato sacrificio di sé e sottomissione a Dio e al potere politico. La seconda parola, Autocrazia, è “la condizione principale della vita politica in Russia”, la base su cui il colosso russo poggia la sua grandezza. L’autocrate è il rappresentante di Dio sulla terra e gli individui sono soggetti a uno zar che, come un pater familias, tiene conto solo degli interessi degli individui. E poi arriviamo alla terza parola narodnost, popolo, concetto che si basa sulle idee romantiche tedesche sullo spirito della nazione, l’autostima nazionale, il patriottismo. Narodnost rappresenta l’alleanza speciale tra il popolo e il governo in cui lo Zar come ultimo garante della sua prosperità. E se guardiamo al consenso intorno Putin, oggi, possiamo vedere che questo legame quasi mistico, che unisce il sovrano, la Chiesa e la gente è alla base anche della Russia di oggi».

Spiegando le evoluzioni della filosofia e degli intellettuali russi cita scrittori e ideologi come Alexander Dugin che è stato al centro dell’attenzione internazionale per l’attentato che pochi giorni fa ha ucciso sua figlia Darya. Le chiederei, innanzitutto, di riassumere perché la figura di Dugin e le teorie eurasiatiche siano così importanti per capire la Russia di oggi?

«Dopo il crollo del comunismo in Russia si era creato un vuoto ideologico, tutto ciò in cui si era creduto per 70 anni è stato dichiarato senza valore, quando l’impero è caduto c’è stato bisogno di una nuova ideologia e le teorie eurasiatiche hanno cercato di riempire quel vuoto. L’Unione Sovietica era stata uno stato missionario e la Russia aveva bisogno di una nuova missione. Dugin porta avanti idee fiorite sin dai tempi di Pietro il Grande nel 17° secolo sulla madrepatria russa come contrappeso a un mondo occidentale decadente, promuove il nazionalismo, “l’audacia spirituale, la giustizia sociale e nazionale” e “valori tradizionali” russi. Le teorie di Dugin erano perfette per riempire il vuoto post sovietico, poiché sono nazionaliste ed espansioniste quanto lo era l’imperialismo russo e sovietico».

Ricorda infatti nel suo libro che nel 1996 Boris Eltsin incaricò i suoi di capire quale fosse «l’idea nazionale, ideologia più importante per la Russia» e che la risposta è arrivata da Alexander Dugin, e dal suo libro Fondamenti di geopolitica, ispirato ai nazionalisti di destra occidentali e ai pensatori panslavisti russi, pubblicato nel 1997. Lo Stato ideale di Dugin non è democratico ma ideocratico, la guida dello Stato è la Chiesa ortodossa, immagine dei valori della Russia.

«Penso che il testo di Dugin abbia avuto per gli sviluppo della Russia degli ultimi decenni più influenza di qualsiasi altro scritto politico dei tempi moderni. Dugin immagina un impero eurasiatico, i suoi nemici sono ancora gli Stati Uniti, la sua strategia è “seminare il caos geopolitico nella politica interna americana, incoraggiare tutte le forme di separatismo e conflitti etnici, sociali e razziali, sostenere attivamente i movimenti dissidenti, i gruppi estremisti, razzisti e settari”. Dugin sostiene che una Russia senza un impero non è niente, e i sogni di un impero russo millenario hanno cominciato a diffondersi sulla scia delle sue teorie. Il risultato è stato un miscuglio di idee che hanno influenzato una fase della vita politica di Vladimir Putin».

Ricordo due discorsi uno del 2012 e uno del 2013 che lei menziona, in cui Putin parlava del progetto di un’Unione eurasiatica, in esplicita contrapposizione con l’Unione europea. La domanda è quanto le idee di Alexander Dugin lo influenzino ancora, molti descrivono Dugin come l’ideologo di Putin, eppure le differenze tra i due sono evidenti e la loro relazione non è stata priva di attriti, quando Dugin ha criticato Putin per essere indeciso, ha perso la cattedra all’Università di Mosca.

«È vero, ma la persona Dugin è meno importante della diffusione delle sue idee. È l’esponente di pensieri così diffusi in Russia che si può parlare di “duginismo” come di un’ideologia che ha una influenza profonda sulla politica del Cremlino e sui suoi compagni d’armi di Vladimir Putin».

Si è fatto un’idea dell’attentato che ha ucciso Darya Dugina?

«Potrebbe essere vera la pista ucraina, certo. Ma cerchiamo di leggere lo scenario interno russo: ci sono milioni di persone in Russia che sono contrarie alla guerra, e tra loro ci sono sicuramente persone che vorrebbero sbarazzarsi di Dugin, che era l’obiettivo dell’attacco. Ci sono però anche molti russi che sostengono la guerra ma pensano che Putin non sia abbastanza risoluto, che agisca con troppo attendismo. Una cosa è certa: Dugin ha molti nemici, bisogna cercare di decodificare quale è stato il nemico che ha voluto punirlo».

Secondo lei è possibile immaginare un cambiamento politico in Russia determinato da fattori esterni, o una rivolta interna?

«Ogni cambiamento in Russia deve venire dall’interno, altrimenti è destinato a fallire sul lungo termine. Cosa ne sarà, poi, dei cambiamenti, è difficile prevederlo. In Russia il futuro è imprevedibile come il suo passato, come recitava una battuta sovietica. Sarebbe in ogni caso ingenuo pensare che la rimozione di Putin possa portare in automatico una Russia democratica. Non possiamo permetterci di commettere lo stesso errore che abbiamo fatto dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ovvero analizzare il percorso storico della Russia con gli stessi strumenti della storia dei paesi europei».

Ecco perché è importante comprendere l’Idea Russa. Nel libro cita il poeta Fyodor Tyutchev che scrisse: «La Russia non può essere misurata con un metro standard». E ancora Fëdor Dostoevskij che dice: «Quindi possiamo capirti mentre tu non puoi mai capire noi». Cos’è che l’Occidente si ostina a non capire della Russia?

«Vede le contraddizioni. Da un lato si afferma che la Russia sia incomprensibile per gli stessi russi, dall’altro si accusa l’Occidente di non capirli… Penso che la risposta alla sua domanda è che la Russia, l’ideologia russa di oggi ha radici profonde e antiche. Se non acquisiamo conoscenze su come i russi vedono sé stessi e il mondo esterno non saremo mai in grado di gestire tale diversità né di capire la situazione odierna. Se non l’avevamo capita prima, e il 24 febbraio ci sta obbligando a farlo».

in “La Stampa” del 25 agosto 2022

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