Ernesto Balducci. Una coscienza planetaria

SALVATORE LEOPIZZI

Ernesto Balducci, a trent’anni dalla sua morte, ci indica ancora oggi che l’unica strada per la sopravvivenza umana è la coscienza dell’interconnessione tra tutti e tutto.

Sono trascorsi ormai trenta anni da quando un incidente stradale ha spento per sempre la voce e la vita di padre Ernesto Balducci, ma non ha spento certamente la scia luminosa del suo pensiero e l’attualità profetica del suo messaggio. Scaraventati drammaticamente in questi mesi sull’orlo del baratro nucleare, trascinati dalle assurde vicende belliche che hanno sconvolto l’Ucraina e l’intera Europa, siamo ancora sul crinale apocalittico di una possibile autodistruzione globale. La sopravvivenza della specie umana — è il monito di padre Balducci — sarà possibile solo a partire da una coscienza planetaria che promuova una comunione creaturale e che, con un nuovo patto di fraternità cosmica, leghi tra di loro il destino di tutti gli esseri umani unitamente a quello della stessa biosfera.

LA PACE

La pace — ne è convinto— sarà opera dell’uomo inedito, finora rimasto homo abscondítus. L’uomo che, privo di artigli aggressivi, è capace solo di amore per tutte le creature e che, ribadisce, trova il suo archetipo in Gesù di Nazareth.

È l’uomo che, delegittimando la violenza, mette al bando le armi ed elimina per sempre la categoria del nemico.

Testimone e protagonista delle transizioni epocali del secondo dopoguerra, uno dei grandi maestriprofeti del Novecento, Balducci ha saputo convogliare e iniettare nelle vene della storia i fermenti vitali del cambiamento d’epoca, facendo leva sul “principio speranza” (Ernst Bloch) e sulla sua fede pasquale.

Personalmente ho avuto il privilegio di stargli accanto vivendo nella comunità della Badia Fiesolana tra il 1978 e il 1980, periodo decisivo della mia formazione e delle mie scelte di vita. Ero affascinato dalla sua carica umana, dalla vastità della sua cultura letteraria, filosofica e teologica, dall’originalità ermeneutica del suo approccio con la Sacra Scrittura, tutte dimensioni che trovavano la loro sintesi nell’afflato evangelico delle omelie domenicali. Su una parete della sua stanza, accanto al crocifisso, aveva un grande planisfero, “così — diceva — appena sveglio posso prendere le misure dell’orizzonte del mio impegno”.

Nato nel 1922 a Santa Fiora sulle pendici del Monte Amiata da una famiglia di minatori, respira con la povera gente, fino all’adolescenza, l’eco ancora viva di quelle attese millenaristiche di riscatto sociale ispirate al Vangelo e accese nella seconda metà dell’Ottocento, da Davide Lazzaretti. Nella Firenze degli anni Cinquanta e Sessanta si inserisce attivamente nella temperie del fermento culturale, politico ed ecclesiale, intrattenendo rapporti con personalità di spicco come Giovanni Papini, Piero Bargellini, Giorgio La Pira, il cardinale Elia Dalla Costa, don Facibeni, Arturo Paoli, don Lorenzo Milani, padre David Turoldo, don Divo Barsotti.

Allontanandosi sempre più da un cattolicesimo intransigente e trionfalistico, viene attratto dalla nouvelle théologie francese e dalle tesi dell’ Umanesimo integrale di Maritain. Partecipa ai convegni per “La Pace e la Civiltà Cristiana” voluti da La Pira tra il 1952 e il 1956, dà vita a un centro di impegno caritativo e religioso, Il Cenacolo, e nel 1958 fonda la rivista Testimonianze. Comincia a destare sospetti di ortodossia nelle gerarchie e per questo viene esiliato prima a Frascati e poi a Roma proprio nel periodo del Concilio Vaticano II, occasione — a suo dire—provvidenziale perché gli consente di incontrare gli esponenti più autorevoli—teologie vescovi — di quella che si stava delineando come la primavera della Chiesa.

Nel 1966 per volontà benevola e personale del papa Paolo VI tornerà a vivere a Firenze, nella comunità scolopica della Badia Fiesolana. Aveva già subito nel frattempo un processo (come toccherà poi a don Milani) per aver difeso il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, criticando pubblicamente la condanna del primo obiettore cattolico Giuseppe Gozzini.

Pur condividendo in gran parte le istanze del cosiddetto dissenso cattolico, non vuole però rompere con l’istituzione ecclesiastica, preferendo in diverse occasioni una sofferta ma leale obbedienza canonica. Non gli vengono comunque risparmiate critiche e ostilità dagli ambienti integralisti e conservatori in cui ancora si pretendeva di far coincidere i valori della fede con le leggi dello Stato e l’appartenenza alla Chiesa con quella al partito unico dei cattolici, la Democrazia Cristiana.

La sua posizione per il NO al referendum sul divorzio nel 1974 e il sostegno dato ai cattolici candidati come indipendenti nel Partito Comunista (tra loro Angelo Romanò, Raniero La Valle e Mario Gozzini) — era il tempo del carteggio tra monsignor Bettazzi e Berlinguer—intensificano i richiami delle autorità ecclesiastiche alla prudenza e alla moderazione.

Con incandescente tensione profetica, la sua attenzione si va focalizzando sempre più sul rapporto tra la professione di fede e le sfide del tempo con l’intento di innestare le attese messianiche nei grovigli storici della contemporaneità. Cerca sempre di tradurre il linguaggio religioso, comprensibile a élites sempre più esigue, con le categorie interpretative delle scienze umane e del mondo laico. Avverte che la globalizzazione in atto comporta necessariamente la dissoluzione delle tribù della terra, lo sfaldamento delle isole ideologiche, etniche e culturali, nonché il cedimento strutturale dei plinti su cui si era andata costruendo nei secoli da una parte la visione teocratica del potere e dall’altra la presunzione etnocentrica dell’Occidente.

L’UOMO PLANETARIO

L’uomo planetario (1985) è da lui stesso considerato il manifesto di quella svolta antropologica che ispira il ciclo di convegni promossi in quegli anni da Testimonianze sul tema “Se vuoi la pace prepara la pace” e con i quali si vuole dimostrare l’urgenza di adottare anche nelle opzioni della politica il realismo dell’utopia. Per dare maggiore impulso all’azione divulgativa ed educativa per una nuova coscienza dell’età planetaria, fonda nel 1986 le Edizioni Cultura della Pace le cui pubblicazioni diventano nel tempo una preziosa e ricca enciclopedia pluridisciplinare della nonviolenza e della pace.

In ogni intervento padre Balducci sostiene l’esigenza, non più solo morale ma anche biologica, di superare la filosofia hobbesiana dell’homo homini lupus per poter entrare nella civiltà dell’homo homini amicus, o — come direbbe oggi papa Francesco — dell’homo homini frater. È questo in fondo il passaggio obbligato per varcare la soglia epocale che ci conduce dalla preistoria governata dalla ragione della forza all’adventus della storia pienamente umana, guidata solo dalla forza della ragione.

Nel suo Francesco d’Assisi (1989), dove si può scorgere in filigrana la sua stessa autobiografia, riconosce nel poverello l’archetipo dell’uomo planetario che decide di spogliarsi degli abiti “tribali” delle sue determinazioni sociali e religiose per rivestire i panni della fraternità cosmica e universale. Commenta con molto favore l’evento di Assisi del 27 ottobre 1986 voluto da Giovanni Paolo II — l’incontro per la pace di tutte le grandi religioni — perché lì “la trascendenza di Dio entra nell’orizzonte etico sotto forma di trascendenza della pace” e si avvia così un “patto unitario in nome della pace, che è il primo nome dicibile del Dio indicibile”.

DOPPIA FEDELTÀ

I suoi ultimi anni sono segnati da una partecipazione attiva, instancabile e intimamente sofferta a tantissime iniziative dei movimenti per la pace contro la prima guerra del Golfo. Don Tonino Bello, rendendo un grato omaggio alla sua memoria, scrisse che Balducci “parlava spesso di doppia fedeltà: a Dio e all’uomo, al Regno di Dio e alla città terrena. Ma non di doppia. morale. E neppure di doppia coscienza” e riportava a tal proposito le sue stesse parole: “Io non riduco il messaggio messianico, ma lo traduco. E anche se mi trovo in zona laica non mi sposto di un capello dal mio asse evangelico” .

Il ricordo di Ernesto Balducci su queste pagine di Mosaico di pace vuol essere un piccolo segno di gratitudine per quell’immenso patrimonio ideale che ci ha lasciato e che, contro il mostro della guerra, continua a fecondare i nostri sogni diurni di Pace, frutto maturo della giustizia, da gustare insieme nella convivialità delle differenze.

in “Mosaico di pace” dell’aprile 2022