Non solo Ucraina, in tutto il mondo divampano 60 conflitti con migliaia di morti

ALBERTO MAGNANI

Rischio globale. Guerre più o meno note dal Mozambico all’Etiopia, dal Messico allo Yemen, fino all’incubo dell’Afghanistan ripiombato nell’oscurantismo con i talebani e alle tensioni crescenti nel Mar della Cina.

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Quasi 4mila vittime, almeno 800mila sfollati, esecuzioni sommarie di civili. Sembrano le cronache che arrivano quotidianamente dall’Ucraina, il cuore dell’escalation che ha fatto ripiombare la guerra sui confini europei. Se non fosse che si parla del Mozambico, lo stato dell’Africa australe martoriato dall’ascesa di violenze jihadiste nella provincia settentrionale di Cabo Delgado. Le tensioni che logorano il paese, uno fra i più poveri del Continente e del mondo, sono un esempio dei conflitti «dimenticati» che si consumano in parallelo a quello in Ucraina: guerre in senso proprio, disordini, violenze sui civili perpetrate variamente da milizie terroristiche o dalle forze di sicurezza statali che dovrebbero arginarle.

Non è facile arrivare a una ricognizione globale, ma le stime convergono nell’ordine delle decine di guerre e crisi militari in atto nel 2022. Il Council of foreign relations, un think tank statunitense, rileva almeno 27 crisi all’attivo, limitandosi a quelle con un interesse più o meno incisivo per la politica estera Usa. Altri bilanci spingono il totale a oltre il doppio, parlando di circa 60 conflitti sparsi nel mondo. Con numeri raggelanti sulle vittime: il database specializzato Acled ne ha registrate quasi 151mila solo fra aprile 2021 e aprile 2022, dentro e fuori dal perimetro delle «guerre» tradizionali. Si va dalla strage delle violenze criminali in Messico, con almeno 150mila vittime dal 2006 a oggi, alla crisi umanitaria in Venezuela; dagli strascichi del colpo di Stato in Myanmar nel 2021 alla guerra civile che divide il Camerun; dall’insorgenza di violenze nel Sahel al destino incerto dell’Afghanistan, abbandonato a se stesso dopo il ritorno al potere dei Taliban.

Africa fra jihadisti e guerre civili

Non è una sorpresa che i due fronti più caldi rimangano comunque l’Africa, soprattutto nella regione sub-sahariana, e il Medio Oriente. L’Africa ha assistito a un crescendo ancora più brusco di instabilità sotto il Covid, la pandemia che ha arrestato oltre due decenni di crescita e alimentato le crisi latenti – o già esplose – in varie regioni del Continente. Oltre al caso del Mozambico, stretto fra l’ascesa delle milizie e l’inefficacia della repressione statale, il Continente è puntellato da conflitti che coinvolgono bande armate, forze affiliate a network islamisti o eserciti regolari. L’epicentro è la regione del Sahel, la fascia che costeggia i confini a sud del Sahara, travolta dall’ascesa di violenze jihadiste nel triangolo fra Burkina Faso, Mali e Niger: è ancora a Acled a stimare 5.720 vittime fra i tre paesi nel solo 2021, con oltre 3mila «eventi violenti» che vanno da attacchi contro civili ai disordini politici. La scia di tensioni si espande in Somalia con la ribalta dei miliziani di al-Shabaab e in Nigeria con le violenze legate – anche – al network islamista di Boko Haram, fino a conflitti intestini come quelli che pervadono il Camerun e l’Etiopia: l’ex «miracolo» del Corno d’Africa, precipitato dagli entusiasmi internazionali a una guerra civile fra gli indipendentisti del Tigray al governo centrale di Abiy Ahmed, il Nobel per la Pace ora accusato di un’involuzione autocratica per la repressione del dissenso interno e la stessa gestione del conflitto.

L’incubo dell’Afghanistan

L’altro fronte critico resta quello del Medio Oriente. Le ostilità in atto vanno dalla guerra nello Yemen, al suo settimo anno nel 2021, al nuovo crescendo di attacchi nel conflitto fra Israele e Palestina, con un bilancio di vittime in ascesa nelle ultime settimane e il timore di un’escalation ancora più fitta, magari allargandosi oltre ai confini con il Libano. Più a Est, intanto, si inasprisce l’emergenza che dominava l’attenzione fino a qualche mese fa: quella dell’Afghanistan, tornata sotto al potere dei Taliban con la caduta di Kabul dello scorso agosto e il ritiro degli Usa nello stesso mese. Il Paese è affossato da una crisi economica e umanitaria senza precedenti, con un Pil in caduta libera di oltre il 30% nel 2021 (stima Fmi), rischi di insicurezza alimentare per quasi un cittadino su due e lo scenario, paventato dalle Nazioni uniti, di sconfinare nella cosiddetta povertà universale: l’equivalente del 97% della popolazione costretta a sopravvivere con meno di un dollaro Usa al giorno. Il tutto mentre il governo dei Taliban fronteggia minacce interne, come i miliziani dell’Isis, e le violenze sulla popolazione proseguono a ritmo costante. Nel mirino finiscono soprattutto minoranze etniche e religiose, donne e figure legate al governo precedente. Acled ha registrato 290 attacchi contro civili solo fra agosto e dicembre 2021, costati la vita a 420 persone. Le tendenze registrate a gennaio 2022 fanno presagire che «i civili continueranno a essere ad alto rischio di violenze sotto il nuovo regime talebano» si legge in una ricerca sul Paese firmata dagli analisti Asena Karacalti e Ashik KC.

Le guerre del 2022

Proprio il 2022 rischia di riservare scenari ancora più cupi, a fianco o in conseguenza dell’aggressione di Mosca a Kiev. In un’analisi pregressa all’escalation militare della Russia, la Ong International crisis group aveva individuato i 10 conflitti più insidiosi per il 2022. Il primo era proprio quello in Ucraina, seguito dalla guerra civile in Etiopia, gli sviluppi per l’Afghanistan dei Taliban, i rapporti turbolenti fra Stati Uniti e Cina, il “triangolo” conflittuale fra Iran, Stati Uniti e Israele, gli scontri fra Israele e Palestina, i disordini ad Haiti,il Myanmar dopo il golpe del 2021 e l’insorgenza islamista in Africa, una macro-categoria che include i movimenti delle varie formazioni che si richiamano (o strumentalizzano) la guerra di religione nel Continente. Proprio l’Africa potrebbe essere una delle regioni più colpite dalle ricadute della guerra in Ucraina, esacerbando e moltiplicando i fronti di tensione al suo interno. Luca Raineri, ricercatore della Scuola Sant’Anna di Pisa, individua almeno quattro fattori di crisi, dagli impatti economici alla proliferazione di contractor russi nel Continente. Inviati da Mosca nelle “altre” guerre, quelle che si vedono meno. «Da un lato ci sono gli impatti economici dello stop di importazioni di grano e del rialzo dei costi dell’energia – spiega Raineri – Dall’altro va considerato il posizionamento di diversi paesi africani in chiave “non filo-occidentale”, rispetto alla guerra in Ucraina, e la crescita della presenza di mercenari russi, dalla Libia al Mali».

in “Il Sole 24 Ore” del 17 aprile 2022